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3. Passando all’analisi dei rilievi di merito si deve considerare in linea generale che l’accertamento di responsabilita’ e’ intervenuto, in maniera conforme, nel doppio grado del giudizio di fatto, condizione che restringe l’ambito di intervento della Corte di legittimita’.
La deducibilita’ del travisamento della prova in tal caso puo’ profilarsi esclusivamente nell’ipotesi di alterazione del dato dimostrativo relativo ad una prova valutata per la prima volta nel giudizio di appello, e ritenuta dirimente al fine di decidere; tale delimitazione si fonda sull’incompatibilita’ logico concettuale di una alterazione del dato di prova eseguita conformemente da giudici diversi. Infatti, come e’ stato, da ultimo, chiaramente ribadito in argomento “Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado” (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 269217). Ed e’ bene segnalare preliminarmente che, a fronte del copioso riferimento a tali vizi contenuto nei ricorsi, in mancanza delle richiamate condizioni legittimanti, sulla base di tali premesse sistematiche si evidenzia la difficolta’ di ravvisare il vizio lamentato, la cui prospettazione, inerente a tutti i passaggi argomentativi della pronuncia impugnata, denota la sollecitazione ad una autonoma decisione di merito, incompatibile con l’ambito delle deduzioni rilevabili in questa sede.
Analogamente deve concludersi quanto al dedotto vizio di carenza argomentativa.
Come ritenuto da risalente (Sez. 1, Sentenza n. 9539 del 12/05/1999, imp. Commisso ed altri, Rv.215132), ma costante giurisprudenza, il vizio di mancanza della motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), deve risultare dal testo della sentenza e consistere nell’assenza di argomentazione su un punto decisivo della causa sottoposto al giudice di merito, mentre non e’ ravvisabile nella mancata confutazione di un argomento relativo ad un punto della decisione che pur e’ stato trattato, sebbene in un’ottica diversa, dal giudice della sentenza impugnata, ove questa contenga una risposta implicita all’osservazione della parte; e nella frattura logica evidente tra una premessa, o piu’ premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono. Cosicche’ non puo’ ritenersi carente la motivazione nell’ipotesi di mancata confutazione del singolo rilievo difensivo che si ponga in chiave di lettura alternativa dei fatti, ove tale interpretazione non dimostri la sua inconciliabilita’ logica con quanto diversamente ritenuto dal giudicante.
Il dato interpretativo richiamato risulta estremamente rilevante all’atto in cui quasi tutte le censure formulate muovono da un’autonoma ricostruzione di singoli particolari ricostruttivi dei fatti, non dotati di autonoma capacita’ scardinante il ragionamento seguito dal giudicante e, per contro, ignorano quanto in senso opposto ritenuto dirimente, come meglio si vedra’ in relazione alle singole accuse.
3.1. capo A) la concussione contestata a (OMISSIS).
3.1.1. La fattispecie riguarda le pressioni che il (OMISSIS), titolare di una inchiesta riguardante l’attivita’ di spaccio di stupefacenti che veniva esercitata presso la discoteca gestita da (OMISSIS), fratello di un assessore comunale dello schieramento politico avverso a quello vicino al pubblico ufficiale, avrebbe esercitato sul consigliere comunale, al fine di ottenerne le dimissioni, funzionali alla caduta dell’amministrazione; tali pressioni, dopo iniziali, ripetute istanze tendenti allo scopo rimaste prive di risultato, sarebbero consistite nel prefigurare la possibilita’ di provvedimenti coercitivi, personali e reali, rispettivamente in danno della nipote del (OMISSIS) e dell’attivita’ economica facente capo al fratello, ventilati direttamente a quest’ultimo.
In fatto l’episodio e’ stato ricostruito ritenendo realizzate, a cura di (OMISSIS), una serie di pressioni sulla determinazione dell’amministratore, rivelatosi inizialmente impenetrabile, che successivamente avevano subito una forzatura nel senso indicato, consentendo di ottenere lo scopo.
La circostanza che l’atto pubblico, alla cui formazione era condizionata la pressione, fosse costituito da iniziative di natura discrezionale, impone di considerare la soggezione del privato rispetto a tali eventi, in quanto essi realizzano un danno in se’, a prescindere dalla loro legittimita’, posto che la dimostrazione dell’eventuale violazione di legge realizzata con l’imposizione illegittima della misura sopraggiunge a conseguenze pregiudizievoli gia’ verificate, cosicche’ nelle condizioni date il privato risulta alla merce’ di un potere pubblico che lo stesso esercente delinea, sulla base dell’accusa, come svincolato da criteri legali.
Deve considerarsi quindi che la prospettazione di una influenza illecita sulla determinazione in materia ponga gia’ il privato in condizione subordinata, senza possibilita’ di valorizzazione del perseguimento di un vantaggio ritraibile, realizzabile con libera determinazione, non profilandosi alcuna seria alternativa di legalita’, all’atto in cui si prospetti una valutazione che prescinde dall’obbiettiva ed imparziale analisi dei fatti.
Considerato che, sulla base della prospettazione accusatoria, risulta ipotizzato un intervenuto volto ad escludere l’arresto della nipote del (OMISSIS), ed il sequestro della struttura economica del fratello di questi, che non poteva che assumere, quale logico contraltare, un’attivita’ opposta nell’ipotesi di mancata realizzazione delle finalita’ personali perseguite dal pubblico ufficiale, posto che solo in quest’ottica si giustifica l’esplicitazione del proposito e la sollecitazione al compimento di un’attivita’ auspicata, deve convenirsi che correttamente tale condotta sia stata qualificata come minaccia, ravvisandovi la costrizione inerente alla fattispecie contestata nella disposizione dell’attuale testo dell’articolo 317 c.p. in senso conforme all’interpretazione resa dalla Corte di legittimita’ nella sua piu’ autorevole composizione (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera e altri, Rv. 258470) per i casi in cui non sia stata offerta una alternativa concreta di liberta’ dell’azione al soggetto destinatario delle illecite richieste.
La pronuncia richiamata ha chiarito che e’ necessario valutare caso per caso “le contingenze relazionali connesse all’esercizio del potere discrezionale del pubblico agente. Il prospettare costui, in maniera del tutto estemporanea e pretestuosa, l’esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale, al solo fine di costringere il privato alla prestazione indebita, integra certamente la minaccia di un danno ingiusto, in quanto non funzionale al perseguimento del pubblico interesse, ma chiaro indice di sviamento dell’attivita’ amministrativa dalla causa tipica. In questa ipotesi, il privato e’ certamente vittima di concussione, in quanto si “piega” all’abuso, proprio per scongiurarne gli effetti per lui ingiustamente dannosi”.
Applicando tali principi astratti a(caso di specie non puo’ che apprezzarsi che anche il riferimento, in cambio dell’attivita’ sollecitata, di un intervento in favore della vittima implicitamente contiene la prospettazione di uno opposto nel caso contrario, di tale concretezza da richiamare, in via preliminare, una sostanziale ampia liberta’ di azione in attivita’ che dovrebbe essere improntata alla piu’ assoluta imparzialita’, e veniva circostanziata dalla percezione delle modalita’ di esercizio del potere da parte del (OMISSIS), come e’ dato evincere dal contenuto del commento “questi sono pazzi” espresso nell’occasione da (OMISSIS) ed a cui ha fatto riferimento (OMISSIS).
Ne’ appare possibile attribuire una valenza escludente il reato ai richiami svolti dalla difesa in merito alla mancanza di utilita’ diretta per (OMISSIS) per l’attivita’ compiuta; nella sentenza impugnata si e’ dato conto della natura risalente nel tempo delle mire politiche dell’interessato, con richiamo a tale attivita’ parallela desumibile dalle perquisizioni eseguite presso la sua abitazione e del materiale ivi rinvenuto, del tutto eccentrico rispetto alla sua attivita’ professionale ed invece legato alla vita politica di (OMISSIS), e si delinea, sulla base di tutti gli elementi di fatto che successivamente saranno illustrati, proprio la netta contrapposizione tra (OMISSIS) ed il ricorrente; cosicche’ negare utilita’ alla caduta dell’amministrazione da questi guidata, che secondo la contestazione risultava funzionale ad ottenere il riconoscimento politico nel territorio, ampiamente utilizzato successivamente, risulta contestazione del tutto sganciata dagli elementi di conferma acquisiti ed illustrati nel provvedimento impugnato.
3.1.2. Cio’ premesso in diritto deve convenirsi per la correttezza della valutazione degli elementi di fatto posti a base della decisione nel provvedimento impugnato, in relazione al cui contenuto non viene espressa da parte della difesa una censura che riguardi l’intero percorso ricostruttivo, ignorato nella sua parte determinante.
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