Il preliminare e le trattative
Ultimo aggiornamento 3 marzo 2024
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Le trattative ed il contratto preliminare
Solo in casi eccezionali un’operazione contrattuale si conclude istantaneamente come ad esempio in attività normalmente quotidiane quando avviene fra presenti ed il prezzo della cosa o del servizio è prefissato.
Le operazioni commerciali ad ampio raggio insistenti in atti solitamente aventi la forma scritta come la vendita, la permuta, la locazione, etc. invece, sono preceduti da un periodo, più o meno lungo, chiamato precontrattuale, in cui, fra le parti, intercorrono delle trattative durante le quali esse si scambiano delle idee, manifestano le proprie intenzioni, esaminano i punti di divergenza e ricercano soluzioni adatte a risolvere il conflitto dei loro interessi.
Generalmente tale “scambio di idee” può essere rappresentato da una
1) Puntuazione di clausole
2) lettera d’intenti
3) Minuta
La minuta è l’atto scritto contenente l’enunciazione degli elementi che è stato redatto dalle parti con limitata funzione probatoria (ai fini della responsabilità di un’eventuale recesso ingiustificato) delle trattative svoltesi positivamente fino a quel momento, senza alcun carattere di definitività.
In presenza di lettere scambiate costituenti una serie di proposte in fieri nelle quali non sono neppure specificamente indicati gli elementi essenziali del contratto, quali il corrispettivo e i termini di pagamento, si è in presenza di una fase meramente iniziale di un procedimento formativo della volontà contrattuale che non dà luogo all’incontro delle volontà e non può essere qualificato come contratto, ma come mera puntuazione[1].
Nella cosiddetta minuta o “puntuazione” di contratto – la quale ha la sola funzione di documentare l’intesa raggiunta su alcuni punti del contratto, da concludere quando si sarà successivamente raggiunto l’accordo anche sugli altri punti da trattare, le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative, la quale trova un limite soltanto nella responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.[2]
Per la S.C.[3] rientrano nella nozione di «minuta o puntuazione» del contratto, per la quale è indispensabile l’esistenza di un documento sottoscritto da entrambe le parti, sia i documenti che contengano intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi (cosiddetta puntuazione di clausole), sia i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (cosiddetta puntuazione completa di clausole).
In relazione a tale secondo caso, la parte che intenda dimostrare che non si tratti di un contratto concluso, ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole, deve superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto, e ciò gli è reso possibile in virtù del principio secondo cui anche un documento dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo, una volta dimostrata l’insussistenza di una volontà attuale di accordo negoziale.
In tema di minuta o di puntuazione del contratto, l’indagine del giudice deve accertare se le parti abbiano inteso porre realmente in essere il rapporto contrattuale sin dal momento dell’accordo, oppure se la loro intenzione sia stata quella di differire la conclusione del contratto ad una manifestazione successiva di volontà. A tal fine, la valutazione del giudice deve prevalentemente incentrarsi sul documento in ordine al quale si è formato l’accordo delle parti, fermo restando che la parte ha la più ampia facoltà di provare con elementi extratestuali il mancato perfezionamento del contratto e che le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa della quale sono formate, concorrono tutte ed indistintamente alla formazione del convincimento del giudice[4].
In definitiva, pertanto, ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori.
Pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici[5].
Da ultimo è intervenuta, nuovamente, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 2 luglio 2020, n. 13610
riaffermando i seguenti principi:
L’accordo che le parti abbiano raggiunto su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, perche’, al fine di perfezionare il vincolo contrattuale, e’ necessario che tra le stesse sia raggiunta l’intesa sugli elementi costitutivi, sia principali che secondari, dell’accordo (Sez. 3, Sentenza n. 367 del 11/01/2005, Rv. 579123 01),
conseguentemente, l’eventuale redazione di appunti o bozze di contratto non supera di per se’ la fase della puntuazione, vale a dire quella di un accordo preliminare su alcune delle condizioni del futuro contratto (v. Sez. 2, Sentenza n. 2561 del 2/02/2009, non massimata);
tale principio deve ritenersi valido anche nell’ipotesi dei c.d. contratti a formazione progressiva, nei quali l’accordo delle parti su tutte le clausole si raggiunge gradatamente e in cui il momento di perfezionamento del negozio e’ di regola quello dell’accordo finale su tutti gli elementi principali ed accessori, salvo che le parti abbiano inteso vincolarsi agli accordi raggiunti sui singoli punti, riservando la disciplina degli elementi secondari (Sez. 2, Sentenza n. 16016 del 24/10/2003, Rv. 567659 – 01);
in tale ultimo caso, l’ipotesi prevista dall’articolo 1326 c.c., u.c. (secondo cui un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta) ricorre anche quando le modifiche richieste in sede di accettazione siano di valore secondario (Sez. 2, Sentenza n. 16016 del 24/10/2003, cit.);
tuttavia, nel caso in cui le parti abbiano inteso considerare il contratto come definitivamente formato (per l’ininfluenza dei punti da definire e sulla sostanziale validita’ di quelli gia’ concordati) la minuta dev’essere considerata come contratto perfetto (Sez. 2, Sentenza n. 11429 del 17/10/1992, Rv. 479037 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2500 del 08/04/1983, Rv. 427364 – 01);
tale minuta, infatti, puo’ avere valore probatorio di un contratto gia’ perfezionato la’ dove contenga l’indicazione dei suoi elementi essenziali e risulti che le parti abbiano voluto vincolarsi definitivamente anche in base al loro comportamento successivo, inteso a dare esecuzione all’accordo risultante da detta minuta, sempreche’ tale comportamento sia univoco e non consenta una diversa interpretazione (Sez. 2, Sentenza n. 11429 del 17/10/1992, cit.);
in tale ultimo caso, tuttavia, occorrera’, sulla base degli elementi probatori complessivamente acquisiti, che la valutazione della vicenda contrattuale evidenzi gli estremi di un comportamento dei contraenti dotato di univocita’ significativa (tale da non consentire alcuna diversa interpretazione) nel senso di ritenere le stesse disposte a considerarsi definitivamente vincolate sui punti essenziali in relazione ai quali l’accordo deve ritenersi gia’ raggiunto, salvo il prosieguo delle trattative sui punti secondari giudicati (dalle stesse parti) non ostativi alla piena validita’ ed efficacia degli accordi gia’ raggiunti;
nel caso di specie, dal complesso degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, mentre risulta evidente l’avvenuta esecuzione iniziale di taluni accordi intercorsi in modo informale tra le parti, non risulta in alcun modo definita, in termini inequivoci, la volonta’ delle parti di considerare gia’ pienamente vincolanti i punti consacrati nei documenti contrattuali prodotti, con evidenza destinati a formalizzare (in termini in parte ripetitivi e in parte modificativi degli originari accordi informali) un nuovo assetto dei rapporti contrattuali in corso tra le parti.
Per una sentenza di merito[6], ad esempio, la proposta d’acquisto di un immobile contenente la specifica indicazione delle parti e dell’oggetto del contratto, del prezzo convenuto e delle relative modalità di pagamento, del termine previsto per la stipula del definitivo, in uno con alla previsione della corresponsione della caparra confirmatoria, la compiuta indicazione degli elementi essenziali del futuro e concludendo contratto definitivo, con la garanzia della insussistenza di trascrizioni ipotecarie o comunque pregiudizievoli sul bene oggetto di contrattazione, ove accettata dall’altra parte, non può essere considerata come un mero atto preparatorio e propedeutico alla stipula di un futuro contratto, ma configura un vero e proprio contratto preliminare a tutti gli effetti di legge.
Mentre, per altra pronuncia[7] costituisce una mera proposta di acquisto immobiliare la scrittura privata volta, in relazione al suo contenuto, alla stipulazione di un contratto preliminare, ed avente quale destinatario non già il proprietario del bene immobile al quale il sottoscrittore della proposta si afferma interessato, bensì l’agenzia immobiliare che ha prospettato l’affare. In tal senso non pare esatta la qualificazione della scrittura in oggetto alla stregua di un preliminare di compravendita immobiliare, la quale, tuttavia, nella specie non può essere oggetto di esame e valutazione da parte dell’adita Corte di appello, in quanto, in difetto di specifica impugnazione, è coperta da giudicato.
Ancora[8], l’accordo che impegni genericamente i contraenti a costituire una società per una certa attività in comune da svolgere in avvenire, senza l’indicazione — rinviata a successive determinazioni — del tipo della costituenda società, mancando del suo più essenziale elemento, può per ciò stesso dar luogo a mere trattative ma non ad un contratto preliminare, per cui l’oggetto non è determinato né suscettibile di determinazione.
Anche se, per altra sentenza[9], il contratto de ineunda societate, ammissibile nel nostro ordinamento, richiede una fattispecie negoziale il cui contenuto minimo è dato dall’obbligo di stipulare il contratto (definitivo) di società e dalla predeterminazione degli elementi essenziali caratterizzanti il tipo di società prescelto, seppure questi ultimi siano integrabili alla stregua del principio ermeneutico per cui, in mancanza di precisi dati di identificazione del tipo di società, occorre fare riferimento all’organizzazione societaria più elementare e, quindi, ove l’oggetto sia commerciale, alla società in nome collettivo.
Poi ai fini della responsabilità precontrattuale, che qui di seguito si rappresenterà, per interruzione delle trattative, a norma dell’art. 1337 c.c., non rileva, in contrario, l’eventuale breve durata od il numero minimo degli incontri intervenuti tra le parti, ove la detta interruzione ad opera di una delle parti, risulti comunque priva di ogni ragione giustificativa e tale perciò da sacrificare il legittimo affidamento che la controparte poteva aver fatto sulla conclusione del contratto[10].
Mentre, il contraente che sia indotto alla trattativa dal dolo della controparte legittimamente interrompe il perfezionamento della trattativa medesima, senza incorrere in responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c., quando acquisti la consapevolezza che tale perfezionamento può pregiudicare diritti già precedentemente costituiti a favore di altro soggetto riguardo allo stesso bene[11].
2) La responsabilità precontrattuale
art. 1337 c.c. trattative e responsabilità precontrattuale: le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del consenso devono comportarsi secondo buona fede.
Orbene in tale fase precontrattuale è possibile che una delle parti venga meno ad un accordo o intento preso facendo si che l’atra parte subisca un danno conseguente ad un’aspettativa mai realizzata.
Perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative;
- che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto;
- che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo;
- che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
La verifica della ricorrenza di tutti i suddetti elementi, risolvendosi in un accertamento di fatto, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato[12].
Per altra pronuncia[13] meno recente la responsabilità precontrattuale — la quale presuppone che il contratto non sia stato concluso e comunque non validamente concluso — può configurarsi tanto in relazione al processo formativo del contratto quanto in rapporto alle semplici trattative, per cui se lo svolgimento di queste ultime è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento sulla conclusione del contratto, la parte che violi l’obbligo di comportarsi secondo buona fede (il cui accertamento, si ripete, costituisce apprezzamento di merito che sfugge al controllo della Cassazione) è tenuto nei confronti dell’altra parte al risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo.
Mentre, la S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 gennaio 2013, n. 477
è intervenuta stabilendo e consolidando alcuni principi, ovvero:
1. Perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
2. Se è pur vero che nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future ob-bligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, è altrettanto vero che l’operatività di tale principio è assoggettato al limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l’altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all’economia del contratto medesimo.
3. La regola posta dall’art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere, per le parti, di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La violazione di questa aggiuntiva regola di condotta alla quale devono conformarsi le parti di una trattativa negoziale è, quindi, idonea a determinare (se accertata adeguatamente in fatto in virtù di un congruo e logico percorso argomentativo spettante al giudice del merito) la configurazione di una responsabilità precontrattuale indipendente rispetto a quella riconducibile ai canoni fissati dalla pregressa giurisprudenza di legittimità in materia di recesso dalle trattative, avuto riguardo al loro stadio evolutivo.
Secondo, poi, la stessa sentenza la responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buonafede, alla cui puntuale osservanza anch’esso è tenuto, nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 cod. civ.; in particolare, se non è configurabile una responsabilità precontrattuale, per violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1337 cod. civ. rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa è configurabile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle trattative dell’ente è sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del neminem laedere, ove sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all’affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto. Spetta al giudice di merito accertare se il comportamento della P.A. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera colpa, un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto.
E’ d’obbligo segnalare, come ha avuto modo di recente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5834.
che non e’ configurabile una responsabilita’ precontrattuale in capo all’oblato in caso di mancata accettazione di una proposta contrattuale, poziore nel tempo ed economicamente meno vantaggiosa, rispetto a quella successiva, diversa e piu’ vantaggiosa, non gravando sul destinatario di plurime proposte contrattuali alcun obbligo di accettare quella ricevuta temporalmente per prima, ovvero di accettare l’offerta economicamente migliore, sicche’ il medesimo e’ libero, in difetto di obblighi eventualmente insorgenti da una precorsa trattativa, di accettare la proposta ravvisata preferibile in base a considerazioni anche prescindenti da valutazioni di carattere meramente economico
In tema, poi, di responsabilità precontrattuale della p.a. nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, con altra pronuncia
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 21 gennaio 2013, n.339
il Consiglio di Stato ha affermato che i doveri di correttezza e buona fede, di cui è espressione l’art. 1337 c.c., consistono nell’obbligo di rendere al partecipante alla gara in modo completo e tempestivo tutte le informazioni necessarie e sufficienti a salvaguardare la sua posizione, circa fatti che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in modo da impedire che si consolidi un ragionevole ed incolpevole affidamento sulla invece incerta conclusione del procedimento. Tuttavia è evidente che nel caso in esame la causa della revoca degli atti di gara si è concretizzata nel nuovo assetto normativo, del tutto indipendente dalla volontà dell’Amministrazione.
Inoltre, in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva del contratto di appalto è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli art. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lg. n. 163 del 2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell’operato della p.a.
Corollario di questa pronuncia risulta esserne un’altra della medesima Corte
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 1 febbraio 2013, n. 633
secondo la quale al P.A. è tenuta al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale cagionato dall’illegittima revoca degli atti di gara.
Ancora secondo altra sentenza del Consiglio di Stato
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15 settembre 2014, n. 4674
in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo, derivante dalla illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica. Il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale, in relazione alla mancata stipula di un contratto d’appalto o in relazione all’invalidità dello stesso, comprende le spese sostenute dall’impresa per aver partecipato alla gara (danno emergente), ma anche la perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso
A) Natura della responsabilità
Sulla natura della responsabilità nel corso degli anni vi sono state dispute “feroci” tra dottrina e giurisprudenza, ma da ultimo come si avrà modo di spiegare, sono intervenute le sezioni unite della S.C.
Non si tratta di un problema puramente teorico perché è diversa la disciplina giuridica delle due forme di responsabilità e, in particolare l’onere della prova.
- nella responsabilità contrattuale, infatti, esiste una presunzione di colpa a carico dell’inadempiente, il quale è tenuto a dimostrare che l’inadempimento o il ritardo non sono a lui imputabili (art. 1218); inoltre il termine di prescrizione di questa azione è di 10 anni;
- nella responsabilità extracontrattuale, invece, la presunzione non esiste e chi pretende il risarcimento dei danni deve dimostrare il comportamento colpevole della controparte; il termine di prescrizione di questa azione è di 5 anni.
Teoria della responsabilità contrattuale
Alcuni autori[14] sostengono questa natura perché ha tale natura ogni responsabilità che sia connessa all’inadempimento di una obbligazione, poca importa se il fatto costitutiva sia o non il contratto.
Contra[15] – seguire tale teoria significherebbe ammettere che il codice vigente abbia imposto nuovi obblighi ai soggetti nella fase di formazione del contratto; ciò tuttavia, non è esatto, in quanto deve dirsi piuttosto che, per un affinamento della coscienza sociale, si è allargata la sfera dell’illecito fino a comprendervi comportamenti contrari all’obbligo di correttezza nello svolgimento degli affari.
Contra[16] – tutti i doveri generici della vita di relazione si concretano in comportamenti doverosi nei confronti di coloro con cui si entra in contatto.
Così ad es., le regole della circolazione stradale si traducono in determinati comportamenti che l’utente deve di volta in volta tenere rispetto ad altri utenti senza che si costituiscano rapporti obbligatori.
Teoria della responsabilità extracontrattuale
Altri autori[17] e la giurisprudenza unanime della Cassazione[18] sostengono, invece, la tesi opposta, preferibile anche a parere di chi scrive.
Si afferma, in sostanza, che il danno risarcibile non è in relazione alla mancata conclusione del contratto o di un accordo già esistente tra le parti, ma deriva dal comportamento illecito di chi ha suscitato la fiducia nella conclusione del futuro contratto.
Come già enunciato con ultimissima pronuncia le Sezioni Unite[19], cercando così di porre la parola fine sulla disputa, hanno confermato la responsabilità extracontrattuale.
In realtà, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 2 ottobre 2020, n. 20989.
con ultimo intervento ha avuto modo di chiarire che il contratto preliminare, avendo superato lo stadio precontrattuale, costituisce un accordo perfettamente compiuto, benché proteso alla stipulazione di un ulteriore contratto, quello definitivo, con la conseguenza che allo stesso preliminare non è applicabile l’art. 1337 c.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che non aveva limitato al mero interesse negativo il danno risarcibile in favore del promittente locatore, ma aveva impiegato quale parametro di riferimento l’utilità perduta dal medesimo in seguito alla mancata conclusione del contratto definitivo, individuata nel canone di locazione che sarebbe stato corrisposto per un periodo di sei mesi, lasso di tempo considerato utile per il reperimento di un nuovo conduttore sul mercato).
B) La buona fede
Agli effetti della configurabilità della responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c., l’obbligo di correttezza e di buona fede nelle trattative deve essere inteso in senso oggettivo, sicché non è necessario un particolare comportamento soggettivo di malafede, determinato dall’intenzione di uno dei contraenti di arrecare pregiudizio all’altro, ma è sufficiente anche il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che senza giusto motivo ha interrotto le trattative, eludendo così le aspettative della controparte, che, confidando sulla conclusione del contratto, è stata indotta a sostenere spese o ha rinunziato ad occasioni più favorevoli[20].
L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, che deve presiedere il comportamento delle parti nel corso delle trattative, si sostanzia soprattutto nel dovere di cooperazione e di informazione, al convergente fine della stipulazione del contratto, che va individuato ed apprezzato in relazione alla concreta fattispecie, con la conseguenza che, nel caso di recesso di una delle parti dalle trattative, al fine della configurabilità di una sua responsabilità, è necessario valutare la posizione ed il comportamento di entrambe le parti onde determinare se il recesso si configuri come illecito abuso del recedente per averlo esercitato a causa di condizioni ostative alla stipula del contratto, già a lui note o dallo stesso conoscibili con la ordinaria diligenza, ovvero sia stato o meno determinato da comportamento della controparte derivandone, in siffatta evenienza, l’insussistenza della responsabilità precontrattuale del recedente[21].
Un autore (BIANCA) in particolare: adopera questa distinzione per quanto riguarda la responsabilità precontrattuale
A) sotto il profilo della lealtà:
1) mancata informazione;
– sulle circostanze di rilievo che attengono all’affare –
– sulle cause d’inadempimento del contratto –
– circa la pericolosità della prestazione o del bene –
– circa la cause di inutilità del contratto ovvero della prestazione (quando si stia verificando un evento che renda la prestazione inefficace o ineseguibile)
2) mancata chiarezza; evitare di usare un linguaggio suscettibile di non essere pienamente compreso dalla controparte
3) segreto; affinché i contraenti non divulghino le notizie riservate che abbiano appreso, in quanto partecipi delle trattative
B) sotto il profilo della salvaguardia:
1) l’obbligo di compiere gli atti necessari per la validità ed efficacia del contratto –
sotto questo riguardo rileva l’inerzia, doloso o colposa, del contraente che non presenta la domanda per ottenere un’autorizzazione pubblica richiesta a pena di nullità o d’inefficacia del contratto (es. alienazione del bene di un minore fatta dal genitore)
2) il recesso ingiustificato dalle trattative;
lo svolgimento delle trattative non comporta alcun obbligo di contrarre.
Il contraente conserva il potere di revocare la propria proposta o la propria accettazione fino a quando il contratto non è concluso, e l’esercizio di tale potere non costituisce come tale violazione di un obbligo di comportamento. La responsabilità del soggetto deriva piuttosto dall’avere dolosamente o colposamente indotto l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.
3) stipulazione del contratto invalido o inefficace (art.1338) Mentre prima il soggetto era coinvolto in una trattativa inutile qui, invece, è coinvolto in una stipulazione inutile. Il soggetto è precisamente leso nella sua libertà negoziale
4) violenza – dolo – colposa induzione in errore.
Altro autore (GAZZONI) adopera questa distinzione per quanto riguarda la responsabilità precontrattuale
1) violazione della buona fede:
A) trattative non serie :
B) recesso ingiustificato ;
C) Reticenza ed obblighi d’informazione:
Pertanto pur se il contratto si conclude validamente, può esservi responsabilità precontrattuale, qualora ad esempio:
1) un contraente abbia causato un ritardo nella conclusione;
2) sia stato reticente tacendo all’altro informazioni rilevanti ai fini della contrattazione;
3) di chi sia consapevole che la controparte intenda contrarre indotta da un motivo erroneo o comunque crei le ragioni di una sua debolezza, approfittandone per ottenere migliori condizioni contrattuali.
4) Conoscenza delle cause d’invalidità
C) Conseguente conclusione del contratto
La recente giurisprudenza estende poi l’applicazione dell’art. 1337 c.c. e del conseguente rimedio risarcitorio anche alle fattispecie in cui, invece di configurarsi una rottura ingiustificata delle trattative, si addiviene, anzi, alla conclusione di un contratto invalido o inefficace (art. artt. 1338 e 1398 c.c.) o si conclude un contratto valido, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento scorretto (art. 1440 c.c.).
Infatti secondo la Suprema Corte[22] la responsabilità per violazione del dovere di buona fede durante le trattative, o di più specifici obblighi precontrattuali (ad esempio informativi) riconducibili a quel dovere, non è limitata ai casi in cui alla trattativa non segua la conclusione del contratto o segua la conclusione di un contratto invalido o inefficace; bensì si estende ai casi in cui la trattativa abbia per esito la conclusione di un contratto valido ed efficace, ma pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto.
In tali due fattispecie, oltre ai rimedi dalle stesse espressamente e rispettivamente previsti, la parte lesa può, quindi, chiedere, in via alternativa od in via subordinata, la condanna al risarcimento del danno ex art. 1337 c.c.
Nella seconda fattispecie, infine, l’ammontare del danno viene calcolato in base al “minor vantaggio o al maggior aggravio economico” determinato dal contegno sleale di una delle parti.
Ed ad esso si aggiunge un eventuale ed ulteriore danno che risultasse collegato a tale condotta “da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto”.
La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall’art. 1337 cod. civ., assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 cod. civ.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al «minor vantaggio», ovvero al «maggior aggravio economico» prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto[23].
Con una pronuncia la S.C.
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 21 ottobre n. 23873
ha confermato l’indirizzo consolidato affermando, appunto, che la regola posta dall’art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
Principio, nuovamente ribadito da altra sentenza della Corte di Legittimità
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 23 marzo 2016, n. 5762
secondo, la quale, appunto, la regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto. L’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per la lesione della libertà negoziale sia esperibile allorché ricorra una violazione della regola di buona fede nelle trattative che abbia dato luogo ad un assetto d’interessi più svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze della condotta contraria a buona fede, e ciò pur in presenza di un contratto valido ovvero, nell’ipotesi di invalidità dello stesso, in assenza di una sua impugnativa basata sugli ordinari rimedi contrattuali.
D) Il dovere di comunicare le cause d’invalidità
art. 1338 c.c. conoscenza delle cause d’invalidità:
la parte che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentita per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
La responsabilità, secondo la concorde dottrina e giurisprudenza non ricorre:
1) qualora, malgrado la reticenza dell’altro contraente, colui che si protesta leso sia a conoscenza della causa d’invalidità –
2) ovvero, avrebbe potuto secondo l’ordinaria diligenza ed avvedutezza, venirne a conoscenza –
3) quando la causa d’invalidità non comunicata dipenda dalla violazione di una norme imperativa la cui ignoranza poteva essere evitata con una normale diligenza (come nel caso della richiesta della forma scritta ad substantiam).
Speculare risulta essere una sentenza di merito[24]secondo cuise è pur vero che le parti durante le trattative conservano sempre la facoltà di verificare la convenienza dell’affare, tenuto conto delle proprie specifiche esigenze, è altrettanto vero che le medesime non possono comunque violare i limiti derivanti dai principi di correttezza e di buona fede.
significa, tra l’altro, dovere di informazione della controparte circa le reali possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative in relazione all’economia del negozio, sì che la trattativa si svolga in modi coerenti e senza dar adito a comportamenti contraddittori.
Principio già esposto in una nota sentenza di Cassazione[25] nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, con il solo limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l’altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all’economia del contratto medesimo.
Con ultima pronuncia la S.C.26 ha aggiunto che la responsabilità prevista dall’art. 1337 c.c., oltre che in caso di rottura ingiustificata delle trattative, può derivare anche dalla violazione dell’obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità di osservare il dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipulazione del contratto.
E) Il danno risarcibile
In merito alla suddetta responsabilità secondo l’ordinamento vigente nelle fase precontrattuale il principio della buona fede in esame tutela la parte che, facendo incolpevole affidamento nella conclusione di un contratto, in senso generale, vede venir meno la “riuscita” dello stesso a causa del comportamento “scorretto” ed ingiustificato della controparte.
Il danno risarcibile, in tal caso, si ravvisa nel danno emergente (es. spese eseguite in vista della conclusione del contratto) e nell’interesse negativo o lucro cessante (perdita di altre occasioni contrattuali).
Il limite dell’interesse negativo –
La violazione di un dovere precontrattuale da luogo, secondo un principio pacifico, al risarcimento del c.d. interesse negativo.
Per la Corte di Cassazione[27] la responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinuncie a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse.
Dello stesso ed identico avviso è anche altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2016, n. 4718
Con altra pronuncia, in merito, la S.C.[28] ha affermato che la responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. può conseguire tanto in relazione al processo formativo del contratto,quanto in rapporto alle semplici trattative, riguardate come qualcosa di diverso da esso, ossia come quella fase anteriore in cui le parti si limitano a manifestare la loro tendenza verso la stipulazione del contratto, senza ancora porre in essere alcuno di quegli atti di proposta e di accettazione che integrano il vero e proprio processo formativo. Se lo svolgimento delle trattative è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento nella stipulazione del contratto, la parte che ne receda senza giusta causa, violando volontariamente l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, è tenuta al risarcimento dei danni nei limiti dell’interesse negativo.
La differenza tra interesse positivo e interesse negativo sta nel fatto che:
1) il primo presuppone la validità del negozio e consiste nei vantaggi che sarebbero stati ottenuti ed i danni che sarebbero stati evitati con l’esecuzione del contratto;
2) il secondo, invece, presuppone la mancata conclusione o l’invalidità del contratto e consiste nei vantaggi che sarebbero stati ottenuti e nei danni che sarebbero stati evitati non iniziando le trattative ovvero non confidando nella validità del contratto. La risarcibilità del solo interesse negativo non costituisce una deroga ai principi generali sul risarcimento del danno e, precisamente, alla risarcibilità non solo del danno emergente, ma anche del lucro cessante (il vantaggio che avrebbe ottenuto se avesse concluso il contratto con altre persone).
È discusso se l’ammontare degli interessi negativi possa superare l’ammontare degli interessi positivi; se, cioè, il risarcimento del danno precontrattuale possa essere maggiore di quanto si sarebbe conseguito attraverso l’esecuzione del contratto.
Nonostante autorevoli voci contrari, sembra preferibile [29]la tesi negativa, espressamente codificata dal codice tedesco.
Se Tizio confidando nella validità di un contratto d’appalto ma facendo male i suoi calcoli, ha acquistato macchinari il cui valore è superiore al lucro che avrebbe potuto realizzare, non potrà pretendere più di quanto avrebbe ottenuto dall’adempimento del contratto.
Per la S.C.[30] in materia di responsabilità precontrattuale il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte; inoltre sia la perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali, sia la relativa valutazione comparativa devono essere sorrette da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume danneggiata, e non possono basarsi sulla semplice considerazione della sua qualità imprenditoriale, né può senz’altro farsi luogo alla liquidazione equitativa da parte del giudice, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., subordinata, anche nella materia della responsabilità precontrattuale, all’impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell’esatta quantificazione di un pregiudizio comunque certo nella sua esistenza.
Ancora secondo la Corte di legittimità[31], l’ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell’illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso di ingiustificato recesso dalla trattativa, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l’altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente. Pertanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione di diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale, mentre, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile (liquidabile anche in via equitativa) è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cosiddetto «interesse negativo
Infine, il conseguente debito del responsabile deve ritenersi di valore e non di valuta, comporta la maturazione di interessi dal fatto illecito e non solo dalla domanda, ed è sottratto, in linea di principio, quanto al riconoscimento della rivalutazione monetaria, alla regola posta dall’art. 1224, secondo comma, cod. civ.[32]
2) IL CONTRATTO PRELIMINARE
Le trattative possono anche non terminare con un contratto definitivo, ma con la stipulazione di un contratto preliminare, di un accordo, cioè, che obbliga le parti a concluderlo in un secondo momento un contratto necessariamente definitivo, il cui contenuto è già fissato dal preliminare stesso.
A) Natura e requisiti
Il contratto preliminare è un contratto autonomo in quanto è del tutto distinto dal corrispondente contratto definitivo, che costituisce il suo adempimento.
Secondo la Corte di Piazza Cavour
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009
il contratto preliminare e’ un negozio avente una duplice efficacia obbligatoria. Esso non si risolve soltanto nella promessa di acconsentire alla stipula del definitivo (pactum de contrahendo), ma implica anche una promessa di prestazioni (pactum de dando), imponendo di tenere tutte quelle attivita’ necessarie all’attuazione del programma negoziale in maniera satisfattiva per entrambe le parti.
A tutela dei correlativi diritti (ed essenzialmente dell’uguale diritto del venditore e dell’acquirente, al consenso dell’altro per la stipula del contratto definitivo) l’ordinamento giuridico appresta l’azione giudiziale di esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto (ottenere, cioe’, lo stesso risultato programmato con il contratto preliminare), nell’ipotesi in cui una dei contraenti non intenda adempiere il proprio obbligo di prestare il consenso.
Tenendo conto di queste premesse, e’ agevole distinguere il diritto ad ottenere il consenso per la stipula del contratto definitivo (del compratore e del venditore) e l’azione a tutela di quel diritto.
Con la specificazione che la forma di tutela giudiziale (l’azione di esecuzione forzata dell’obbligo di concludere il contratto definitivo) e’ sempre azionabile, se il diritto al consenso a stipulare il contratto non si sia prescritto.
In generale il contratto preliminare, pur lasciando alle parti la possibilità di addivenire ad ulteriori pattuizioni marginali, deve contenere gli elementi essenziali della futura convenzione, fra cui la determinazione o determinabilità dell’oggetto, non essendo, tuttavia, esclusa la validità del contratto allorquando l’oggetto possa determinarsi attraverso atti e fatti storici, anche successivi alla sua conclusione, e perfino in base ad elementi del mondo esterno ad esso estranei o anche per relationem[33].
Per altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 2473 del 1 febbraio 2013
ai fini della validità del contratto preliminare non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali.
In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege è atto scritto come per il definitivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, avere le parti inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purchè, appunto, l’intervenuta convergenza delle volontà sia comunque, anche aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile.
Poi seppure il contratto preliminare deve indicare soltanto gli elementi essenziali del contratto definitivo, e non anche necessariamente tutti gli elementi accessori ed accidentali di questo, tuttavia le clausole e condizioni non figuranti nel contratto preliminare possono essere inserite nel contratto definitivo unicamente quando siano il risultato dell’accordo delle parti, con la conseguenza che è pienamente giustificato il rifiuto di una parte di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo qualora il testo di esso, predisposto dall’altra parte, contenga clausole e condizioni non pattuite e che la parte non inadempiente ed avente interesse a quella stipulazione può chiedere l’esecuzione specifica a norma dell’art. 2932 c.c. del contratto senza l’inserimento di tali clausole e condizioni[34].
- Oggetto
Obbligo di un fare, e precisamente, l’obbligo di concludere un contratto.
Inoltre come in ogni contratto deve essere lecito, possibile e determinato o determinabile.
Per giurisprudenza consolidata[35] il requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto a norma dell’art. 1346 c.c., nell’ipotesi di un preliminare di vendita immobiliare, postula che sia specificata l’ubicazione del bene promesso in vendita, o il criterio della sua individuazione.
Secondo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 28 luglio 2020, n. 16078
poi, ai fini della determinabilità dell’oggetto del contratto preliminare (ed in funzione della susseguente adottabilità della sentenza ex art. 2932 cod. civ.), bisogna avere riguardo alla sufficiente indicazione e descrizione degli elementi identificativi del bene che ne costituisce l’oggetto, non rilevando – ove esso coincida con un immobile – le eventuali vicende successive comportanti modifiche catastali del bene stesso (posto che il riaccastamento immobiliare rappresenta un elemento esterno che non implica, di per sé, una variazione incidente sulla idonea identificazione del bene che sia oggetto di contratto preliminare)
Il prezzo
Un contratto preliminare di compravendita senza l’indicazione del prezzo convenuto per il trasferimento della proprietà di un immobile è privo di effetto, nel senso che non fa sorgere per il promittente venditore l’obbligo di trasferire al promissario acquirente il bene: il contratto è nullo perché manca un elemento essenziale.
In generale, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, l’esigenza della determinatezza o almeno della determinabilità dell’oggetto del contratto, sanzionata di nullità dall’art. 1418, secondo comma, in relazione agli artt. 1346 e 1325, n. 3, cod. civ., è soddisfatta dalla dichiarazione, che nella scrittura abbia fatto il promittente venditore, che il prezzo è stato pagato, nella specie mediante l’assunzione di tutte le spese necessarie per la costruzione dell’edificio da alienare, essendo necessariamente implicito in tale riconoscimento che anche la prestazione dovuta dal promissario compratore è stata consensualmente individuata[36].
Secondo la giurisprudenza[37], il contratto di vendita può ritenersi concluso anche se la determinazione del prezzo è rimessa a un successivo accordo delle parti, a condizione che a tal fine siano stati convenzionalmente precostituiti nel contratto stesso i necessari criteri, punti di riferimento e parametri. Al contrario, se le parti non si sono riservate di determinare in seguito il prezzo mediante un nuovo accordo – o non hanno espressamente rinviato la determinazione del prezzo a un momento successivo – il contratto deve considerarsi nullo o, comunque, incompleto, sicché non può trovare applicazione l’art. 1474 cod. civ.
Nel caso in cui il pagamento del prezzo o di una parte di esso debba, secondo la pattuizione preliminare, precedere la stipulazione del contratto definitivo, la parte tenuta è obbligata alla scadenza del previsto termine, anche se non coincidente con quella prevista per la stipulazione del contratto definitivo, al pagamento da eseguirsi nel domicilio del creditore (ex art. 1183 e 1498 cod. civ.) o da offrirsi formalmente nei modi previsti dalla legge, non sussistendo in tali ipotesi alcuna ragione che giustifichi la sufficienza dell’offerta informale. In questi casi, colui che ometta il pagamento è da considerarsi inadempiente e non può ottenere il trasferimento del diritto, ove la controparte sollevi l’eccezione di cui all’art. 1460 cod. civ. [38]
Per una pronuncia della seconda sezione della S.C.[39] la clausola del contratto preliminare, avente ad oggetto il reciproco impegno delle parti di indicare nel definitivo un prezzo inferiore a quello realmente concordato, e pari a quello risultante dall’applicazione del moltiplicatore della rendita catastale, è nulla, ai sensi degli artt. 62 e 72 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131[40], nella specie applicabili ratione temporis.
Tuttavia la nullità di detta clausola non importa la nullità dell’intero contratto preliminare per il sol fatto della previsione negoziale (a sua volta nulla) di un diritto alla risoluzione attivabile dal contraente rimasto fedele al patto sul prezzo, occorrendo la prova, a cura della parte colpita dallo squilibrio indotto dalla nullità parziale, che il mantenimento del contratto dopo la depurazione non sia più giustificato dal senso originario dell’operazione, per essere la clausola di occultamento del corrispettivo in tale rapporto di interdipendenza e di inscindibilità con le restanti pattuizioni da non poter queste sussistere in modo autonomo.
A norma dell’art. 1481 cod. civ. – disposizione applicabile per analogia anche al contratto preliminare di compravendita – il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possano essere rivendicate da terzi.
Ne consegue che, quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione, è concessa al promittente acquirente la facoltà di rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino a quando non venga eliminato tale pericolo[41].
Acconto e Caparra
Poi è prassi diffusa che contestualmente alla sottoscrizione del preliminare la parte che si obbliga all’acquisto corrisponda un “acconto” sul prezzo convenuto qualificandolo come “caparra confirmatoria[42]”, importo che, se il contratto troverà regolare adempimento, verrà imputato al prezzo dovuto, ma che in caso contrario, assumerà un ruolo diverso.
Un esempio concreto di caparra penitenziale è costituito dalla clausola contrattuale con la quale si stabilisce che il mancato pagamento di una singola rata di prezzo produrrà l’annullamento del contratto con diritto per il promittente venditore di ritenere le somme riscosse a titolo di penale.
Inoltre con ultima pronuncia la S.C.[43] ha avuto modo di stabilire anche che la somma di denaro – a titolo di caparra confirmatoria – assolve la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo, mentre il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto ed ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti.
Il semplice acconto invece, non espressamente qualificato come caparra confirmatoria, non ha alcuna natura sanzionatoria, nel senso che, in caso di mancata conclusione del contratto, deve essere restituito a chi l’ha versato, non potendo il promittente venditore adempiente trattenerlo in via automatica a titolo di risarcimento del danno, la cui quantificazione spetta semmai al giudice di indicarla, sulla base delle prove che verranno fornite dal danneggiato
- Contratto tipico con causa propria
la quale consiste, in ogni caso, nella funzione di vincolare le parti a concludere il futuro contratto.
La funzione del contratto preliminare è quella di cristallizzare i termini dell’accordo raggiunto tra le parti e che dovranno poi essere trasfusi nel contratto definitivo, mettendo così le parti stesse al riparo dal rischio di ripensamenti o di dover ridiscuterne i punti. Per queste ragioni, si afferma che il contratto preliminare garantisce una tutela generica a vantaggio di entrambi i contraenti, fissando in anticipo una serie di intese che costituiranno il futuro contenuto del contratto di compravendita.
Per la S.C.[44] la funzione del contratto preliminare è quella di impegnare i contraenti alla futura stipula, alle condizioni e nei termini in esso convenuti, di un successivo contratto definitivo, e la prestazione essenziale che ne forma oggetto è costituita da quel particolare «facere», consistente nella stipulazione anzidetta, che deve esattamente corrispondere agli elementi predeterminati in sede di compromesso.
- Contratto perfetto
in quanto, pur appartenendo ad una fase della formazione progressiva del contratto, esso non rappresenta semplicemente un momento del contratto definitivo, considerata la sua autonomia.
Per quanto riguarda la struttura
a) unilaterale; l’obbligo di stipulare il definitivo è assunto da una soltanto delle parti –
Secondo un’autorevole dottrina[45] in questo caso, il contratto preliminare unilaterale si traduce, in realtà, in un patto d’opzione, caratterizzato unicamente dalla peculiarità del proprio oggetto che consiste in un contratto preliminare (bilaterale).
In altri termini, e usando la formula dell’art. 1331, può dirsi che con il contratto preliminare unilaterale le parti convengono che una parte di essa rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia la facoltà di accettarla o meno; in sostanza una delle parti, in forma contrattuale, fa una proposta irrevocabile di contratto preliminare (bilaterale).
L’accettazione della controparte porterà non ancora alla stipula del definitivo, ma solo alla stipula di un preliminare bilaterale con il normale effetto, per entrambi i contraenti, di dover stipulare il contratto definitivo.
Questo inquadramento, seguito anche da alcune sentenze della Cassazione[46]permette di applicare tutta la disciplina dell’art. 1331 e, in particolare il II°co, in base al quale se per l’accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.
Per altra pronuncia della medesima Corte[47] il contratto preliminare unilaterale è un contratto in sé perfetto e autonomo, ancorché con obbligazioni a carico di una sola parte, rispetto al contratto definitivo, mentre l’opzione non è che uno degli elementi di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente a oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; accordo questo la cui identificabilità è rimessa al giudice di merito, che deve far riferimento al comune intento negoziale. Ne consegue che il nesso strumentale esistente tra contratto preliminare e contratto definitivo non ha nulla in comune con il legame strutturale che intercorre tra il momento iniziale (proposta resa vincolante per accordo tra le parti) e il momento finale (accettazione) nel fenomeno della formazione progressiva del contratto, in quanto, nell’ipotesi del contratto preliminare unilaterale gli effetti definitivi si producono solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni tra le parti contraenti, mentre nel caso dell’opzione, che contenga una proposta irrevocabile, gli effetti finali del contratto definitivo si producono in virtù della semplice dichiarazione unilaterale di accettazione della parte non obbligata.
Altra pronunce della S.C.[48] differenziando il preliminare unilaterale con il patto di prelazione.
Infatti a differenza del contratto preliminare unilaterale che comporta l’immediata e definitiva assunzione dell’obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione genera, a carico del promittente, una immediata obbligazione negativa, consistente nel non vendere ad altri la cosa oggetto del patto se non dopo che il prelazionario, debitamente interpellato, dichiari di non voler acquistare (o non dia alcuna risposta nel termine concessogli), ed un’obbligazione positiva, consistente nel vendere — ove assuma una decisione in tal senso — al prelazionario medesimo, al quale deve formulare la relativa proposta attraverso la denuntiatio. Questa obbligazione nel caso di vendita ad un terzo del bene oggetto del patto di prelazione sorge e si esteriorizza in uno al verificarsi del suo inadempimento, senza che dal promissario pretermesso possa conseguirsene l’esecuzione in forma specifica a norma dell’art. 2932 c.c., ma soltanto il risarcimento del danno, non essendo più coercibile a seguito della vendita al terzo del bene promesso.
b) bilaterale; l’obbligo è assunto da tutte e due le parti
Accordo delle parti
Il consenso che da vita al contratto preliminare non è diverso da quello di qualsiasi altro contratto, e, perciò, valgono le regole stabilite dall’art. 1326 ss.
Il preliminare ha una formazione tutta sua: può essere preceduto da trattative, può dar luogo ad una proposta irrevocabile o ad un’opzione.
L’accordo sarà fondamentale per individuare se un contratto abbia natura di preliminare o di definitiva vendita non hanno rilievo determinante né la denominazione, né il trasferimento del possesso del bene, né il pagamento del prezzo: ciò che conta, appunto, è il diverso contenuto dell’accordo, ossia l’intento comune delle parti in rapporto alla funzione economico-sociale (causa del contratto).
Poi è bene precisare che in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il principio dell’apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta, giacché per il contratto preliminare è richiesta la stessa forma, scritta ad substantiam (artt. 1350 e 1351 cod. civ.), stabilita per il negozio definitivo; analogamente è da reputarsi per la ratifica dell’anzidetto contratto, concluso, per l’appunto, da un soggetto privo di idoneo potere rappresentativo, richiedente la forma scritta ad substantiam, poiché l’art. 1399 cod. civ. impone, per la ratifica, la medesima forma prescritta per il contratto cui essa si riferisce[49].
Principio confermato anche da un adagio della S.C.
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 25 giugno 2015, n. 13180
B) Forma
art. 1351 c.c. contratto preliminare:
il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo.
Forma per relationem
Problema che riguarda la forma relativa al negozio con il quale le parti intendono risolvere un contratto preliminare formale precedentemente concluso.
In particolare, si discute se anche il negozio risolutorio debba rivestire o non la stessa forma.
1) Una parte della dottrina[50] e della giurisprudenza sostiene la tesi negativa.
Si afferma, infatti, che la volontà del negozio giuridico risolutorio può essere manifestata in qualsiasi modo, in omaggio al principio di libertà di forma, imperante nel nostro ordinamento. Più precisamente, il contratto risolutorio di un preliminare non può mai incidere direttamente sui diritti reali immobiliari; ciò che viene risolto è solo l’obbligo delle parti di prestare il futuro consenso per la stipula del definitivo.
2) Prevale in dottrina[51] e in giurisprudenza la teoria che richiede la stessa forma del negozio che si risolve, perché ai negozi risolutori si deve applicare lo stesso formalismo richiesto per i negozi primari; ciò in virtù del c.d. principio della simmetria in base al quale l’atto risolutorio (o qualsiasi altro atto) è un fenomeno analogo e simmetrico rispetto all’atto della cui risoluzione si tratta e, pertanto, è necessaria per entrambi la medesima forma.
Gazzoni in particolare, afferma che l’onere formale deve imporsi se si ammette che il preliminare non è un qualsivoglia contratto ad effetti obbligatori. Se si accetta l’idea che il preliminare è, in buona sostanza, esso stesso un definitivo in itinere.
C) Ambito
Il contratto preliminare produce in ogni caso effetti obbligatori, mentre quello definitivo può essere ad effetti così reali come obbligatori.
Generale ammissibilità
Il contratto preliminare è figura generale, com’è confermato dalla sua collocazione nel codice (Titolo “dei contratti in generale”) esso, perciò, è astrattamente configurabile per qualsiasi tipo di contratto poiché all’autonomia contrattuale delle parti è rilasciata ampia libertà con l’unico limite previsto dall’art. 1351 riguardo alla forma.
Un inconveniente, come sarà esaminato più avanti, si può avere solo con riferimento all’esecuzione specifica, ammissibile non per tutti i contratti preliminari, ma solo qualora sia possibile (art. 2932,1co) in caso d’impossibilità materiale l’inadempimento darà luogo esclusivamente al risarcimento del danno.
E’ possibile il contratto preliminare per sé o per persona da nominare
nel senso che
a) questi riceve, come prestazione in suo favore, il diritto a stipulare il definitivo (egli, cioè, non sarà parte del preliminare, ma lo sarà del definitivo),
b) ovvero prevedendo che gli effetti finali dell’intera fattispecie saranno in suo favore.
La nomina può avvenire prima della stipula del definitivo e, in tal caso, sarà l’electus a dover stipulare quest’ultimo contratto, essendo divenuto parte contrattuale del preliminare (al posto dello stipulans), oppure può avvenire dopo il definitivo e, in tal caso, l’electus diventerà parte contrattuale esclusivamente del definitivo (sempre al posto dello stipulans).
Spesso accade che il preliminare sia sottoscritto dal promissario acquirente con la formula “per sé o per persona da nominare” perché così gli è concesso di fare dalla legge.
L’art. 1401 cod. civ. consente, infatti, a una delle parti di riservarsi, al momento della conclusione del contratto, la facoltà di nominare in un tempo successivo la persona che deve acquistare o assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso. La dichiarazione di nomina non ha effetto se non è poi accettata dalla persona nominata (art. 1402 cod. civ.). Una volta accettata, il terzo nominato acquista i diritti e assume gli obblighi derivati dal contratto sin dal momento in cui questo è stato stipulato (art. 1404 cod. civ.). Nel caso, invece, di mancata accettazione da parte del terzo, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari (art. 1404 cod. civ.).
Per la S.C.[52] la dichiarazione di nomina e l’accettazione del terzo devono essere fatte nella stessa forma del contratto, ma ciò non significa che debbano necessariamente essere consacrate in una formale dichiarazione diretta all’altro contraente, essendo sufficiente che a costui pervenga una comunicazione scritta indicante la chiara volontà di designazione del terzo, in capo al quale deve concludersi il contratto, e la sua accettazione.
Sotto un profilo processuale, per altra ultima pronuncia[53] di merito, concluso un contratto preliminare per sé o persona da nominare, qualora – stante l’inadempimento della parte promittente alienante – la domanda giudiziale per l’esecuzione specifica di tale contratto sia proposta da colui che ha sottoscritto il contratto e nella citazione introduttiva sia contenuta l’electio amicii, non costituisce una ipotesi di litisconsorzio necessario tra la persona nominata come acquirente e l’originario sottoscrittore.
Infatti, a seguito dell’esercizio del potere di nomina, il terzo subentra nel contratto, e, prendendo il posto della parte originaria, acquista i diritti e assume gli obblighi correlativi nei rapporti con l’altro contraente con effetto retroattivo, con la conseguenza che deve essere considerato fin dall’origine unica parte contraente, contrapposta al promettente e a questo legata dal rapporto costituito dallo stipulante.
Massima che fa seguito ad altra della S.C.[54] secondo la quale in caso di preliminare di compravendita nel quale il promissario compratore si sia riservato la facoltà di nominare un terzo, in proprio luogo, fino al tempo del rogito, qualora la electio amici non sia intervenuta prima di tale momento, unico soggetto legittimato ad agire per l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto è lo stipulante, il quale può ottenere la pronuncia di trasferimento direttamente a favore del terzo eletto, purché lo abbia nominato nella domanda giudiziale.
Ammissibilità del preliminare di compravendita di cosa altrui
Al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui (nella specie, un fondo indiviso) si adatta la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 cod. civ., con la conseguenza che il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva. Ne consegue che un siffatto contratto preliminare è valido, benché insuscettibile di esecuzione in forma specifica per via giudiziale ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.[55], e rimane assoggettato all’ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore[56].
In tema di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, l’obbligo del promittente venditore di procurare l’acquisto della proprietà della cosa può essere adempiuto sia mediante un siffatto acquisto da parte sua e con il trasferimento della relativa proprietà al promissario acquirente, sia mediante vendita diretta della cosa medesima dal terzo a detto promissario, purché tale trasferimento abbia luogo in conseguenza di una attività svolta dallo stesso promittente alienante nell’ambito dei suoi rapporti con il proprietario e che quest’ultimo manifesti, in modo chiaro e inequivoco, la volontà di vendere il bene al promissario acquirente e in ragione dell’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del promittente venditore[57].
Ammissibilità del preliminare di vendita di cosa futura
[58]
Il contratto preliminare di vendita di cosa futura ha come contenuto soltanto la stipulazione di un successivo contratto definitivo e costituisce, pertanto, un contratto in via di formazione idoneo a produrre, dal momento in cui si perfeziona, semplici effetti obbligatori preliminari, distinguendosi dal contratto di vendita di cosa futura che costituisce vicenda negoziale conchiusa ab initio direttamente attributiva dello ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa venga ad esistenza giusta il disposto dell’art. 1472 c.c.
Tuttavia, anche se è innegabile che la vendita del bene futuro costituisca contratto ad effetti obbligatori, piuttosto che reali, in quanto la sua ricostruzione in termini di vendita soggetta alla condicio iuris della venuta ad esistenza della res, non elide il fatto che, potendo formare oggetto di proprietà o di diritti reali solo beni già esistenti in natura, la condizione cui essa è sottoposta ha carattere sospensivo, di talché il trasferimento non si produce immediatamente, in virtù del puro e semplice consenso, dirimente, ai fini della distinzione tra le due figure negoziali, è che, mentre nella vendita di cosa futura non occorre un successivo atto di trasferimento, contenuto del preliminare di vendita di cosa futura è pur sempre l’obbligazione delle parti di stipulare il successivo contratto definitivo, obbligazione alla quale può aggiungersi, ove si tratti di cosa da costruire, quella – a carico del promittente venditore – avente ad oggetto la realizzazione del bene, obbligazione del cui adempimento lo stesso risponde secondo la comune disciplina in materia di responsabilità contrattuale[59].
Questione sull’ammissibilità di un preliminare di contratto preliminare
Per la dottrina[60] quasi unanime e per la giurisprudenza prevalente (antecedente alle sezioni unite del 2015) tale fatispoecie contrattuale sarebbe inammissibile, per difetto di causa; non si rinviene, infatti, alcuna funzione economica – sociale in un contratto il cui effetto non consiste nell’obbligo di concludere un secondo contratto, anch’esso preparatorio, strumentale ad un terzo contratto che realizzi tali interessi, dandone, finalmente, un definitivo assetto.
Successivamente parte della giurisprudenza ha ritenuto possibile un preliminare (contratto atipico con un’autonoma funzione economica – sociale, volto alla conclusione di un successivo preliminare) di un contratto preliminare, soprattutto in due ipotesi:
a) quando si tratta non di un vero e proprio preliminare ma di un semplice obbligo a contrarre;
b) oppure quando si tratta di un preliminare privo della forma notarile, cui sarebbe seguito da un preliminare munito della stessa (ossia una ripetizione negoziale), in funzione meramente riproduttiva di un accordo già concluso.
Per altra cassazione[61] il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l’interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione.
La sentenza 8038/09, così argomentava: l’art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi… ad obbligarsi a ottenere quell’effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito.
E proprio in merito a tale conflitto giurisprudenziale, con recente pronuncia la seconda sezione
Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza 12 marzo 2014, n. 5779
ha rimesso alle sezioni unite il quesito sulla validità a meno del preliminare di un contratto preliminare.
Si legge nella sentenza in commento che pur non ignorando il difetto di causa già sottolineato, si ritiene, tuttavia, che tale orientamento, nella sua assolutezza, potrebbe essere meritevole di precisazioni, con riferimento alle ipotesi che in concreto possono presentarsi.
In primo luogo, potrebbe dubitarsi della nullita’ del contratto preliminare il quale si limitasse a prevedere un obbligo di riproduzione del suo contenuto al verificarsi di determinate circostanze, come nel caso di specie, in cui la stipulazione di un “regolare contratto preliminare” era subordinata al consenso della parte alla cancellazione dell’ipoteca gravante (anche) sulla porzione immobiliare promessa in vendita.
Ma quello che piu’ conta e’ che il contratto preliminare di contratto preliminare non esaurisce il suo contenuto precettivo nell’obbligarsi ad obbligarsi, ma contiene – come nel caso di specie – anche l’obbligo ad addivenire alla conclusione del contratto definitivo.
Ora, appare difficile, in considerazione del principio generale di cui all’articolo 1419 c.c., comma 1, ritenere che la nullita’ dell’obbligo di concludere un contratto preliminare riproduttivo di un contratto preliminare gia’ perfetto possa travolgere anche l’obbligo, che si potrebbe definire finale, di concludere il contratto definitivo.
Alla luce di queste considerazioni ritiene il collegio che forse sarebbe opportuno l’intervento delle Sezioni Unite sul problema.
E l’intervento è arrivato,
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 6 marzo 2015, n. 4628
infatti le Sezioni unite hanno così stabilito: in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.
Ebbene tale pronuncia media tra le due posizioni.
Il percorso argomentativo è stato sviluppato, logicamente, sugli interventi precedenti della S.C.
Infatti si legge nella sentenza massimata che nella giurisprudenza della Cassazione (in particolare Cass. 2720/09) è stato già affermato sul punto con la seguente massima: in tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto non è configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà’ attuale di un accordo contrattuale; per tale valutazione, ben può’ il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre.
Stabilire se la formazione di un accordo che riguardi solo i punti essenziali del contratto di compravendita (Cass. 23949/08; 2473/13; 8810/03; 3856/83) sia sufficiente a costituire un contratto preliminare suscettibile di esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c. è questione di fatto che può risultare di difficile discernimento.
Si rinvengono, infatti, non poche massime secondo le quali ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. (Cass. 14267/06; 11371/10).
La questione rimessa alla Corte – si continua a leggere nella sentenza in commento – non riguarda il rilievo della volontà nella conclusione del contratto e se essa sia la sola via per stabilire quando il preliminare venga definitivamente formato: è chiesto invece di indagare sulla dinamica degli accordi contrattuali in tema di compravendita immobiliare.
È infatti evidente, affermano le sezioni unite, già da questa prima ricognizione quale sia l’incertezza del confine tra atto preparatorio e contratto preliminare, incertezza alimentata da una accentuata polarizzazione tra contratto preliminare (vincolante) da un lato e diniego di rilevanza negoziale, per difetto della causa, di accordi prodromici al preliminare, i quali al più vengono qualificati semplice “puntuazione”. Occorre pertanto stabilire se e in quali limiti sia riconosciuto nell’ordinamento un accordo negoziale che rimandi o obblighi i contraenti a un contratto preliminare propriamente detto.
La problematica risulta affrontata più volte nella giurisprudenza di merito. Trib. Salerno 23 luglio 1948 (Dir. Giur., 1949, 101) ebbe ad affermare che la legge, nel fissare i due tipi fondamentali di contratti (preliminare e definitivo), esclude l’esistenza di un contratto preliminare relativo ad altro preliminare, il quale dovrebbe comunque rispettare il requisito di forma di cui all’art. 1351 c.c. Il tribunale di Napoli (23.11.1982 in Giustciv. 1983, 1, 283; 21.2.1985 n. 1480 Dir Giur. 1985, 725) ha aggiunto che il contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un futuro contratto preliminare di analogo contenuto è nullo per mancanza di causa, “difettando di ogni funzione economica meritevole di tutela”. La trattatistica censisce vari altri casi (tra i quali: App Genova 21.2.2006, Obbl e contr., 2006, 648; App. Napoli 1.10.2003, Giur. mer. 2004, 63) che riecheggiano queste convinzioni. 4.1.1) Altre volte la giurisprudenza partenopea si è orientata in senso opposto.
App. Napoli 11 ottobre 1967, (Dir. Giur. 1968, 550) ha ritenuto che “in virtù del principio dell’autonomia negoziale” sia ammissibile un regolamento contrattuale che preveda, dopo la prima intesa scritta, un’ulteriore scansione temporale, con la stipulazione del contratto preliminare, legata al versamento di una caparra. Trib. Napoli 28 febbraio 1995 (Dir. Giur. 1995, 163) muovendo dallo stesso presupposto ha considerato meritevole di tutela “il contratto preliminare del preliminare qualora lo stesso costituisca un momento ben caratterizzato dell’iter progressivo per il raggiungimento del compiuto regolamento di interessi”.
In altri casi i giudici di merito hanno espressamente ritenuto di non avventurarsi nella analisi, poiché hanno ravvisato già nel primo contratto gli elementi sufficienti a qualificare come preliminare ex art. 1351 c.c. l’accordo documentato (Pret. Firenze 19.12.1989 Giur. merito, 1990, 466) ovvero, all’opposto, la configurabilità di una condizione sospensiva, il cui mancato avveramento impedisce il perfezionamento della fattispecie negoziale (Trib. Firenze 10 luglio 1999, Nuovo dir., 2000, 487).
Il ragionamento al quale si è rifatta Cass. 8038/09, e che nega la validità di un accordo ripetitivo, ha pregio se si ipotizza (come sembra sia stato comunque fatto anche in quel caso) che tra il primo e il secondo preliminare vi sia identità (bis in idem).
In tal caso, mancando un contenuto nuovo in grado di dar conto dell’interesse delle parti e dell’utilità del contratto, si è parlato di mancanza di causa. La parte di dottrina che è tendenzialmente contraria ad ammettere queste pattuizioni riconosce che nelle trattative complesse il contratto si può formare progressivamente, ma nega che si possa parlare di obbligo a contrarre, preferendo l’aspetto descrittivo dell’obbligazione di contrattare. Nega anche rilievo alla differenziazione basata sulla ricorribilità al rimedio di cui all’art. 2932 c.c. solo in relazione al secondo contratto.
Le Sezioni Unite della Corte hanno inteso cogliere gli aspetti costruttivi di quel moderno orientamento che vuole riconoscere la libertà delle parti di determinarsi e di fissare un nucleo di interessi da trasfondere nei vari passaggi contrattuali.
Infatti, certo è che, in linea di massima, la previsione di dover dar vita, in futuro, all’assunzione dell’obbligo contrattuale nascente dal contratto preliminare, può essere sintomatica del fatto che le parti hanno consapevolezza che la situazione non è matura per l’assunzione del vincolo contrattuale vero e proprio. Ciò può dipendere segnatamente in relazione al grado di conoscenza di tutti gli elementi di fatto che occorre aver presenti per manifestare la volontà il cui incontro da vita all’accordo vincolante consacrato nel contratto preliminare.
Tuttavia, continuano le sezioni unite, se ci si libera dell’ipotesi in cui appare che il primo contratto è già il contratto preliminare e che il secondo è, al più, solo la sua formalizzazione per la trascrizione, restano due “sequenze” variabili che si avvicinano:
A) quella delle mere puntuazioni in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo fissano una possibile traccia di trattative. In questa ipotesi, quanto maggiore e specifico è il contenuto, tanto più ci si avvicina al preliminare.
B) Quella in cui il contratto non è ancora un vero preliminare, ma una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l’accordo è irrevocabilmente raggiunto, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti.
Si tratta di un iniziale accordo che non può configurarsi ancora come preliminare perché mancano elementi essenziali, ma che esclude che di quelli fissati si torni a discutere. In questa ipotesi man mano che si impoverisce il contenuto determinato ci si allontana dal preliminare propriamente detto.
Ciò che conta chiarire è che, all’interno di una gamma di situazioni che ricevono risposte diverse, quelle contrassegnate sotto la lettera b sono riconducibili a una fase sostanzialmente precontrattuale, in cui la formazione del vincolo è limitata a una parte del regolamento. La violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, da luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
È evidente, concludono le sezioni unite, come questa linea interpretativa impone di vagliare caso per caso l’emergere dell’interesse delle parti, di questa loro volontà di rinviare il momento in cui operano sia l’integrazione suppletiva ex art. 1374 c.c. sia la cogenza del meccanismo proprio del preliminare ex art. 1351 e 2932 c.c.
Successivamente, sono intervenute anche le sezioni semplici
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23736.
andando nuovamente a chiarire che in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti; ove tale verifica dia esito negativo, potrà ritenere produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti ad una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte del merito, escluso che l’accordo intervenuto tra le parti potesse essere considerato un contratto preliminare di compravendita immobiliare lo ha qualificato quale contratto preliminare di preliminare, dichiarandolo, al contempo, nullo per difetto di causa, omettendo in tal modo di verificare la sussistenza di una causa concreta dell’accordo dichiarato nullo tale da renderlo meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, in quanto inserito in una sequenza procedimentale differenziata, secondo un programma di interessi realizzato gradualmente)
Contratti reali
A) la tesi negativa si basa, in particolare, sull’impossibilità di ottenere la sentenza costitutiva ex art. 2932, in considerazione del fatto che questa può supplire alla mancanza del consenso, ma non alla mancanza della consegna del bene (elemento perfezionativo dei contratti reali al pari del consenso.
B) Sembra preferibile la tesi positiva[62] anche se nei confronti dell’inadempiente non si potrà ottenere la sentenza costitutiva dell’art. 2932 c.c[63].
Contratto di donazione
Alcuni autori[64] e la giurisprudenza individuano l’unico limite nel contratto di donazione.
Dal momento che sarebbe di ostacolo all’assunzione di un vincolo preliminare la necessaria spontaneità che caratterizza l’atto liberale. Infatti se la donazione è stipulata in esecuzione di un precedente vincolo obbligatorio, non potrebbe più parlarsi di liberalità ma di doverosità. Qualche spunto in senso contrario potrebbe ricavarsi dall’art. 769 che prevede anche la donazione obbligatoria con cui il donante assume verso il donatario un’obbligazione. In tal modo peraltro l’atto donativo finirebbe per identificarsi con il contratto preliminare e non con quello definitivo.
Costante l’opinione della giurisprudenza[65] che ne esclude l’applicabilità alla donazione, sul presupposto della mancanza di spontaneità del promittente donante nel momento in cui sottoscrive il contratto preliminare con cui promette in modo vincolante di donare successivamente: è proprio l’assunzione di tale suo futuro impegno che priva la donazione di uno dei suoi elementi essenziali, rappresentati appunto, oltre che dalla forma dell’atto pubblico da redigersi alla presenza di testimoni, anche dalla spontaneità dell’animus donandi, incompatibile quest’ultima con l’effetto meramente obbligatorio del contratto preliminare. Il che non significa che l’invalidità colpisca il preliminare relativo a qualsiasi altro contratto gratuito diverso dalla donazione, quali possono essere quelli che, benché gratuiti, sono caratterizzati da un interesse economico del disponente idoneo a escludere il suo animo liberale, quali possono essere quelli avente a oggetto il trasferimento della proprietà di beni mobili o immobili stipulati in occasione di separazione tra coniugi o di divorzio. A evitare, però, di incorrere nella nullità di simile contratto preliminare, è necessario che in esso sia espressamente menzionato l’interesse patrimoniale che giustifica la mancanza del corrispettivo: solo in tal modo è possibile ovviare alla nullità che colpisce il contratto preliminare di donazione, quand’anche esso, per i motivi di cui si è detto, sia adottato con atto pubblico e alla presenza di testimoni.
Contratto di società
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’ammettere il contratto preliminare di ogni tipo di società.
I contrasti riguardano, invece, la possibilità di ottenere, oltre al risarcimento del danno, anche la sentenza costitutiva dell’art. 2932 in caso d’inadempimento.
1) Lateoria negativa[66] si basa soprattutto sulla considerazione che l’affectio societatis, elemento costitutivo del contratto di società, non può essere sostituita dalla sentenza del giudice.
2) La teoria positiva[67] sembra preferibile, la quale non ritiene valido l’argomento dell’opposta teoria. La necessaria mancanza della affectio societatis nella sentenza costitutiva non è rilevante poiché riguarda la volontà che, per tutti i contratti può essere sostituita dalla sentenza del giudice.
La particolarità di tale contratto preliminare consiste nel fatto che la proprietà del bene immobile che si promette di conferire non passa in capo ai soci, bensì alla società. Si configura, dunque, un’ipotesi di contratto a favore del terzo ex art. 1411 cod. civ., dove il socio conferente promette agli altri soci di trasferire la proprietà di un suo immobile alla società conferitaria, a un soggetto, dunque, terzo rispetto alle parti stesse.
In caso di inadempimento del conferente, è ben esperibile l’azione di cui all’art. 2932 cod. civ., con la conseguenza che la relativa sentenza costituirà titolo per la costituzione della società e per il trasferimento in capo a essa della proprietà immobiliare che si è promesso di conferire.
E’, però, indispensabile che nel contratto preliminare venga esattamente specificato il tipo di società che si è promesso di costituire, a nulla valendo il generico riferimento a società di capitale o di persone, non potendosi attribuire al giudice chiamato a decidere ex art. 2932 cod. civ. il potere di sostituirsi alle parti nella definizione dell’incompleto contenuto negoziale, dovendo egli limitarsi a emettere una pronuncia che tenga luogo del contratto indicato dalle parti stesse.
Alla mancata individuazione della tipologia della costituenda società (e, quindi, del terzo a cui trasferire la proprietà del bene immobile) consegue la nullità del contratto preliminare di società, con la conseguenza che il bene immobile continua a restare nel patrimonio del promittente, andando la nullità a colpire l’intero patto sociale, senza che gli altri futuri soci possano pretendere alcunché[68].
Precedentemente la stessa S.C.[69] aveva affermato che nche in relazione al contratto preliminare avente per oggetto la costituzione di una società di persone può farsi luogo all’emanazione della sentenza prevista dall’art. 2932 c.c., sempre che non ricorrano le ipotesi di esclusione previste dalla seconda parte del primo comma e dal secondo comma dello stesso articolo.
Contratto di mutuo
Anche con riguardo al contratto di mutuo è configurabile un contratto preliminare consistente in una promessa de mutuo dando e de mutuo accipiendo, che la legge prevede e disciplina, a determinati effetti, all’art. 1822 c.c. e che, anche se non dà titolo — stante l’insuscettibilità dell’obbligazione del promittente di esecuzione in forma specifica — ad ottenere la sentenza prevista dall’art. 2932 c.c., è pur sempre produttivo di un rapporto giuridico, generatore di diritti ed obblighi tra le parti. Con la conseguenza che la stipulazione di un tale preliminare, per effetto dell’intervento del mediatore, configura conclusione dell’affare e fa sorgere, in capo al mediatore, il diritto alla provvigione previsto dall’art. 1755 c.c.[70]
D) Termine e condizione
A) Il contratto preliminare potrà contenere un termine d’efficacia – il contratto definitivo non avrà luogo se le parti non lo richiederanno entro 2 anni –
B) Il contratto preliminare dovrà contenere un termine d’adempimento – il contratto definitivo sarà stipulato tra 1 anno; diversamente le parti non avrebbero ragione di stipulare il preliminare, ma il definitivo.
Quale è la normativa applicabile nel caso in cui non è stato fissato un termine entro il quale stipulare il definitivo (TERMINE D’ADEMPIMENTO).
Gazzoni – poiché si tratta di un termine non di efficacia, ma di adempimento (troverà applicazione l’art. 1183) dell’obbligo di contrarre, le parti essendo un termine necessario potranno rivolgersi al giudice
– per la fissazione del termine e non potranno chiedere il definitivo (poiché se le parti avessero voluto subito il definitivo, non avrebbero stipulato il preliminare)
– oppure potranno ottenere il contratto definitivo nell’ordinario periodo decennale di prescrizione[71], che decorre dalla stipulazione del contratto preliminare.
Per la S.C.[72] il contratto preliminare è fonte di obbligazioni al pari di ogni altro contratto ed il suo particolare oggetto (cioè l’obbligo di concludere il contratto definitivo) non esclude che, nell’ipotesi in cui la data della stipulazione del contratto definitivo non sia stata determinata né in sede convenzionale né in sede giudiziale, sia applicabile, ai sensi dell’art. 1183 c.c., la regola dell’immediato adempimento, con la conseguenza che, a norma degli artt. 2932, 2934, 2935 e 2946 c.c., il termine di prescrizione decennale del diritto alla stipulazione di un contratto definitivo di compravendita inizia a decorrere dal giorno del pagamento, o dell’offerta di pagamento, del prezzo.
Per Scognamiglio l’inizio del termine prescrizionale coincide con la scadenza fissata dal giudice ex art. 1183 o, come ovvio, con il termine fissato dalle parti stesse nel preliminare.
Questo perché:
1) non è immediatamente esigibile la prescrizione del consenso definitivo (art. 2935);
2) non può affermarsi che è, però., prescrittibile il diritto di chiedere al giudice la fissazione di un termine ex art. 1183, in quanto tale richiesta non è oggetto di autonomo diritto, ma è una semplice facoltà.
Per Gazzoni il termine è imprescrittibile – poiché secondo l’autore la Cassazione confonde la prescrizione del diritto con la prescrizione dell’actio interrogatoria, che, invece è, di per sé, imprescrittibile, almeno se inquadrata tra le azioni di accertamento o determinative, potendo esser esercitata fino a quando può essere esercitato il diritto cui si riferisce.
Altri autori[73] ricorrono, per analogia, all’art. 1331 (in tema di opzione) e, pertanto ritengono che il giudice potrà stabilire un termine finale, scaduto il quale il contratto preliminare non avrà più efficacia.
Per la Corte di Piazza Cavour[74] scrivere ”entro e non oltre” non basta a qualificare il termine come essenziale.
Il termine, contenuto all’interno di un contratto preliminare, “entro e non oltre” il quale le parti convengono la stipula del definitivo, non può essere considerato, di per sé, “essenziale”, trattandosi solo di uno degli elementi da considerare al fine di stabilire se i contraenti abbiano voluto assegnare una decisiva valenza a tale data.
Lo ha stabilito Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 25 ottobre 2010, n. 21838 con la quale si evidenzia, inoltre, come, nel caso in cui l’affare salti, il promissario acquirente adempiente che rinunci alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno perché vuole la restituzione del doppio della caparra versata, potrà ottenerla solo se l’inadempimento del promittente venditore risulti “grave”.
La giurisprudenza di legittimità dominante, richiamata nella sentenza che qui si annota, ritiene che il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo”. Tale volontà, continuano gli ermellini, “non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata.
L’impiego dell’espressione in questione, pertanto, è da ritenersi insufficiente a far considerare senz’altro il termine come essenziale, anche se non implica, di per sé, che esso non lo sia, trattandosi di un dato da prendere in considerazione insieme con tutti gli altri elementi utili ad accertare se le parti abbiano inteso, o meno, attribuire al termine quel carattere.
Precedentemente la stessa Cassazione[75] stabiliva che il termine per la stipulazione del contratto definitivo, fissato con il contratto preliminare, valendo ad indicare, oltre il periodo di efficacia del vincolo obbligatorio, anche la data di scadenza della tipica obbligazione di prestazione del consenso per il contratto definitivo, è soggetto alla disciplina generale dei contratti con prestazioni corrispettive, sicché l’inutile suo decorso può determinare la risoluzione di diritto del preliminare solo nel caso di essenzialità del termine medesimo, secondo la previsione dell’art. 1457 c.c., occorrendo, altrimenti, l’iniziativa della parte interessata, ai sensi degli artt. 1453 e 1454 c.c.
Con altra pronuncia
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 aprile 2014, n. 9278
è stato nuovamente ribadito che nel contratto preliminare di compravendita, l’essenzialità del termine per la stipula del definitivo va desunta non già da una mera formula di stile ma dalla volontà delle parti come emergente da specifiche espressioni adoperate dai contraenti dalle quali desumere l’intenzione di considerare ormai venuta meno l’utilità perseguita nel caso di conclusione del contratto definitivo oltre la data stabilita (Cass. 15/10/2007 n. 21587)
Condizione
Nessun problema specifico sorge relativamente alla condizione.
Bisogna distinguere:
1) La condizione relativa al contenuto stesso del contratto (le parti s’impegnano a concludere entro un mese il contratto di compravendita del fondo tuscolano e la vendita sarà sottoposta alla condizione sospensiva che, entro un anno, il suolo diventi edificabile); questo tipo di condizionamento non ha molta utilità in quanto le parti già hanno a disposizione lo strumento del preliminare per valutare le sopravvenienze;
2) La condizione che riguarda l’efficacia del preliminare (le parti si impegnano a concludere il contratto definitivo se Tizio contrarrà matrimonio).
Con ultima pronuncia la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3207
ha ribadito che la vendita di un terreno, stipulata per consentire all’acquirente una sua utilizzazione edificatoria, al momento non permessa dagli strumenti urbanistici, e venga quindi sottoposta alla condizione sospensiva della futura approvazione di una variante di detti strumenti che contempli quell’utilizzazione, non è affetta da nullità, né sotto il profilo dell’impossibilità dell’oggetto, né sotto il profilo dell’impossibilità della condizione, dovendosi ritenere consentito alle parti di dedurre come condizione sospensiva anche un mutamento di legislazione o di norme operanti “erga omnes”, salva restando l’inefficacia del contratto in conseguenza del mancato verificarsi di tale mutamento (Cass. 10-1-1986 n. 74).
E) La sentenza costitutiva
art. 2932 c.c esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto: se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo (le parti , nell’esercizio della loro autonomia, possono escludere l’esperibilità di tale rimedio in sede di stipula del contratto preliminare), può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (c.c.2908).
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione (c.c.1208 e seguenti) o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile (disp.di att. al c.c. 246).
1) Natura
art. 2908 c.c. effetti costitutivi delle sentenze: nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
La sentenza [(costitutiva[76]) o (dichiarativa) è difficile stabilirlo, soprattutto esser proclive verso l’una a discapito dell’altra, determina delle conseguenza pratiche non irrilevanti, infatti, ammettendo la natura costitutiva significa ampliare i poteri del giudice, simili a quelli previsti in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, invece, preferendo la seconda al giudice sono limitati i poteri, il quale non può riprodurre che gli stessi effetti previsti dal preliminare], produce gli effetti del contratto non concluso, cosicché l’adempiente diverrà proprietario del bene in forza della sentenza e non del contratto.
Il titolo di proprietà, dunque, sarà la sentenza che, infatti, va trascritta così come la domanda in caso di vicende immobiliari.
Di recente la Cassazione[77] ha stabilito, applicando a parere di chi scrive il principio della natura dichiarativa, che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, con la conseguenza che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, ai sensi dell’art. 2932 c.c., la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche.
Principio già enunciato in altra sentenza[78] secondo il quale la sentenza costitutiva che — a norma dell’art. 2932 cod. civ. — tiene luogo del contratto definitivo non concluso non può introdurre varianti al contenuto del contratto preliminare, ancorché riguardanti le sole modalità di esecuzione di una delle prestazioni, ma deve rispecchiare integralmente le previsioni negoziali quali risultano dall’interpretazione del contratto preliminare, con la conseguenza che è inammissibile la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ. che importi una modalità della prestazione non prevista dal contratto preliminare.
In merito agli effetti della sentenza, per la S.C.[79] in tema di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, l’effetto traslativo della sentenza pronunciata ex art. 2932 cod. civ. si determina, stantene l’efficacia costitutiva ex nunc, dal momento del suo passaggio in giudicato, onde solo da tale momento sorge, a carico promissario acquirente, il correlato obbligo di adempimento cui il detto effetto sia stato subordinato, rappresentando tale momento, inoltre, il dies a quo per l’adempimento entro un termine che non sia stato espressamente determinato ma solo qualificato (nella specie, in termini di «immediatezza») ai fini della sua determinazione.
Per quanto riguarda l’adempimento della controprestazione da parte del richiedente secondo la giurisprudenza[80](es. promissorio acquirente, pagamento del prezzo) della sentenza costitutiva bisogna fare questa seguente distinzione
A) termine per fare il pagamento
- se non era previsto (nel preliminare) il termine entro il quale fare il pagamento
- ovvero era fissato ad una data coeva o successiva alla stipula del definitivo,
la giurisprudenza, afferma che la sentenza costituiva che trasferisce il bene all’acquirente, debba essere condizionata sospensivamente al pagamento del prezzo da parte di quest’ultimo al fine di garantirne il venditore, il quale perderebbe subito la proprietà del bene, senza aver ancora ricevuto il corrispettivo e, in caso di successivo inadempimento dell’acquirente, avrebbe il meno efficace rimedio della risoluzione. A sua volta l’acquirente è tutelato con la trascrizione della sentenza.
B) Se, invece, il preliminare prevede il pagamento del prezzo prima della stipula del definitivo, il promissario acquirente non potrà chiedere la sentenza costitutiva se prima non avrà effettuato tale pagamento.
E’ bene sottolineare che da ultimo la S.C.[81] con ultima pronuncia ha stabilito che ove per accordo delle parti la controprestazione debba essere eseguita al momento della stipula del contratto definitivo o successivamente, la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. è pronunciata indipendentemente da qualsiasi offerta e il pagamento del prezzo o della parte residua dello stesso è imposto dal giudice quale condizione dell’effetto traslativo derivante dalla sentenza stessa.
Poi, sempre per la S.C.[82] in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 cod. civ., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo. Dunque, l’azione di esecuzione specifica del contratto a norma dell’art. 2932 cod. civ. e l’actio quanti minoris ben possono cumularsi ed essere, quindi, proposte con il medesimo atto.
- Per i contratti obbligatori con prestazioni di fare (non dunque la locazione là dove c’è l’obbligo della consegna, eseguibile forzatamente), ha poco senso sostituire all’obbligo preliminare quello definitivo, che sarebbe parimenti inadempiuto. Tanto vale risolvere il preliminare, piuttosto che gli effetti della sentenza, atteso oltretutto che il risarcimento del danno è lo stesso.
- In caso di preliminare di vendita di bene futuro[83], se al momento del procedimento il bene è venuto ad esistenza, è possibile ottenere la sentenza che ne trasferisca la proprietà.
In caso contrario[84] è possibile ugualmente ottenere la sentenza che crei il titolo per il futuro ed automatico trasferimento quando il bene verrà ad esistenza, se si accerta che, in realtà, le parti volevano concludere un definitivo di vendita di bene futuro.
- In tema di preliminare avente ad oggetto immobile da costruire con il decreto attuativo della legge 210/2004, il legislatore – tra le varie forme di tutela introdotte a favore dell’acquirente di immobile da costruire – ha previsto anche l’obbligo di conformare il contratto preliminare, nonché qualsiasi altro contratto comunque diretto al successivo trasferimento della proprietà o di diverso diritto reale di godimento, a un contenuto “minimo”. La disciplina sul punto è dettata dall’art. 6 del D.Lgs. 122/2005.
Il D. Lgs. n. 122/2005 ho introdotto nuovi strumenti di tutela a favore di chi stipula contratti aventi ad oggetto immobili da costruire o in costruzione, tra i quali la prescrizione di una serie di contenuti necessari del contratto.
Il contratto preliminare dovrà contenere: le indicazioni previste all’art. 2659, comma 1, n. 1) e all’art. 2826 comma 1, cod. civ.; la descrizione dell’immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del contratto; gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per l’ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l’elencazione dei vincoli previsti; le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi e agli impianti; i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle varie fasi di lavorazione; l’indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalità per il suo pagamento, la specificazione dell’importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalità di corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice e alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell’avvenuto pagamento; gli estremi della fideiussione; l’eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo sull’immobile con l’indicazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore risultano e del titolo dal quale derivano, nonché la pattuizione espressa degli obblighi del costruttore a esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita; gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimenti abilitativi alla costruzione; l’eventuale indicazione dell’esistenza di imprese appaltatrici, con la specificazione dei relativi dati identificativi.
Sulle garanzie previste interessante appare ultima sentenza delle Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 18 settembre 2020, n. 19510
che ha avuto modo di precisare alcuni presupposti:
<<Il Decreto Legislativo n. 122 del 2005, articolo 2, comma 1 prevede che: “All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalita’ il trasferimento non immediato della proprieta’ o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalita’, ovvero in un momento precedente, il costruttore e’ obbligato, a pena di nullita’ del contratto che puo’ essere fatta valere unicamente dall’acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall’articolo 1938 c.c., di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalita’ stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprieta’ o di altro diritto reale di godimento”.
4.2.Si tratta di un’ipotesi di nullita’ di protezione avente carattere relativo, che puo’ essere proposta o eccepita dall’acquirente, nel suo esclusivo interesse, in quanto soggetto debole nell’ambito dell’operazione contrattuale di compravendita immobiliare.
4.3. La questione di diritto, posta all’attenzione di questa Corte riguarda l’operativita’ della nullita’ nell’ipotesi in cui la fideiussione sia rilasciata in un momento successivo.
4.4. Questa Corte, in una recente pronuncia, ha affermato che una volta che sia stata rilasciata la garanzia prescritta per legge in data successiva alla stipula del preliminare, e senza che nelle more si sia manifestata l’insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l’interesse del promissario acquirente, la proposizione della domanda di nullita’ di protezione prevista dal Decreto Legislativo n. 122 del 2005, articolo 2 costituisce abuso del diritto (Cassazione civile sez. II, 22/11/2019, n. 30555).
4.5. Si osserva in motivazione che il Decreto Legislativo n. 122 del 2005 non prevede la convalida o la conferma del contratto nullo, sicche’ deve farsi ricorso all’articolo 1423 c.c., che prevede la convalida del negozio nullo nei soli casi espressamente previsti dalla legge.
4.6. In tale ipotesi, l’indagine da svolgere attiene alla meritevolezza dell’interesse del promissario acquirente a far valere la nullita’ qualora la fideiussione sia stata comunque rilasciata e non si sia manifestata l’insolvenza del debitore.
4.7. La tutela del soggetto debole, nel cui interesse e’ prevista la nullita’ di protezione deve, infatti coniugarsi con i principi di buona fede nell’esecuzione del contratto, al fine di evitare che lo strumento si presti a forme di abuso, che consentano al promittente acquirente di sciogliersi dal vincolo contrattuale con il preteso del mancato rilascio della fideiussione.
4.8.Questo collegio, condivide l’orientamento espresso da Cassazione civile sez. II, 22/11/2019, n. 30555, secondo cui, in caso di rilascio della fideiussione in un momento successivo alla conclusione del contratto, va verificato se l’immobile oggetto del preliminare sia stato ultimato e sia agibile perche’, in tale ipotesi, verrebbe meno la necessita’ della tutela in favore del soggetto debole, che non e’ piu’ in pericolo.
4.9.La proposizione della domanda di nullita’ quando l’interesse protetto dalla norma non abbia piu’ ragione di temere alcun pregiudizio (per essere stato comunque assicurato l’interesse che la condizione asimmetrica dei contraenti avrebbe potuto pregiudicare o, addirittura, per essere stato gia’ attuato l’interesse primario cui mirava il regolamento negoziale) risulta, infatti, funzionale non ad attuare il fine di protezione perseguito dalla legge, ma il diverso fine di sciogliere il contraente da un contratto che non reputa piu’ conveniente o di aggirare surrettiziamente gli strumenti di reazione che l’ordinamento specificamente appronta avverso le condotte di inadempimento della controparte.
4.10.Le Sezioni Unite, del resto, hanno di recente avuto modo di affermare che ove venga istituita dal legislatore una nullita’ relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullita’, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche” (Cass. Sez. Un. N. 898/2018, pag. 15).>>
In tema è intervenuta la S.C.[85], con la sentenza secondo la quale è valido il contratto preliminare avente ad oggetto edifici esistenti soltanto “sulla carta” pur se manca l’indicazione, nel contratto stesso, degli estremi del titolo che abilita a costruire o della sua richiesta.
Sono da ritenersi immobili da costruire, in base a tale normativa, tutti quegli immobili che si trovano in uno stadio di costruzione che si colloca tra i seguenti due momenti temporali della fase progettuale – edificatoria: dal lato iniziale, dopo l’avvenuta richiesta del permesso di costruire o l’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività; dal lato finale, prima del completamento delle finiture e della conseguente richiesta del certificato di agibilità.
Il riferimento alla presentazione del permesso di costruire come elemento iniziale del predetto arco temporale dunque esclude dall’ambito di applicazione della disciplina di tutela il contratto preliminare avente ad oggetto edifici esistenti soltanto “sulla carta”, ossia già allo stato di progetto ma per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente.
Nel caso affrontato dalla S.C., al momento della stipulazione del preliminare l’immobile da costruire era esistente soltanto “sulla carta”, ma non era ancora stato neppure richiesto il permesso di costruire o presentata la denuncia di inizio di attività, l’immobile negoziato non rientra tra quelli oggetto del presente decreto (per usare l’espressione contenuta nell’incipit dell’art. 6, comma 1), perchè non ricade nell’intervallo temporale che consente di intenderlo “da costruire” ai fini dell’applicazione della normativa introdotta dal D.Lgs. n. 122 del 2005.
Mentre, come da altro arresto
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009
in assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto, successivamente prodotto in giudizio degli estremi della concessione edilizia, ed, in mancanza di allegazione della domanda di concessione in sanatoria, con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non puo’ pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’articolo 2932 c.c., perche’ la Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, comma 2, che richiede le predette dichiarazioni o allegazioni, a pena di nullita’, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitu’ o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti indirettamente, influisce, anche, sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all’articolo 2932 c.c., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non puo’ realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti; il limite predetto non puo’ essere superato dalla astratta possibilita’ della successiva sanatoria della nullita’, prevista, per i contratti, dall’articolo 40, comma 4 (che espressamente consente la successiva “conferma”, con effetto sanante, del negozio viziato), attesa l’evidente incompatibilita’ tra l’istituto della conferma dell’atto nullo, previsto dalla predetta disposizione, e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorita’ del giudicato che questa e’ destinata ad acquistare.
Principio, ripreso anche da altra recente sentenza della S.C.
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 34679.
secondo cui In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su di un immobile o su un terreno, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia relativa all’immobile e del certificato di destinazione urbanistica relativo al terreno, trattandosi di condizioni dell’azione, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio, non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale. Tuttavia, la mancata produzione della predetta documentazione, che, come detto, non costituisce un presupposto della pretesa azionata, bensì una condizione dell’azione, giustifica la sua acquisizione, anche officiosa, in forza dei poteri del giudice di cui all’art. 213, cod. proc. civ., sottraendosi al principio dispositivo proprio del processo civile (Nel caso di specie, richiamati gli enunciati principi, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata per avere nella circostanza il giudice d’appello escluso che l’attore, odierno ricorrente, potesse produrre il certificato di destinazione urbanistica del terreno oggetto di trasferimento, quale fatto sopravvenuto non coperto da un precedente giudicato).
In difintiva, poi, è importante sottolineare il termine prescrizionale decennale per la richiesta della sentenza costitutiva, poiché – come previsto da altra pronuncia della S.C. –
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 16669 del 3 luglio 2013
la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta per il promissario acquirente, che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e il godimento anticipati della cosa, l’obbligo di restituzione, a norma dell’art. 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (“condictio indebiti ab causam finitam”), non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione.
Inoltre, sempre a mente di altra sentenza già menzionata,
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009
ai fini dell’interruzione della prescrizione come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: deve in primo luogo rilevarsi che non e’ da condividere l’assunto secondo il quale nell’ipotesi di azione ex articolo 2932 c.c., unico atto idoneo ad interrompere la prescrizione sarebbe la citazione, dato che alla stregua della previsione di cui all’articolo 2943 c.c., la prescrizione e’, inoltre, interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.
Nel caso in esame, il termine di prescrizione deve ritenersi interrotto dalle missive prodotte omunque, certamente dalle raccomandate con ricevuta di ritorno con le quali il dante causa dell’appellante ha tra l’altro sostanzialmente comunicato di essere in attesa dell’invito per la stipula del rogito. E’ di tutta evidenza, pertanto, che nel caso concreto, per quanto sia stato accertato dalla Corte di merito, il diritto ad ottenere il consenso alla stipula del contratto definitivo, e, in ultima analisi, il diritto ad ottenere il contratto definitivo, secondo quanto concordato con il contratto preliminare, non era prescritto nel momento in cui chiedeva l’emissione di una sentenza, ad effetti costitutivi, che tenesse luogo del consenso non prestato, cioe’, nel momento in cui, era costretto a chiedere cio’ che il promittente venditore non intendeva prestare, nonostante ripetutamente richiesto (in tal senso cfr. Cass. n. 7524 del 2006).
Correttamente, poi, la Corte distrettuale ha ritenuto che le missive di cui si dice erano idonee ad interrompere il termine prescrizionale del diritto, al consenso per la stipula del contratto definitivo.
E’ sufficiente al riguardo richiamare quanto e’ stato gia’ detto da questa Corte in altra occasione (Cass. n. 24656 del 2010; n. 7524 del 2006 ) in tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’articolo 2943 c.c., perche’ un atto abbia efficacia interruttiva e’ necessario che lo stesso contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora.
2) Quando è impossibile
- Per i contratti reali[86]
per i quali non può concepirsi una consegna coattiva.
- In presenza di un preliminare di vendita di un bene altrui[87] per difetto di titolarità, salvo che nel corso di giudizio il promittente venditore di cosa dichiaratamente altrui si obbliga non già a concludere il contratto definitivo di vendita di cosa altrui ma a procurare al promettente acquirente l’acquisto della proprietà della cosa attraverso:
a) sia acquistando a sua volta previamente il bene dal terzo proprietario per venderlo poi alla controparte.
b) Sia inducendo il proprietario stesso a dare il proprio consenso alla vendita in sede di stipula del contratto definitivo.
c) Inducendolo a vendere direttamente al promittente acquirente.
- In presenza di un preliminare di vendita di un immobile abusivo
Come è noto, gli artt. 17 e 40 della L 28 febbraio 1985, n.47 sanciscono la nullità dei trasferimenti immobiliari che non contengano la prevista dichiarazione (licenza – concessione o permesso edilizio) concernente la regolarità dell’edificio in oggetto rispetto alla disciplina urbanistica vigente
Occorre innanzitutto dire che il preliminare, secondo
A) la dottrina[88] e la giurisprudenza prevalente[89] non deve contenere le dichiarazioni urbanistiche. Infatti, dal tenore letterale degli artt. 17 e 40 restano esclusi i contratti con effetti meramente obbligatori, tra i quali il preliminare.
B) Le teoria contraria[90], che riteneva applicabile anche al preliminare gli art. di cui sopra, faceva leva sulla constatazione che il contratto in esame è preordinato al trasferimento immobiliare, considerata anche la possibilità di esecuzione in forma specifica.
Chiarito questo punto occorre però stabilire se sia possibile dare esecuzione ex art. 2932 ad un contratto preliminare privo delle suddette menzioni, nel caso in cui uno dei due contraenti non voglia addivenire alla stipula del definitivo.
1 – A ipotesi –
la sentenza costitutiva sarà possibile
1) quando l’immobile successivamente è divenuto regolare, quindi commerciabile – in tal caso la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria affermano che il promettente alienante può rendere in giudizio la dichiarazione urbanistica o i relativi documenti;
2) in caso contrario, sarà il promissorio acquirente a poterli rendere, come è stabilito dall’art. 40 3 co, che prevede la conferma mediante atto successivo, ad opera di una qualsiasi delle parti.
2– A ipotesi
la sentenza non sarà possibile
Quando l’immobile promesso in vendita è abusivo.
In tal caso, è pacifico che la sentenza ex art. 2932 non sarà possibile, in quanto l’immobile è incommerciabile e sarebbe assurdo e contraddittorio ammetterne il trasferimento per sentenza ad opera del giudice (che deve invece, garantire la legalità).
La giurisprudenza della Cassazione ha piu’ volte ribadito (Cass. 17 giugno 1999 n. 6018; Cass. 11 luglio 2005 n. 14489; Cass. 24 aprile 2007 n. 9849) che la sanzione di nullita’, prevista dalla Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domanda corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex articolo 2932 c.c.. Peraltro, poiche’ la procedura di cui all’articolo 2932 c.c. opera in funzione sostitutiva della volontà del contraente inadempiente, se fosse consentita l’emanazione di tale sentenza senza l’osservanza della Legge n. 47 del 1985, articolo 40, l’indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il provvedimento dell’autorità giudiziaria, sarebbe possibile l’ottenimento di un effetto maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.
Per tale motivo la Cassazione (Cass. 9 dicembre 1992 n. 13024; Cass. 27 aprile 2006 n. 9647; Cass. 22 maggio 2008 n. 13225, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 aprile 2014, n. 8081, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009) ha affermato che, in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’articolo 2932 c.c., perchè l’articolo 40, comma 2, legge cit., che richiede la predetta dichiarazione o allegazione, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitù o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all’articolo 2932 c.c., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti. E tale limite non può essere superato dalla astratta possibilità della successiva sanatoria della nullità, prevista per i contratti, dell’articolo 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva “conferma”, con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l’evidente incompatibilità tra l’istituto della conferma dell’atto nullo previsto dalla predetta disposizione e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare.
Per la S.C.[91] in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. non solo qualora l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità della concessione e manchi la sanatoria.
Nel caso in cui, invece, l’immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo.
Con altro arresto la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 aprile 2014, n. 8081
ha confermato il precedente indirizzo riaffermando che in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, non puo’ essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex articolo 2932 c.c., non solo allorchè l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformita’ dalla concessione e manchi la sanatoria. Ove, invece, l’immobile – munito di regolare concessione e di permesso di abitabilita’, non annullati ne’ revocati – abbia un vizio di regolarita’ urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformita’ rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di una nuova scala esterna), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perche’ il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo, ed e’ pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dalla promissaria acquirente.
Ancora secondo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 dicembre 2015, n. 24852
la Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articoli 17 e 40 comminano la nullita’ degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarita’ del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Pertanto nessuna invalidita’ deriva al contratto dalla difformita’ della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarita’ sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche (Sez. 2, Sentenza n. 26970 del 07/12/2005, Rv. 586080).
Piu’ in particolare – si continua a leggere nella sentenza in commento – secondo la giurisprudenza della medesima Corte, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, non puo’ essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex articolo 2932 cod. civ. non solo qualora l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformita’ della concessione e manchi la sanatoria. Nel caso in cui, invece, l’immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilita’, non annullati ne’ revocati, abbia un vizio di regolarita’ urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformita’ rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perche’ il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo ed e’, pertanto, illegittimo il rifiuto del promittente venditore (nella specie, a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a precedente rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promissario acquirente (Sez. 2, Sentenza n. 20258 del 18/09/2009, Rv. 609669; v. anche Sez. 2, Sentenza n. 8081 del 07/04/2014, Rv. 630399, secondo cui, ai sensi dell’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, l’irregolarita’ urbanistica che non oltrepassa la soglia della parziale difformita’ dalla concessione – come, nella specie, la presenza di scala esterna – non impedisce l’emanazione della sentenza ex articolo 2932 cod. civ., perche’ il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo).
Alla stregua dei richiamati principi – conclude la Cassazione – la previsione della nullita’ – e corrispondentemente, la preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva – non e’ applicabile nel caso di specie, in quanto si tratta di immobile costruito sulla base di regolare concessione edilizia, nel quale sono stati eseguite alcune modifiche interne non autorizzate, che non ne hanno mutato per nulla la volumetria.
In ogni caso, poi, si tratta di opere che sono state regolarizzate prima dell’emanazione della sentenza costitutiva dell’effetto traslativo della proprieta’ dell’immobile, essendo intervenuta concessione in sanatoria; ed e’ pacifico che qualora, successivamente al contratto preliminare, intervenga la concessione in sanatoria di eventuali abusi edilizi, rimane esclusa la sanzione della nullita’ per il successivo contratto definitivo di vendita (Sez. 2, Sentenza n. 9849 del 24/04/2007, Rv. 596976).
Sul punto, però è tornata nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 29 aprile 2016, n. 8483
andando per l’ennesima volta a precisare che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte quello secondo cui la nullità prevista dall’art. 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 riguarda esclusivamente i contratti ad effetti traslativi, e non coinvolge il preliminare di vendita che abbia ad oggetto un immobile abusivo; e ciò, non soltanto, per un motivo di carattere letterale, in quanto la norma in questione attiene solo agli atti traslativi dei diritti reali sull’immobile, e non agli atti ad efficacia obbligatoria, ma per il rilievo che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1 settembre 1967, con la conseguenza che – in queste ipotesi – rimarrebbe esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita (Cass. n. 59/2002, n.6018/1999, n. 1501/1999, n. 8335/1997). Nella fattispecie in esame,successivamente alla stipulazione del preliminare, è intervenuta, come non è contestato e come è stato indicato dalla stessa sentenza impugnata, la concessione in sanatoria, per l’abitazione e quanto al garage era stata presentata domanda di condono con i relativi pagamenti dell’oblazione ai sensi della legge 326 del 2003, e, pertanto, deve ritenersi che, come era consentito stipulare validamente il contratto definitivo, allo stesso modo poteva essere emessa sentenza che producesse gli effetti di questo ai sensi del citato ad. 2932 c.c.. (Cass. n. 2204 del 30/01/2013; n. 28456 del 19/12/2013;n. 13117, del 28/05/2010 n. 14489 del 2005).
La Cassazione, anche nel 2018
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 14 maggio 2018, n. 11659
ha avuto modo di riaffermare, non paga dei precedenti che in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. nel caso in cui l’immobile abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione.
Ai fini processuali, poi, come da ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 ottobre 2015, n. 21527
in tema di esecuzione specifica l’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, il difetto di concessione edilizia o in sanatoria e’ rilevabile anche di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio sicche’ non puo’ ravvisarsi sul punto la dedotta violazione del contraddittorio ( Cass. S.U. n. 23825/2009).
E’ pur vero che , secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13117/2010), deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere alla produzione dei documenti attestanti la regolarita’ urbanistica dell’immobile al fine di ottenere la sentenza ex articolo 2932 c.c. (ma, nella specie, non vi e’ prova di detta documentazione che sarebbe stata prodotta dalla promittente venditrice e, sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, non ne e’ stato neppure indicato il contenuto).
Infine, come da recente intervento della S.C.
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 2 settembre 2020, n. 18195.
non si può emanare una sentenza di trasferimento coattivo secondo quanto disposto dall’art. 2932 c.c. in materia di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare avente ad oggetto un terreno sul quale insistono anche delle costruzioni. Ciò, sia in assenza del certificato di destinazione urbanistica del terreno sia della dichiarazione contenuta nel preliminare, o successivamente prodotta in giudizio, sugli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali elementi costituiscono un requisito richiesto a pena di nullità dall’art. 46 del DPR n. 380/2001.
- Mentre per quello in comunione[92] è necessario distinguere:
in caso di comproprietà, la parte è plurisoggettiva, tutti i contraenti dovrebbero sottoscrivere il preliminare.
In difetto il contratto non si è concluso, laddove soltanto alcuni di essi l’hanno sottoscritto, e la sentenza costitutiva può essere ottenuta.
Diverso è il caso in cui uno solo dei comproprietari concluda il preliminare di vendita dell’intero bene e a tal proposito occorre distinguere alcune ipotesi.
A) Il comproprietario prometta di vendere la propria quota e, contestualmente prometta il fatto di terzo; prometta, cioè che anche gli altri comproprietari sottoscrivano il definitivo di vendita. In caso d’inadempimento, il promissorio acquirente potrà agire ex art. 2932 per il trasferimento della quota (del comproprietario promissorio) promessa in vendita ed ex art. 1381 per la liquidazione dell’indennità.
B) È possibile però, che uno solo dei comproprietari prometta di vendere l’intero bene, ossia una cosa parzialmente altrui.
– la giurisprudenza in un primo momento ha ritenuto che ricorresse un’ipotesi di inefficacia relativa del preliminare, nel senso che soltanto il promissario acquirente avrebbe potuta farla valere, a meno che non avesse preferito richiedere il trasferimento della sola quota del comproprietario promettente venditore (salvo che l’efficacia del contratto non era sospensivamente condizionata al consenso degli altri comproprietari.
– Successivamente però la giurisprudenza ha mutato opinione (invalidità o inesistenza), negando la possibilità di trasferire una sola quota, con proporzionale riduzione del prezzo, quando fosse promesso in vendita l’intero bene da parte di un solo comproprietario – in base al principio della necessaria corrispondenza della sentenza al contenuto del preliminare
Attraverso un’indagine interpretativa bisogna capire se la volontà (quella di vendere soltanto una quota dell’intero bene – e soltanto in questa evenienza sarà possibile emanare la sentenza costitutiva che trasferisca la sola quota del promittente) di scomposizione manchi, il preliminare concluso da un solo comproprietario e relativo all’intero bene, considerato come un unicum scindibile, non sarà vincolante né – come è ovvio – per i comproprietari che non hanno stipulato il preliminare, né per il comproprietario promettente venditore, in quanto non è nato nessun contratto e, pertanto l’accordo non è vincolante per nessuno. Consegue da ciò che nessuna sentenza costitutiva sarà possibile, neanche limitatamente alla quota del comproprietario.
Principio ripreso anche da ultima Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 16 maggio 2016, n. 12462
ovvero: qualora un contratto preliminare abbia ad oggetto un bene in comunione, si deve presumere, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato un unicum inscindibile, sicché la mancanza originaria o la caducazione del vincolo contrattuale di uno dei comproprietari preclude al promissario la possibilità di esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica nei confronti degli altri.
Secondo altra recente sentenza della Cassazione[93] nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa si deve ritenere che i promittenti venditori si pongano congiuntamente come un’unica parte contrattuale complessa e che, dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate, invece, a fondersi in un’unica manifestazione negoziale, dovendosi presumere che il bene sia stato considerato dalle parti come un “unicum” giuridico inscindibile, e ciò in difetto di elementi desunti dal tenore del contratto, idonei a far ritenere che con esso siano state assunte – anche contestualmente – dai comproprietari promittenti distinti autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà, inesistenti nella specie.
Da ciò consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria ovvero venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quelli tra i comproprietari promettenti dei quali esista o persista l’efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare.
In caso di comunione legale tra i coniugi,
a) Secondo parte della dottrina[94]sono sbagliati i presupposti teorici della precedente teoria, in quanto l’annullabilità del preliminare ex art. 184 (atti compiuti senza il necessario consenso) muove dall’assunto secondo cui esso sarebbe senz’altro suscettibile di esecuzione in forma specifica. In realtà non si è tenuto conto del fatto che il ricorso al rimedio di cui all’art. 2932 presuppone il sussistere dei requisiti di legittimazione sostanziale delle parti.
b) Secondo altra parte della dottrina[95], un simili preliminare è annullabile sulla base del combinato disposto degli artt. 180, co2 e 184 co1. (Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683) si afferma, infatti, che devono essere considerati atti di straordinaria amministrazione non solo gli atti di disposizione o di alienazione, ma anche ogni altro atto che possa incidere, direttamente o indirettamente, sul patrimonio dei coniugi in comunione legale; pertanto anche la promessa di vendita, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932, si configura come un atto di straordinaria amministrazione, annullabile, qualora sia stata compiuta da un coniuge senza il consenso dell’altro coniuge.
c) Per la S.C.[96] è fermo il principio per cui il coniuge non stipulante non è legittimato all’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., essendo gli effetti di questo negozio obbligatori e personali del coniuge promittente acquirente. E’, invece, necessario litisconsorzio del coniuge non stipulante, contitolare dell’immobile ex art. 177 cod. civ., nell’ipotesi in cui sia promossa azione di esecuzione specifica da parte del promissario acquirente dell’immobile stesso[97].
Ma, con altro intervento la S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2202
in merito all’accoglimento dell’eccezione di impossibilità di trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. senza il consenso dell’altro coniuge, ha affermato che l’assenza del consenso del coniuge non impedisce il trasferimento del bene, ma lo rende solo annullabile.
Infatti occorre premettere che le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici – diversamente da quanto asserito del giudice del gravame – hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l’esecuzione specifica del contratto (Cass. SS.UU. 24 agosto 2007 n. 17952), proprio perché detto coniuge è ancora titolare di una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e l’eventuale decisione in assenza di contraddicono sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto.
Ciò posto, la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla corte distrettuale senza che venisse effettuato alcun accertamento sulle eccezioni sollevate circa la nullità ovvero inefficacia del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge, ma semplicemente sulla base dell’affermazione per la quale l’altro coniuge “non aveva alcun interesse, né del resto avrebbe avuto il diritto, di veder annullare il contratto preliminare di compravendita, che ha creato obbligazioni personali in capo al promittente venditore, ma che allo stesso terzo estraneo non è opponibile”, proseguendo che doveva essere semplicemente accertato se esistessero o meno le condizioni perché il preliminare di compravendita fosse trasfuso in atto pubblico, nella specie non realizzate per non avere il promittente venditore ottenuto il consenso da parte del coniuge comproprietario a vendere il fondo in questione.
Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un’unica volontà negoziale in capo ai due coniugi in comunione dei beni, data l’unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante.
E’ risultato, pertanto, (si continua a leggere nella sentenza) evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184 c.c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perché la corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell’ipotesi di comunione legale tra coniugi.
Il giudice distrettuale non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (v., di recente, Cass. 21 maggio 2008 n. 12849; Cass. 11 giungo 2010 n. 14093; Cass. 24 luglio 2012 il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso di acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso di acquisto a domino in base ad un titolo viziato.
Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto da parte dell’altro coniuge.
L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (in tal senso, v. Cass. 21 dicembre 2001 n. 16177; Cass. 31 gennaio 2012 n. 1385).
In conclusione è stata annullata la decisione della Corte distrettuale ed è stato affermato il principio che per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c.n. 12923).
Principio già affermato con una precedente pronuncia della medesima Corte di Cassazione[98]:per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione.
In particolare, come ha avuto occasione di chiarire la Corte a S.U.[99] il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso d’acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d’acquisto a domino in base ad un titolo viziato.
Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullità del contratto, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto.
L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 primo comma c.c. ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione[100].
Tale possibilità (il presupposto), tuttavia, nel caso in esame, va esclusa, in quanto il coniuge promittente venditore non è pieno titolare del diritto promesso in vendita e, pertanto, è esclusa la possibilità di ottenere la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. dunque un simile contratto preliminare, pur essendo valido, risulta inidoneo ad incidere, in quanto tale, sulla consistenza patrimoniale della comunione legale e, di conseguenza, si presenta come del tutto irrilevante per il coniuge del promittente alienate. L’unico rimedio di cui potrà avvalersi il promissario acquirente, di conseguenza, è quello del risarcimento dei danni.
Nonostante si propenda per la soluzione positiva, in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale contrario e per motivi prudenziali, si consiglia, nel caso in cui un coniuge vogli stipulare un preliminare di vendita di un bene che cade in comunione, la stipulazione non di un preliminare, bensì di una promessa del fatto del terzo (art. 1381).
- Preliminare di vendita di nuda proprietà: morte del promittente
In dottrina e in giurisprudenza si è posto il problema della possibilità di ricorrere al rimedio di cui all’art. 2932, qualora il preliminare abbia ad oggetto la promessa di vendita della nuda proprietà di un bene con riserva di usufrutto a favore del promittente venditore e costui muoia prima della scadenza del termine di stipula, senza che si addivenga ad un accordo tra gli eredi del promettente alienante ed il promissario acquirente e nel preliminare non è prevista la disciplina pattizia di una simile evenienza.
In questo caso la sentenza costitutiva cosa dovrebbe fare ?
1) trasferire la nuda proprietà del bene, il cui usufrutto, però commisurato alla vita degli eredi del defunto promittente alienante e non più, come è ovvio, alla vita di quest’ultimo; tale strada[101] non è assolutamente percorribile[102], in quanto comporta una notevole variazione dell’equilibrio contrattuale originariamente programmato; il promissorio acquirente ha accettato il pagamento di un determinato prezzo per l’acquisto della nuda proprietà del bene in considerazione dell’età del promettente alienante, confidando, cioè, sulla possibilità della consolidazione dell’usufrutto a tale nuda proprietà, entro un certo termine.
2) Trasferire la piena proprietà del bene in quanto, se il promettente alienante fosse morto anche un solo giorno dopo la stipula del definitivo, l’usufrutto si sarebbe estinto e consolidato in capo all’acquirente.
Risulta sconveniente per gli eredi i quali perdono l’intera proprietà del bene in cambio di un corrispettivo commisurato al valore della sola nuda proprietà, quindi più basso. Per tali motivi la giurisprudenza in un primo momento e parte della dottrina, hanno concluso che la sentenza costitutiva ex art. 2932 non è possibile in simili ipotesi, e pertanto, l’unica soluzione è quella di considerare risolto il preliminare per impossibilità sopravvenuta.
La giurisprudenza, però, in seguito ha mutato opinione ritenendo possibile la sentenza costitutiva che trasferisca la piena proprietà del bene sulla base della considerazione che la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ben può tollerare un intervento di parziale modifica da parte del giudice.
Deriva da tale soluzione che chi promette di acquistare una nuda proprietà, acquista immediatamente anche il diritto alla consolidazione in proprio favore, qualora questa si verifichi prima della stipula del definitivo.
- Il bene alienando sia perito o divenuto in commerciabile
- Sia stato già alienato a terzi
C’è impossibilità anche in questo caso , purché con atto opponibile e quindi in caso d’immobili, trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale. Ina altri termini in tale ipotesi, tuttavia, se trattasi di bene immobile o di bene mobile registrato, può soccorrere la trascrizione del preliminare, se effettuata e se rientrante nei termini previsti dalla legge.
3) Legittimazione processuale
Nel caso di contratto preliminare con pluralità di promissari acquirenti avente ad oggetto un unico immobile considerato nella sua interezza, la relativa obbligazione è indivisibile, per cui tanto l’adempimento, quanto l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., devono essere richiesti congiuntamente da tutti i detti promissari, configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 cod. proc.civ., stante l’impossibilità che gli effetti del contratto non concluso si producano nei confronti di alcuni soltanto dei soggetti del preliminare[103].
Anche perché l’azione diretta alla coattiva esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare una vendita, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., non ha natura reale, ma personale, siccome diretta a far valere un diritto di obbligazione nascente da un contratto al fine di conseguire una pronuncia che disponga il trasferimento del bene (o della quota del bene) di pertinenza del promittente alienante, onde tale azione deve essere sperimentata soltanto nei confronti di chi ha assunto una simile obbligazione, senza che detto principio trovi deroga per il caso in cui si tratti di immobile oggetto di comunione ordinaria e senza, quindi, che i comproprietari del promittente alienante siano contraddittori necessari nella causa instaurata dal promissario acquirente, a nulla rilevando il fatto che il contratto preliminare racchiuda altresì obbligazioni a «sfondo» reale, quale quella di accendere un mutuo ipotecario a carico del promissario acquirente[104].
Mentre, come da ultimo intervento della S.C.
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2110.
l’esecuzione del preliminare di vendita di un immobile indiviso può essere domandata dal promissario acquirente per la sola quota indivisa del promittente venditore quando il bene non sia stato considerato nella sua interezza e in previsione della prestazione del consenso anche da parte degli altri proprietari, né è di ostacolo al trasferimento l’intervenuta divisione, alla quale il promissario abbia partecipato, ai sensi dell’art. 1113 c.c., prestandovi consenso.
Inoltre, con riguardo alla controversia promossa dal promissario acquirente di bene immobile, per ottenere, nei confronti del promittente venditore, a norma dell’art. 2932 cod. civ., una pronuncia che tenga luogo del contratto definitivo non concluso, il terzo, che si sia successivamente reso promissario del medesimo bene, in forza di preliminare intervenuto con il predetto acquirente, può spiegare intervento ad adiuvandum, ma è privo di diritti direttamente ed autonomamente azionabili contro il primo promittente venditore, e, pertanto, resta soggetto all’iniziativa processuale delle altre parti, non può proporre impugnazione, né può invocare, in relazione all’impugnazione proposta da una delle parti del precedente preliminare, una situazione di inscindibilità o dipendenza di cause[105].
4) Prescrizione e condizioni dell’azione
In tema contratto preliminare di vendita di immobile, l’inadempimento del promittente venditore alla stipula del contratto definitivo comporta che la prescrizione del diritto del promissario acquirente all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, ex art. 2932 cod. civ., inizia a decorrere non dalla conclusione del contratto preliminare, ma dalla data di scadenza del termine fissato per la stipula del contratto definitivo stesso[106].
Mentre per quanto riguarda la diffida ad adempiere ex art. 1454 cod. civ., costituente una facoltà e non già un onere della parte adempiente, ha la sola funzione di determinare lo scioglimento di diritto del rapporto, sicché, in caso di contratto preliminare, non condiziona in alcun modo l’esercizio dell’azione prevista dall’art. 2932 cod. civ., intesa ad ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto promesso (e non stipulato)[107].
Ancora, l’esercizio dell’azione diretta ad ottenere, a norma dell’art. 2932 cod. civ., una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso non è condizionato ad una preventiva costituzione in mora dell’obbligato a concludere il contratto, per cui l’interesse a proporre la domanda si stabilisce solo in base ad una situazione obiettiva di inadempimento[108].
Anche l’inadempienza del promittente all’obbligo di provvedere alla cancellazione di pregresse ipoteche, ovvero la sopravvenienza di iscrizioni o trascrizioni implicanti pericolo di evizione, non osta a che il promissario possa chiedere l’esecuzione in forma specifica, a norma dell’art. 2932 cod. civ. e comporta che il promissario medesimo, ove si avvalga di tale facoltà, è dispensato dall’onere del pagamento o della formale offerta del prezzo (del quale sia previsto il versamento all’atto della stipulazione del definitivo), potendo chiedere che il giudice, con la pronuncia che tenga luogo del contratto non concluso, fissi condizioni e modalità di versamento idonee ad assicurare l’acquisto del bene libero da vincoli ed a garantirlo dall’eventualità dell’evizione[109].
Poi, ai fini della pronuncia della sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto di compravendita non concluso, è sufficiente, ai sensi del secondo comma dell’art. 2932 cod. civ., che il promissario acquirente faccia offerta nei modi di legge di adempiere quella parte della sua prestazione divenuta esigibile, perché scaduta e non eseguita (nella specie, relativa al pagamento di determinate rate di mutuo), quando il giudice di merito, con giudizio di fatto insindacabile in cassazione se congruamente motivato, abbia ritenuto giustificato l’omesso pagamento in applicazione del principio di autotutela di cui all’art. 1460 cod. civ.[110]
L’offerta della controparte cui l’art. 2932, non richiede formule solenni, ma può essere costituita anche da una seria manifestazione di volontà di eseguire il pagamento, espressa in qualsiasi modo che non induca in perplessità circa l’intento di adempiere[111].
In altri termini l’offerta della controprestazione non richiede che l’offerta sia reale o per intimazione, ai sensi degli artt. 1208 e 1209 cod. civ., potendo essere sufficiente un’offerta nelle forme d’uso, ai sensi dell’art. 1214 cod. civ. e, in definitiva, un’offerta costituita da una seria manifestazione della volontà di eseguire la controprestazione, espressa in qualsiasi modo che escluda dubbi sulla concreta intenzione della parte di adempiere. Ne consegue che integrano il presupposto di legge anche l’offerta della prestazione, formulata in giudizio dalla parte, personalmente o per mezzo del suo procuratore, prima della pronuncia, ovvero la manifestazione di volontà di corrispondere il residuo prezzo di vendita, rappresentata nell’atto di citazione del promissario acquirente, sottoscritto dal procuratore[112].
Ad esempio l’offerta della prestazione può essere costituita anche mediante l’invito rivolto dal promissario al promittente di presentarsi davanti al notaio per la stipula del contratto definitivo, senza che occorrano forme solenni (offerta reale o offerta per intimazione)[113].
Anche se è stato specificato[114] che per l’operatività del principio di diritto, secondo il quale la domanda di cui all’art. 2932 cod. civ. deve essere accolta se il proponente abbia offerto la sua prestazione nei modi di legge — tra i quali vi è l’invito del promissario acquirente al promittente alienante a presentarsi dal notaio per la stipulazione del contratto definitivo, essendo in tale invito implicitamente compresa l’offerta di pagamento del prezzo — è necessario che, secondo il contratto preliminare, le prestazioni contrapposte debbano eseguirsi al momento della stipulazione di quello definitivo. Qualora si sia, invece, stabilito che il pagamento del prezzo debba eseguirsi entro un termine determinato, anche se alla sua scadenza non si possa concludere il contratto definitivo, la parte è obbligata al versamento tempestivo di esso nel domicilio del creditore (artt. 1183, 1498 cod. civ.) non sussistendo in tal caso alcuna ragione che giustifichi la sufficienza dell’offerta informale. Colui che ometta il pagamento è, perciò, considerato inadempiente e non può ottenere il trasferimento del diritto reale a suo nome se la controparte sollevi l’eccezione concessale dall’art. 1460 del codice civile e rifiuti, quindi, la propria prestazione.
Principio ripreso da altra pronuncia di merito (Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 13 ottobre 2011, n. 4262) secondo la quale il versamento dell’intero prezzo di acquisto dell’immobile è condizione dell’azione ex art.2932 c.c.. Infatti, ove il pagamento del prezzo o di una parte di esso deve precedere la stipulazione del contratto definitivo, la parte è obbligata, alla scadenza del previsto termine, al pagamento da eseguirsi nel domicilio del creditore o da offrirsi formalmente nei modi previsti dalla legge, non sussistendo in tale ipotesi nessuna ragione che giustifichi la sufficienza dell’offerta informale. Per contro, in mancanza del pagamento dell’intero prezzo, il promittente venditore è legittimato a rifiutare la conclusione del definitivo, ex art. 1460 c.c.
Mentre nel caso in cui le parti di un contratto preliminare di vendita immobiliare abbiano convenuto che il pagamento del residuo prezzo debba essere effettuato all’atto della stipulazione del contratto definitivo, l’offerta di cui al secondo comma dell’art. 2932 cod. civ. è da ritenersi soddisfatta con la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, essendo essa necessariamente implicita nella domanda, così che, in tale ipotesi, deve senz’altro essere emessa la sentenza produttrice degli effetti del contratto non concluso ed il pagamento del residuo prezzo deve essere imposto come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice. Ne consegue che il contraente che chieda l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguirne la prestazione o a farne offerta se questa sia esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento di esso o del residuo risulti dovuto all’atto della stipulazione del definitivo[115].
F) Effetti
Comunemente dal preliminare deriva l’obbligazione di prestare il consenso necessario per la conclusione del contratto definitivo
Effetti anticipati
(il c.d. preliminare ad effetti anticipati)
Accade spesso nella contrattazione preliminare che le parti non si limitino ad assumere l’obbligo di concludere il contratto definitivo, ma prevedono un’esecuzione anticipata dello stesso.
a) da un lato, il promittente venditore beneficia dei versamenti anticipati del promissario acquirente, senza però privarsi della proprietà e così mantenendo la possibilità di iscrivere ipoteca sulla stessa per ottenere mutui;
b) dall’altro l’acquirente, già nel godimento del bene, può procedere a un pagamento rateale del prezzo. L’anticipata consegna dell’immobile già esistente e ultimato può essere finalizzata a consentire al promissario acquirente l’esecuzione di opere di ripristino: in ogni caso da tale situazione non possono derivare diritti e doveri diversi rispetto a quelli nascenti dal contratto preliminare. La disponibilità del bene oggetto di preliminare è da qualificarsi come detenzione e non come possesso, in quanto il promissario acquirente esercita tale godimento in virtù di un titolo meramente obbligatorio, non ancora traslativo del diritto reale corrispondente, in funzione e in previsione del futuro trasferimento; il che implica il necessario riconoscimento dell’appartenenza del bene, fino al momento della prevista stipulazione del contratto definitivo, al promittente venditore[116]. Di conseguenza, la disponibilità materiale del bene oggetto del contratto preliminare, anche se si protrae nel tempo, continua a considerarsi detenzione e non possesso, senza che sussista la possibilità di avvalersene ai fini dell’usucapione[117] .
Il contratto preliminare ha natura giuridica di contratto obbligatorio e produce effetti giuridici poiché il contratto, di cui prevede la successiva stipulazione, è idoneo a produrre effetti diversi, più intensi o più specifici di quelli offerti dal preliminare stesso.
In altri termini, le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzandolo non per mezzo di un singolo contratto bensì attraverso una pluralità coordinata di contratti i quali conservano una loro causa autonoma ovvero anche se funzionalmente connessi al preliminare restano autonomi rispetto ad esso. Dalla conclusione del contratto, già sin da quello preliminare (e ad effetti anticipati), sorge, in sintesi, un preciso rapporto giuridico tra le parti ovvero una relazione interpersonale caratterizzata da una situazione soggettiva di diritto-dovere e regolata dall’ordinamento: il comportamento dei contraenti, quindi, si inquadra nell’area della responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), non cumulativa ed assorbente dell’eventuale azione precontrattuale[118].
L’attuazione delle prestazioni finali è subordinata, quindi, alla stipulazione del rogito definitivo: tuttavia, il contratto preliminare può anche prevedere, atipicamente, una parziale anticipata esecuzione degli obblighi.
Le parti, cioè, nell’assumere l’obbligo della prestazione del consenso al contratto definitivo, convengono l’anticipata esecuzione di alcune delle obbligazioni nascenti e tra queste, ad es., la consegna immediata della res al promissario acquirente con o senza corrispettivo.
Le parti anticipano gli effetti del definitivo, nel caso di una vendita,
1) pagando in tutto o in parte il prezzo o
2) immettendo il promettente acquirente nel godimento dell’immobile.
In tali ipotesi si pone il problema, controverso in dottrina, di stabilire se i contraenti possano utilizzare la figura del contratto preliminare anche quando prevedano la parziale ed anticipata esecuzione di talune obbligazioni nascenti dal futuro contratto definitivo.
In altri termini ci si chiede se possa ricondursi nell’ambito del preliminare anche quel contratto il cui contenuto non si limiti all’obbligo di stipulare il definitivo, ma si estenda fino a ricomprendere altri effetti.
Alcuni autori[119], riprendendo in epoca recente alcune pronunce giurisprudenziali, hanno sostenuto che, nel caso in esame, si sarebbe in presenza di un vero e proprio contratto definitivo di compravendita, seppure condizionato o ad efficacia parzialmente differita.
Questa teoria si basa sui criteri indicati dal legislatore all’art. 1362, in merito all’interpretazione, al primo comma prevede che nell’interpretazione del contratto si deve indagare su quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
1) Un’isolata opinione[120] ritiene che, qualora le parti non abbiano inteso stipulare un contratto definitivo di vendita, ma solo anticiparne gli effetti, si è in presenza di un procedimento contrattuale articolato in più fasi.
2) La dottrina[121] e la giurisprudenza dominante e preferibili ritengono che il contratto che contenga patti accessori contemplanti la traditio del bene e/o il pagamento parziale o totale del prezzo, ben possa essere qualificato come un contratto preliminare in senso tecnico; tali patti, infatti, non rendono il contratto incompatibile con la promessa di vendita, ma integrano soltanto un’esecuzione anticipata dalla futura vendita definitiva.
Le parti, infatti, nell’ambito della loro autonomia privata (1321) possono anche prevedere un’anticipazione del definitivo assetto d’interessi programmato, senza che ciò determini un mutamento della causa, cioè del tipo contrattuale.
Per Bianca il preliminare, invece, non potrebbe prevedere l’integrale attuazione del rapporto finale perché in tal caso si porrebbe esso stesso quale definitivo e la prevista stipulazione di un contratto ulteriore altro non sarebbe, in realtà, che un impegno alla ripetizione.
Qualche pronuncia giurisprudenziale[122] ha sostenuto, poi, che l’anticipata consegna del bene può costituire anche oggetto di un particolare negozio (c.d. precario) con una causa ed un contenuto economico propri; la fattispecie, pertanto, viene quasi configurata come un contratto misto (dunque atipico in senso lato) di preliminare di vendita e di precario.
Con una recentissima pronuncia la S.C.[123] ha avuto modo di precisare che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato, funzionalmente collegato al contratto preliminare e produttivo di effetti meramente obbligatori, e che, pertanto, la relazione del promissario acquirente con il bene è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata, salva la dimostrazione di un intervento possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 c.c.
Confermata da altra pronuncia immediatamente successiva
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 novembre 2012, n. 20011
secondo la quale nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori; pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile “ad usucapionem”, salvo la dimostrazione di una intervenuta “interversio possesionis” nei modi previsti dall’art. 1141 c.c.
In tema all’interversione una sentenza di merito[124] ha affermato che il trasferimento del bene nella disponibilità del promissario acquirente integra una ipotesi di mera detenzione del medesimo, per cui non può intendersi configurabile quale possesso ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione. Esaminata, invero, la prassi contrattuale affermatasi nel settore immobiliare per rispondere alle molteplici esigenze delle parti del contratto preliminare e ricondotta la medesima alla categoria dei contratti collegati, deve giungersi alla qualificazione dei contratti accessori al preliminare quale comodato, in relazione alla concessione della utilizzazione del bene da parte del promittente venditore al promissario acquirente, e quale mutuo garantito, quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al promittente venditore. Ciò rilevato, in merito al primo punto, la materiale disponibilità del bene ha natura di detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse ma alieno nomine, e non di possesso, il quale può opporsi al promittente venditore solo dimostrando una intervenuta interversione di esso. In circostanze siffatte, il promissario acquirente è, pertanto, tenuto a provare la suddetta interversio, la quale, tuttavia, non può consistere in un semplice atto di volizione interna, ma deve chiaramente manifestarsi all’esterno, attraverso il compimento di atti che consentano di desumere, anche all’effettivo possessore, che il detentore ha iniziato ad esercitare nomine proprio il potere di fatto sulla res. Nella specie in mancanza di una prova suddetta, avuto particolare riguardo al necessario animus possidenti, deve concludersi per l’accoglimento della domanda di rilascio del bene proposta dall’attore, in quanto illegittimamente detenuto senza titolo dal convenuto promissario acquirente.
Ancora la Corte di Legittimità
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 giugno 2013, n.14262
riaffermando il principio secondo cui la qualificazione del rapporto di godimento che si instauri, su di un bene oggetto di contratto preliminare di compravendita e di consegna anticipata al promissario acquirente non è quella di possessore, ma di detentore qualificato, che esercita il relativo potere di fatto sulla cosa per conto del possessore, promittente venditore, va escluso che al suddetto detentore possa spettare il diritto di ritenzione (istituto che si avrà modo di approfondire successiamente), opponibile alla domanda di restituzione, in funzione della domanda riconvenzionale di rimborso delle spese per le indennità ed i miglioramenti apportati alla cosa, che l’art. 1150 c.c. attribuisce soltanto al possessore in buona fede. Tenuto conto della particolare natura, in quanto costituente una eccezionale forma di autotutela, della disposizione che tale diritto prevede, quello di ritenzione non può applicarsi analogicamente anche nei casi di detenzione, ancorché qualificata, quale che sia la componente psicologica che la connoti.
Altra sentenza recente sul punto, ovvero in merito alla consegna anticipata,
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009
ha affermato che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, e unitamente, o non, il pagamento anticipato del prezzo non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, bensi’ un rapporto tra contratti collegati, in cui il ruolo di contratto principale e’ svolto dal preliminare vero e proprio, e quello di negozi accessori: a) dal contratto di comodato (per quanto attiene alla consegna della cosa) e dal contratto di mutuo gratuito (per quanto riguarda il pagamento anticipato del prezzo).
In questo senso, la disponibilita’ conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato, funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (Cass. SSUU. n. 7930 del 27/03/2008). Con l’ulteriore conseguenza, che entrambi i contratti collegati esauriscono i loro effetti (diventano, insomma inefficaci) nel momento stesso in cui il contratto preliminare perde ogni sua efficacia: o perche’ sia stato stipulato il contratto definitivo o perche’ sia stata risolto e sia stato annullato.
G) Il contratto definitivo
Si è, quindi, di fronte a un contratto preliminare quando l’intento delle parti è diretto all’assunzione da parte di ciascuna di esse delle obbligazioni di prestare in un’epoca successiva il consenso, con la conclusione del contratto definitivo avente effetto traslativo della proprietà.
Il contratto definitivo realizza invece l’intento di trasferire la proprietà con effetto dalla conclusione del contratto stesso
Inoltre, come confermato dalla Cassazione
Corte di cassazione, sezione II, sentenza 30 aprile 2013, n. 10209
nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.
Principio espresso anche da altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 14 marzo 2018, n. 6223
secondo la quale, appunto, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina puo’ anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformita’ del nuovo accordo alla volonta’ delle parti puo’, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle ste
sse parti, contemporaneamente, alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo; e che tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall’attore, trattandosi di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l’adempimento di un obbligo che, pur riportato nel contratto preliminare, egli puo’ far valere in forza del distinto accordo intervenuto fra le parti all’atto della stipula del contratto definitivo.
Per individuare, dunque, la natura preliminare o definitiva di un contratto di vendita occorre indagare l’effettiva volontà dei contraenti per accertare se essa sia stata rivolta direttamente al trasferimento della proprietà, ovvero sia stata finalizzata a dar vita a un rapporto obbligatorio che impegni entrambi reciprocamente a stipulare un ulteriore contratto manifestando una diversa volontà diretta a operare l’effetto traslativo. A tale fine, non è determinante il nomen juris usato dalle parti per stabilire se esse abbiano voluto concludere un contratto preliminare ovvero una vendita definitiva: la sola denominazione non esaurisce l’indagine circa la volontà.
Tuttavia, quando la dizione risultante dall’intestazione coincida con le espressioni usate dai contraenti nella parte dispositiva del contratto, una diversa definizione del contratto stesso si giustifica soltanto se dal complesso delle clausole risulti, inequivocabilmente, la relativa volontà delle parti[125].
Sul punto, con ulteriore adagio la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 maggio 2015, n. 10009
ha affermato che la volonta’ delle parti di porre in essere un contratto preliminare di vendita viene resa manifesta non solo dalla denominazione del contratto, ma, altresi’, da una lettura delle clausole, considerate anche nella loro connessione, e dallo stesso contenuto del contratto, quale espressione dell’assetto degli interessi programmato dai contraenti.
Per altro, se e’ vero che il “nomen iuris” usato dalle parti non ha, in linea di principio, valore esclusivo al fine di stabilire se le parti abbiano voluto concludere un contratto preliminare, ovvero una vendita definitiva, e’ vero, pero’, che quando il “nomen iuris” risultante dall’intestazione coincida con le espressioni usate dalle parti nella cosiddetta parte dispositiva del contratto, la quale esprime il nucleo essenziale della volonta’ negoziale, una diversa definizione del contratto e’ giustificata, soltanto, quando dal complesso delle clausole risulti inequivocabilmente la relativa volonta’ delle parti.
In altre parole lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo o, piuttosto, dare vita a un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo a una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito.
Tale accertamento è incensurabile in Cassazione se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli artt. 1362 ss. cod. civ.[126].
Pertanto, come per altro arresto,
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014, n. 153
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta nel primo caso ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà, e nel secondo ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. Lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Tale accertamento è incensurabile in Cassazione, se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e s. c.c. (Cass. 20-11-2007 n. 24150; Cass. 4-10-2006 n. 21381; Cass. 21-5-2002 n. 7429).
Ad esempio nella specie, si legge nella sentenza, che la Corte di Appello, sulla base di argomenti coerenti e razionali, fondati su una interpretazione letterale e coordinata delle clausole contenute nella scrittura del 16-2-1999, ha ritenuto che con tale atto le parti hanno inteso stipulare un contratto definitivo di compravendita. Essa ha rilevato, al riguardo, che dalle espressioni testuali contenute nell’accordo (il signor C. “vende” la vettura e la signora D. “compera” il suddetto veicolo), si evince che le parti hanno voluto che il contratto avesse effetto traslativo immediato; ed ha spiegato che il riferimento, contenuto nella parte finale della scrittura, all’”atto di vendita”, quale momento in cui avrebbe dovuto essere versato il saldo, andava riferito alle formalità notarili che seguono al perfezionamento del passaggio di proprietà necessarie per un autoveicolo, ma non certo alla stipula di un nuovo e separato contratto di vendita.
In merito ai profili interpretativi, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 5 luglio 2016, n. 13658
è tornata nuovamente sul punto affermando che l’elemento distintivo tra contratto definitivo e contratto preliminare di vendita è dato dalla volontà delle parti, che nel primo è rivolta direttamente al trasferimento della proprietà o di altro diritto, mentre nel secondo fa dipendere tale trasferimento da una futura manifestazione di consenso che gli stessi contraenti si obbligano a prestare; con la conseguenza che, allorché le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, siano poi addivenute alla stipulazione di un contratto definitivo, quest’ultima costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo; e con la conseguenza ulteriore che, a tale stregua, in sede di interpretazione del contratto definitivo, non vi è alcun obbligo per il giudice di merito di valutare il comportamento delle parti ex art. 1362, comma 2, c.c. e di prendere in considerazione il testo del contratto preliminare.
Principio ripreso da altra recente sentenza
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 novembre 2022| n. 33916
secondo la quale il contratto preliminare e quello definitivo di compravendita si differenziano per la diversa volontà dei contraenti, che è diretta, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e nel secondo caso ad attuare il trasferimento dello stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. Nella fattispecie in oggetto, viene accertata la natura preliminare del contratto di compravendita sul presupposto che il trasferimento del possesso del bene fosse subordinato alla stipulazione dell’atto notarile, nonostante la sua possibile previa consegna anticipata.
Sotto il profilo processuale bisogna sottolineare che quando sussiste il dubbio se si sia in presenza di un preliminare o di un contratto definitivo si pone anche il problema sul piano processuale se sia possibile, una volta proposta in primo grado la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, ex art. 2932 cod. civ., modificare la domanda in quella di accertamento di un’avvenuta vendita immobiliare mediante scrittura privata (preliminare ad effetti anticipati).
La giurisprudenza si era espressa in modo difforme, nel senso che alcune pronunce avevano considerata la modifica inammissibile definendola una mutatio libelli [127], mentre altre si erano espresse favorevolmente ritenendola una semplice emendatio libelli [128]. L’intervento delle Sezioni Unite[129] ha accreditato la soluzione più rigorosa che configura come domanda nuova quella proposta dal creditore sul presupposto dell’esistenza di azioni diverse, sia sotto il profilo della causa petendi sia del petitum.
Costituisce, dunque, domanda nuova, vietata in appello e anche in primo grado ove manchi il consenso espresso o tacito della controparte, quella del creditore che, dopo aver invocato l’esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell’atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ., sostituisce nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell’atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata. Trattasi, infatti, di domande diverse sotto il profilo del petitum e della causa petendi, atteso che:
- nella prima ipotesi
l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente a oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire a un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile;
- nella seconda
un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato.
Con ultima pronuncia la Corte di Cassazione[130], ha affermato che costituisce mutamento inammissibile della domanda invocare in primo grado l’esistenza d’un contratto preliminare e chiederne l’esecuzione in forma specifica, e qualificare, invece, in appello quel contratto non come preliminare, ma come patto di opzione e invocare l’accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene per effetto dell’esercizio del relativo diritto.
Però, la S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza 30 gennaio 2014, n. 2096
è tornata nuovamente sul punto e con l’ordinanza interlocutoria n. 2096 del 30/01/14, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso involgente la questione, oggetto di contrasto, se integri un’ emendatio libelli, come tale ammissibile, o un’inammissibile mutatio, il passaggio dalla domanda di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ. alla domanda di accertamento dichiarativo dell’effetto reale, riqualificato il negozio come contratto definitivo, anziché preliminare, di compravendita.
In attesa dell’intervento delle sezioni unite, però, altro adagio della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 aprile 2015, n. 7039
ha così stabilito: la domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprieta’ dell’immobile, proposta in appello, costituisce una domanda nuova, inammissibile rispetto alla precedente domanda di pronuncia costitutiva ex articolo 2932 c.c., formulata con l’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di domande diverse per petitum e causa pretendi; che la successiva domanda è stata, peraltro, formulata tardivamente nelle memorie di replica di primo grado. La novita’ di detta successiva domanda e’ ravvisabile nel fatto che, mentre nella richiesta di sentenza costitutiva, ai sensi dell’articolo 2932 c.c., l’attore fa valere un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita, con la successiva richiesta di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo, adduce un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprieta’ dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato, ipotesi che implica evidentemente una diversa indagine in fatto ed in diritto rispetto alla domanda originaria.
Ma con successivo provvedimento è arrivata l’attesa pronuncia delle sezioni unite
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 15 giugno 2015, n. 12310
le quali con ampia motivazione hanno affermato che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 cod. civ. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.
Con successiva pronuncia alle sezione unite, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 novembre 2015, n. 23131
è ritornata sul punto affermando che ove l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione una sentenza costitutiva ex articolo 2932 del Cc sulla base di una scrittura privata da lui erroneamente qualificata come preliminare di vendita immobiliare, costituisce mera emendatio libelli, consentita anche in appello, la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile, oggetto del contratto qualificato come contratto definitivo di compravendita, trattandosi di semplice specificazione della pretesa originaria restando il thema decidendum circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento di proprietà e rimanendo così identico nella sostanza il bene effettivamente richiesto e identica la causa petendi costituita dal contratto del quale viene prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica
Per la S.C.[131], qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.
La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo.
Principio ripreso pedissequamente da una pronuncia della medesima Corte
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 2013, n. 9184
secondo la quale, appunto, pur non volendo essere ripetitivo, nel silenzio del contratto definitivo, la presunzione di conformità del contratto stesso alla volontà delle parti, in parte differente da quella espressa nel preliminare, può essere vinta solo dalla prova, risultante da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili, di un accordo posto in essere dalle medesime parti, contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono. In tal caso è possibile accertare la volontà negoziale delle parti valutando anche il contenuto del preliminare.
Mentre Per autorevole dottrina[132] non è una ripetizione del preliminare ma un nuovo accordo che le parti stipulano in conformità del loro impegno al quale devono ormai riferirsi tutti gli effetti obbligatori e reali.
Si tratta di un contratto con una sua completa autonomia strutturale, non diverso dal c.d. uniprocedimentale, vale a dire dallo stesso tipo di contratto non preceduto dal preliminare.
La distinzione tra preliminare e definitivo è evidente va ricercata nella volontà dei contraenti:
1) nel preliminare essa ha per scopo la conclusione di un futuro contratto;
2) nel definitivo, invece, diretta all’effetto finale avuto di mira dalle parti, che può essere un effetto traslativo – obbligatorio , a seconda che il contratto sia di natura reale o ad effetti obbligatori. Tipico collegamento necessario generico
- La natura del contratto
- Teoria dell’atto dovuto (non negoziale)
Il contratto definitivo viene comunemente ritenuto un negozio giuridico.
Un autore[133] a questa teoria ha mosso un’acuta critica.
Ha, infatti, affermato che il contratto preliminare, qualora contenga all’uopo tutti gli elementi necessari, costituisce già di per sé la fonte degli effetti definitivi (ad es., il trasferimento del diritto reale).
Non si giustificherebbe, perciò, la contrapposizione tra contratto preliminare e contratto definitivo, considerata l’identità del loro contenuto e della loro forma.
La possibilità di una sentenza costitutiva che sostituisca il contratto definitivo non stipulato e ne determini gli effetti farebbe comprendere l’inutilità del contratto definitivo inteso come negozio giuridico, essendo solo il contratto preliminare lunica fonte della fattispecie negoziale. Il contratto definitivo viene, in tal modo, completamente svalutato, costituendo esso un mero atto dovuto che nulla aggiunge, sul piano dell’efficacia, agli effetti che il preliminare, per sua natura, già di per sé è idoneo a produrre.
- Teoria negoziale – prevalente[134]
La dottrina dominante[135] osserva, in contrario, che
1) non vi è incompatibilità tra negozio e atto dovuto; la tesi esposta, infatti, parte da un’eccessiva considerazione dell’atto di autonomia privata che non permetterebbe l’esistenza di un negozio giuridico dovuto, quale sarebbe il definitivo rispetto al preliminare.
2) Si aggiunga poi che sul piano funzionale il contratto definitivo ha una propria valenza, in quanto mira a raggiungere la causa finale del vincolo, cioè l’interesse pratico cha l’accordo tende a realizzare e che giustifica le attribuzioni delle parti, mentre il contratto preliminare ha solo una funzione strumentale e preparatoria.
Al contratto definitivo va attribuita la funzione di controllo delle sopravvenienze.
Chi stipula il definitivo, in altri termini, non riproduce la stessa volontà del preliminare, ma una nuova volontà basata sul controllo dei fatti sopravvenuti vale a dire di quei fatti che avrebbero inciso sul regolamento negoziale qualore questo fosse stato introdotto in via definitiva.
- La causa del contratto definitivo
- Teoria della doppia causa
Una tesi sostenuta soprattutto nella dottrina tedesca, ma anche in quella italiana[136] afferma che il contratto definitivo contenga due cause:
1) relativa all’adempimento dell’obbligo (causa solutionis)
2) relativa al tipo negoziale impiegato. Contra[137]hanno osservato che è impossibile, oltre che contraddittorio, ammettere che un atto negoziale possa assolvere ad una duplice funzione e possa, dunque, valere come due distinti negozi.
La causa di un negozio non può essere che unica.
- Teoria della causa solutionis
- Teoria della causa novativa
Un’acuta ed originale tesi[138] afferma che il contratto definitivo ha una funzione sua propria che può dirsi “novativa” in quanto sostituisce effetti nuovi e definitivi a quelli strumentali e preparatori del preliminare.
Teoria della causa negoziale variabile (preferibile[139])
Altri autori[140] sostengono che la causa del definitivo è quella relativa all’interesse pratico che il rapporto, in concreto (Bianca) tende a realizzare e che giustifica le attribuzioni delle parti.
Infine, è bene precisare che secondo altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza n. 22820 del 12 dicembre 2012
la mancata stipula del contratto definitivo non è imputabile a nessuna delle parti se non viene nominato il notaio rogante.
Nel caso di specie i giudici di appello, in realtà, affermavano che l’inottemperata diffida alla stipula dell’atto pubblico traslativo entro il termine di gg. 15, intimato dai medesimi il 10.7.93, dopo la scadenza del termine contrattuale del 30.6.93, fosse inidonea a determinare ex art. 1454 c.c. la risoluzione del contratto, mancando la colpa della promissaria acquirente, non essendovi stata da parte degli intimanti la designazione del notaio (neppure contenuta nel preliminare), necessario atto collaborativo la cui omissione avrebbe comportato per converso, l’inadempienza dei promittenti venditori, giustificante ex art. 1460 c.c. il rifiuto di adempimento o meglio, il silenzio della destinataria, fino alla diffida che quest’ultima ebbe poi a sua volta ad intimare, designando anche il notaio, con telegramma del 12.11.93 (fissante la stipula per il 16 successivo),invito rimasto inottemperato e comportante, sull’opposto versante, l’inadempimento grave dei promittenti venditori.
Mentre per la S.C. l’obiezione contenuta nella memoria, secondo cui, contrariamente a quanto esposto dal relatore, la Corte d’Appello non avrebbe ritenuto necessario un accordo delle parti sulla designazione del notaio da incaricare per la stipula del contratto definitivo, non risultava rilevante, poiché solo in base a siffatta considerazione poteva confermarsi la reiezione della domanda risolutoria (rectius: recesso) proposta dai promittenti venditori, che intimando alla promissaria acquirente la diffida ad adempiere, avevano unilateralmente ritenuto di onorare la stessa del reperimento di un notaio, senza che ciò fosse previsto nel contratto preliminare.
In tal senso, pertanto, veniva rigettata la domanda di risoluzione proposta, considerato che nel silenzio delle parti stipulanti deve intendersi che la designazione del notaio, da officiare per la redazione del contratto definitivo di compravendita, implicando un impegno di carattere economico e, nel contempo, richiedendo, per il carattere fiduciario della scelta, la convergenza sulla stessa della volontà dell’una e dell’altra parte, richieda un espresso accordo delle stesse al riguardo, anche se successivo alla stipula del preliminare.
H) Vizi del preliminare
Il regime dei vizi del preliminare è quello ordinario, ma qualche problema sorge nei rapporti con il contratto definitivo.
E’ importante allora chiarire se l’invalidità del preliminare possa considerarsi superata nel caso in cui il contratto definitivo nasca di per sé validamente.
1) teoria della causa interna (Teoria negoziale): se la giustificazione del contratto definitivo va ravvisata avuto riguardo alla produzione dei propri effetti tipici, cioè alla causa interna, è evidente che, da un lato, si sarà in presenza di una fattispecie negoziale e, dall’altro e di conseguenza, si affermerà la totale irrilevanza dei vizi del preliminare qualora il definitivo sia di per sé validamente concluso. In tal caso, dunque, si svaluta il nesso che lega le 2 vicende giuridiche di cui, invece, si afferma l’autonomia.
2) teoria della causa esterna [Teoria dell’atto dovuto (non negoziale)]: qualora il contratto definitivo trova la propria giustificazione causale nell’adempimento dell’obbligo di contrarre, non si sarà in presenza di una fattispecie negoziale ma di un atto dovuto (Montesano) ed allora il contratto definitivo sarà caratterizzato sempre e solo da una causa solvendi, cosicché l’invalidità del preliminare, facendo venir meno la causa giustificatrice esterna dello spostamento patrimoniale operato con il definitivo, legittimerà la ripetizione di quanto prestato, perché oggettivamente indebito.
- Nullità
(es. vendita immobiliare, preliminare forma orale, definitivo forma scritta)
1) sec la prima teoria se le parti non conoscevano le cause di nullità del preliminare il contratto definitivo è valido a tutti gli effetti.
Per Capozzi ovviamente nulla vieta alle parti di stipulare il contratto definitivo in piena indipendenza dal preliminare, eventualmente dichiarando di conoscere le cause d’invalidità di quest’ultimo, in tal caso, tuttavia, le parti concludono, per così dire, un falso definitivo perché, spezzando il collegamento, hanno stipulato, in realtà, un contratto autonomo al precedente preliminarmente viziato.
2) sec la teoria della causa esterna in difetto della cusa solvendi per insussistenza dell’obbligo a contrarre sarà nullo e comunque legittimerà la ripetizione di quanto prestato.
Un caso particolare di nullità è stato recentemente affrontato dalla S.C.[141] secondo la quale l’esigenza della determinatezza o almeno della determinabilità dell’oggetto del contratto, sanzionata di nullità dall’art. 1418 c.c., comma 2, in relazione all’art. 1346 c.c. e all’art. 1325 c.c., n. 3, è soddisfatta – con riferimento al contratto preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto la comproprietà, in ragione della metà, di un terreno e di un fabbricato su di esso realizzato, ed alla prestazione di pagare il prezzo – dalla dichiarazione che nella scrittura abbia fatto il venditore che il prezzo è stato pagato mediante l’assunzione di tutte le spese necessarie per la costruzione dell’edificio, in tale riconoscimento essendo necessariamente implicito che anche l’oggetto della obbligazione assunta dal compratore è stato consensualmente determinato.
Mentre per altra recente Cassazione[142] la sanzione di nullità, prevista dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domanda corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), trova applicazione per i soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c.
La nullità prevista dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, di cui all’art. 40, comma 2, per omessa dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto della compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, assolve la sua funzione di tutela dell’affidamento sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere lo stato del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla, concessione edilizia ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Da ciò si fa conseguire che, in presenza della dichiarazione, nessuna invalidità deriva al contratto dalla concreta difformità della realizzazione edilizia dalla concessione o dalla sanatoria e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche.
Sempre in merito alla nullità prevista dalla legge del 1985 per la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 ottobre 2013, n. 23591
deve ritenersi nullo, per contrarietà alla legge, il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico.
Dall’art. 40, comma 2, della l. n. 47 del 1985, è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunte una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.
Sempre per ultima Cassazione[143] è correttamente qualificato nullo per indeterminabilità dell’oggetto – e non vi è quindi inadempimento delle obbligazioni che vi si vorrebbero ricollegare, tale da fondare un diritto al risarcimento – il contratto con cui una parte si impegni genericamente a stipulare un futuro contratto di concessione del godimento di locali genericamente come necessari per lo svolgimento di un’attività, quando sia prospettato, in primo luogo, alternativamente che tanto possa avvenire con o senza corrispettivo e, soprattutto, quando manchi la descrizione dei beni, l’indicazione della durata e, per il caso di contratto oneroso, il corrispettivo del godimento.
Né – potendo giovare la considerazione di manifestazioni di volontà di una od entrambe le parti anteriori al contratto, se non trasfuse nel suo tenore letterale con apprezzabile grado di concretezza, ovvero del quadro normativo di riferimento, ove da esso non si ricavino con analoga concretezza i detti elementi essenziali.
- Annulabilità
Se invece il preliminare era annullabile, ad es. per errore, e l’errante scopertolo, nelle more della stipula del definitivo, anziché impugnare il preliminare, stipula il definitivo stesso,
1) nessun problema nasce per la teoria della causa interna, atteso che il definitivo non nasce viziato, essendo l’errore stato scoperto,
2) mentre per la teoria della causa esterna, la conclusione del definitivo, essendo atto di esecuzione dell’obbligo di contrarre, nella conoscenza del motivo di annullabilità vale convalida del preliminare ex art. 1444 2co.
- Risoluzione
Per Gazzoni l’eccessiva onerosità e l’impossibilità sopravvenuta vanno valutate al tempo in cui il definitivo sarà concluso.
Ad esempio con ultima pronuncia la Cassazione[144] ha stabilito che nella controversia tra privati, avente ad oggetto la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare relativo alla compravendita di un immobile, per il quale il promittente venditore abbia presentato la domanda di concessione in sanatoria, ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ove sia idoneamente documentata la presentazione dell’istanza di condono, è onere della parte interessata dimostrare la mancata successiva formazione del silenzio assenso, sufficiente per il conseguimento della sanatoria.
Mentre per una pronuncia di merito[145] è infondata la domanda di risoluzione contrattuale del preliminare di compravendita formulata dal promittente acquirente in relazione all’acquisto di taluni beni immobili di cui, sebbene ne fosse entrato in possesso al momento della stipula del preliminare, chiedeva la restituzione della caparra avendo accertato che gli edifici erano pericolanti. Orbene nel caso di specie l’inadempimento è imputabile al promittente acquirente che accampava due ordini di scuse al fine di non addivenire alla stipula del contratto definitivo e cioè che i vizi dei beni, pur in precedenza visionati e dei quali ne era entrato in possesso ed il vizio giuridico della non corrispondenza della metratura rispetto a quella promessa. Orbene, ritenuto che la caparra versata al momento della stipula del contratto definitivo non ha natura di caparra confirmatoria, quanto piuttosto quella di “penale” e si riferisce semplicemente ad un recesso non motivato da inadempimenti ma ad un ripensamento, ne deriva che il recesso della parte che l’abbia versata, non comporta il diritto della stessa alla restituzione della somma che il venditore potrà trattenere.
Per altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 10 gennaio 2013, n. 513
invece, vi è la possibilità di risolvere il contratto quando la parte tenuta non cancella l’ipoteca gravante sull’immobile. Nel caso di specie il convenuto, resistendo all’avversa pretesa, di mancato adempimento entro il termine essenziale, negò che il termine per la stipula del definitivo fosse essenziale; eccepì che la stipula del definitivo non aveva avuto luogo perché era stata condizionata alla concessione di un mutuo che egli non aveva potuto conseguire per l’esistenza sul fondo di una iscrizione ipotecaria che l’attore non aveva provveduto a far cancellare e perché erano sorte delle difficoltà per il godimento di una servitù di passaggio garantita nel preliminare di vendita.
Inoltre, sempre in tema di ipoteca, la Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 maggio 2013, n. 13208
ha riconfermato il principio secondo cui ai sensi dell’art. 1482 c.c. (la cui applicabilità analogica al contratto preliminare è costantemente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. nn. 3565/02, 15380/00, 9498/94 e 4450/82, come si avrà modo di leggere successivamente) il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento: o sequestro) non dichiarate dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami (cfr. Cass. nn. 19097/09 e 15380/00). In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo (cfr. Cass. n. 1431/79).
Nel caso in cui la cosa sia affetta da vizi, il promissario acquirente il quale non intenda domandare la risoluzione del contratto, può agire contro il promittente per l’adempimento, chiedendo, anche disgiuntamente dall’azione prevista dall’art. 2932 c.c., l’eliminazione dei vizi, oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo.
Tali azioni, infatti, mirando entrambe ad assicurare, in modo alternativo tra loro, il mantenimento dell’equilibrio del rapporto economico di scambio previsto dai contraenti, costituiscono mezzi di tutela di carattere generale che, in quanto tali, devono ritenersi utilizzabili anche per il contratto preliminare, non rinvenendosi nel sistema positivo, né in particolare nel disposto del citato art. 2932 c.c., ragioni che impediscano di estendere anche a tale tipo di contratto la tutela stabilita, a favore della parte adempiente dai principi generali in materia di contratti a prestazioni corrispettive. La pronunzia del giudice assume in tal caso la funzione di un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l’interesse del promissario acquirente alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente venditore [146].
Da ultimo la S.C. ha avuto nuovamente mdo di riaffermare che in caso di preliminare di vendita, si può configurare l’azione per esecuzione in forma specifica ex art. 2932 unitamente alla “quanti minoris” ex art. 1492 c.c. e dunque la compatibilità tra le due azioni come del resto ammette pacificamente la giurisprudenza (Cass. S.U. n. 1720 del 27/02/1985 (Rv Cass. n.1562 del 26.01.2010; Cass. n. 5121 del 19.04.2000);
Ad esempio, la questione dell’edificabilità o meno del terreno non costituisce un vizio del bene compravenduto legittimante l’applicazione dell’art. 1492 c.c., potendosi tradurre al più in un errore sulla qualità dell’oggetto, eventualmente rilevante unicamente ai fini della risoluzione del contratto.
La corte territoriale, nel caso di specie, affermava che non esisteva alcun vizio o difetto della cosa compravenduta, quanto al più di un errore dell’acquirente sulla qualità della stessa, che come tale avrebbe potuto legittimare, in base ai principi generali, solo l’azione di risoluzione del contratto ma non l’actio quanti minoris.
Ciò del resto è conforme all’insegnamento di questa S.C., secondo cui la falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto) inesatta conoscenza della circostanza della edificabilità o inedificabilità del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene, differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura (errore che, per converso, non influirà sulla validità del contratto qualora verta esclusivamente sul valore, attenendo, in tal caso, ai motivi che possano aver indotto le parti alla stipula e che, come tali, non spiegano una incidenza diretta sul processo formativo del volere negoziale) (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5900 del 01/07/1997).
Sulla stessa linea risulta altro arresto della S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 febbraio 2016, n. 3855
secondo il quale, appunto, proposte cumulativamente e contestualmente una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita, ai sensi dell’articolo 2932 codice civile, e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo prevista dal comma 2 della norma citata deve ritenersi non necessaria ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo.
Mentre, come ribadito dala medesima Corte di Legittimità
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 ottobre 2014, n. 21681
essendo stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della Cassazione (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenze n. 16969 del 2005 e n. 477 del 2010), il promissario acquirente non puo’ valersi della disciplina relativa alla garanzia dei vizi della cosa venduta (articolo 1490 cod. civ.) o di quella di cui all’articolo 1497 cod. civ., relativa alla garanzia per mancanza di qualita’ della cosa venduta, le quali presuppongono la conclusione del contratto definitivo e sono estranee al contratto preliminare, che ha per oggetto non un “dare”, ma un “facere” (l’obbligo di concludere un contratto successivo e definitivo di compravendita), in ordine al quale quelle garanzie non trovano giustificazione .
Per altro verso, il promissario acquirente di un immobile gravato da pesi o vincoli, cui sia stato promesso il pieno, libero e pacifico acquisto del dominio sul bene, ben puo’ avvalersi del disposto dell’articolo 1481 c.c., articolo 1482 c.c., comma 1, e articolo 1489 c.c., comma 2, applicabili per analogia al preliminare di vendita, e cosi’ rifiutare il proprio consenso alla stipulazione del contratto definitivo fino a quando non gli sia stata fornita la dimostrazione della liberta’ del fondo (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 781 del 1994; sentenza n. 3450 del 1984).
Sul punto è tornata nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 febbraio 2015, n. 3028
riaffermando che in caso di preliminare di immobile con consegna anticipata, la consegna dell’immobile oggetto dell’accordo effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti ne’ comunque di quello di prescrizione, perche’ l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto. In caso di preliminare di vendita non trovano, dunque, applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, – norme che hanno come loro presupposto l’avvenuto trasferimento della proprieta’ del bene -, in quanto il contratto in esame e’ caratterizzato, come e’ noto, tra l’altro, proprio dalla mancanza dell’effetto traslativo. Piuttosto, prima della stipula dell’atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente – senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’articolo 1495 c.c., per la denuncia dei vizi della cosa venduta – ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita, altresi’, a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa.
Mentre in via generale è opportuno riportare recente pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 8 settembre 2017, n. 20957
secondo la quale deve essere qualificata come domanda di declaratoria di risoluzione di un contratto preliminare quella volta a conseguire, oltre alla risoluzione del contratto per grave inadempimento del promissario acquirente, la condanna al risarcimento di ulteriori danni, sia pure da liquidarsi in separata sede. La parte non inadempiente puo’, infatti, anziche’ esercitare il recesso, chiedere la risoluzione del contratto e l’integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali (articolo 1385 c.c., comma 3), e cioe’ sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza; nel qual caso non puo’ incamerare la caparra, essendole invece consentito solo trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spettantele a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati. In siffatta evenienza la restituzione della caparra e’ ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacche’ in tale ipotesi essa perde la su indicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli articoli 1453 c.c. e ss.
Risarcimento del danno
Ai fini risarcitori, poi, il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come sine titulo. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale[147].
Principio ripreso da ultima pronuncia del sommo collegio
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 aprile 2013, n.8571
secondo la quale, appunto, il promissario acquirente di un immobile che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come sine titulo; con la conseguenza che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale.
In caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui (sia essa usurpativa o non), il danno per il proprietario del cespite è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del proprietario usurpato ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.
Inoltre il risarcimento del danno al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto – cioè al tempo in cui l’inadempimento è divenuto definitivo – ed il prezzo pattuito. La detta differenza deve inoltre essere rivalutata per compensare la svalutazione intervenuta nelle more del giudizio, mentre non deve essere rivalutato il prezzo pagato dal promissario acquirente e tempestivamente beneficiato dal promittente alienante[148].
Principio ripreso in altra pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 6 febbraio 2014, n. 2771
laddove, inoltre, in merito all’entità del danno risarcibile in caso di inadempimento è stato stabilito: il concetto di danno risarcibile, e in particolare, di lucro cessante, con riguardo all’inadempimento, da parte del promissario acquirente, di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, è da riferirsi al principio, ex art. 1223 cod. civ., secondo cui il risarcimento deve porre il creditore nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato. A tal proposito, la citata disposizione prevede il ristoro non solo del danno emergente, ma anche del lucro cessante, ossia di ogni conseguenza lesiva che, seppur non apparente e non immediatamente riscontrabile, gli sia derivata dall’azione dannosa.
Il proprietario, in caso di contratto preliminare di compravendita rimasto inadempiuto, non è tenuto a dare prova delle sue intenzioni, quali la volontà di utilizzare o locare il bene, poiché detta prova si trasformerebbe in una probatio diabolica. La prova sarebbe altresì superflua perché è intrinseca nella disciplina dell’art. 1223 cod. civ. la previsione della risarcibilità del mancato guadagno, qualora sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. (Cass. n. 6586 del 1997).
Rientra quindi nel diritto al risarcimento del danno, sorto in capo al promittente venditore a seguito dell’accertato inadempimento del promissario acquirente, il ristoro di tutti i danni, comprensivi tanto di danno emergente quanto di lucro cessante. Ed è in quest’ultima categoria che rientrano, ad esempio nel caso di specie, i danni nascenti dalla disdetta dei contratti di locazione agli occupanti durante le trattative con la la società acquirente, trattative che, come detto, non si sono mai concretizzate con la conclusione di un contratto definitivo e di conseguenza con la cessione del bene.
Per la Cassazione[149] precedente il risarcimento del danno dovuto, a titolo di lucro cessante, al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo e il prezzo pattuito, differenza da calcolare in riferimento al momento in cui l’inadempimento è divenuto definitivo e da rivalutare al tempo della liquidazione, per compensare gli effetti della svalutazione monetaria intervenuta nelle more del giudizio, mentre il pregiudizio derivante dal ritardo nella reintegrazione del patrimonio del soggetto leso va determinato (come negli altri casi di risarcimento di danno da illecito contrattuale), mediante la corresponsione di interessi computati prima sull’importo originariamente dovuto e quindi sui progressivi suoi adeguamenti in corrispondenza della sopravvenuta inflazione, secondo scadenze temporali fisse, ovvero mediante l’utilizzazione in via equitativa di indici annuali medi di svalutazione in considerazione della difficoltà di fissare mutevoli basi di riferimento.
Mentre, per altra sentenza di legittimità
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 settembre 2013, n. 21438
a seguito della risoluzione ex art. 1456 c.c. di un preliminare di vendita immobiliare senza consegna anticipata del bene al promissario acquirente, costui, resosi inadempiente, non deve al promittente venditore a titolo di risarcimento di danno emergente e relativamente al periodo intercorrente tra la data fissata per la stipula del definitivo e quella della risoluzione, le spese e le imposte correlate al possesso del bene.
Sotto un profilo processuale non sussiste un rapporto di pregiudizialità, tale da giustificare la sospensione necessaria del processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., fra il giudizio di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di compravendita immobiliare e quello di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il relativo contratto definitivo, non costituendo l’accertamento della fondatezza della prima domanda un antecedente logico indispensabile per la pronuncia sulla seconda[150].
- Sospensione del pagamento ex art. 1481 c.c. (pericolo di rivendice/evizione)
E’ opportuno segnalare che secondo una sentenza della Corte di Legittimità
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 marzo 2013, n. 5772
a norma dell’art. 1481 cod. civ. – disposizione applicabile per analogia anche al contratto preliminare di compravendita – il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possano essere rivendicate da terzi. Ne consegue che, quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione, è concessa al promittente acquirente la facoltà di rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino a quando non venga eliminato tale pericolo.
Si legge nella sentenza che a questo principio si è attenuta la Corte territoriale, rilevando, con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, poichè l’esistenza del vincolo derivante dalla trascrizione della domanda di revocatoria fallimentare, esponendo il promissario al rischio di perdere la titolarità del bene acquistato, gli consentiva di non eseguire legittimamente la propria prestazione fino alla cancellazione della formalità pregiudizievole, tanto più che i promittenti non avevano dato alcuna prova di avere, con l’atto di diffida ad adempiere, reso edotto o rassicurato il promissario che, contestualmente alla stipula del definitivo, si sarebbe proceduto alla cancellazione della trascrizione a seguito della verificazione della vicenda estintiva del diritto della massa dei creditori ad ottenere l’accertamento della inopponibilità delle assegnazioni.
- Rescissione[151] per lesione
La teoria del doppio contratto ipotizza una doppia azione, anche perché – si sostiene – la lesione, solo potenziale quando si conclude il preliminare, si attualizzerebbe con il definitivo.
Per la S.C.[152] sia dal contratto preliminare che dal successivo contratto definitivo sorgono distinte azioni di rescissione, con un proprio annuale termine di prescrizione, decorrente dalla data di rispettiva conclusione. Pertanto, se dopo la stipulazione del contratto preliminare le parti stipulano il contratto definitivo, l’azione di rescissione di quest’ultimo contratto in tanto è fondata in quanto ricorrano al momento della sua conclusione le condizioni dell’azione stessa, fra cui lo stato di bisogno, non essendo sufficiente che le suddette condizioni ricorressero nel momento della stipula del preliminare.
In tal modo qualora tra preliminare e definitivo intercorra più di un anno, si porrebbe nel nulla il termine annuale di prescrizione, perché l’azione, ove prescritta per il preliminare, sarebbe riproponibile entro un ulteriore anno del definitivo.
Per Bianca – se dopo il preliminare si stipula il contratto definitivo senza che contro il preliminare si stata proposta l’azione di rescissione, dal momento della conclusione del contratto definitivo sorge una nuova azione di rescissione ed il relativo termine annuale di prescrizione decorre da quest’ultima data e non da quella di conclusione del preliminare
Chi[153], invece, attribuisce carattere solutorio al definitivo, ritiene possibile l’azione solo entro un anno dalla conclusione del preliminare.
Sotto un profilo processuale, il promittente, convenuto in giudizio per l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, può chiedere in via riconvenzionale la rescissione del contratto preliminare per lesione anche se dalla data di conclusione di questo sia già decorso il termine annuale di prescrizione previsto dall’art. 1449 c.c., poiché per detto promittente la lesione sorge in concreto solo con l’azione giudiziaria per l’esecuzione specifica[154].
- Revocatoria
Il preliminare è revocabile pur non essendo giammai traslativo ed infatti il creditore del promettente alienante, se munito del titolo esecutivo, può pignorare il bene promesso in vendita, senza dover agire in revocatoria.
1) Bianca: dovrebbe essere revocato il definitivo, da solo, se si ipotizza la causa interna; la consapevolezza del danno arrecato ai creditori deve però sussistere al momento della stipulazione del preliminare. La consapevolezza sopravvenuta è irrilevante se non compete più alla parte la libertà di stipulare o di non stipulare il definitivo.
2) Gazzoni: dovrebbero essere revocati preliminare e definitivo, se è atto di adempimento, ostandovi altrimenti l’art. 2901 3co.
Per la S.C.[155] in tema di azione revocatoria ordinaria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza dell’eventus damni rispetto al creditore procedente va valutata in riferimento al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi soltanto in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore; per contro, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 cod. civ. in capo all’acquirente va valutato, invece, in relazione al momento della stipula del contratto preliminare, dovendosi contemperare, in ossequio alla ratio dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata.
I) REGISTRAZIONE E TRASCRIZIONE
1) Registrazione
L’obbligo di registrazione[156]
Fino a qualche tempo fa era invalsa l’abitudine di stipulare il contratto preliminare indicando un corrispettivo diverso rispetto a quello successivamente indicato nel contratto definitivo di vendita: di solito, il prezzo realmente pattuito era indicato solo nel preliminare, mentre nel definitivo, soprattutto per le compravendite aventi a oggetto immobili a uso abitativo effettuate da persone fisiche che agiscono come privati, il valore indicato era costituito dal valore catastale.
Per ovviare a questo inconveniente, il legislatore ha modificato il sistema di accertamento e ha coinvolto in modo solidale, oltre che le parti (promissario acquirente e promittente venditore) anche i mediatori immobiliari.
In generale, l’articolo 10 del D.P.R. n. 131 del 26/04/1986[157] stabilisce che le scritture private non autenticate di natura negoziale devono essere registrate.
L’obbligo di registrazione investe tutte le scritture private non autenticate di natura negoziale – anche quelle sottoscritte tra privati o imprese a prescindere dall’intervento di un mediatore.
In particolare la Legge n. 296 del 27/12/2006 – cd Finanziaria 2007 – agli art. 1 commi da 46 a 49, precisa inoltre che i mediatori devono procedere alla registrazione di tutte le scritture stipulate in seguito alla loro attività e che sono coobbligati in solido con i contraenti.
Questo significa che l’agente immobiliare dovrà procedere a sua cura e spese alla registrazione degli atti, nel caso non lo facessero le parti, con il relativo versamento delle imposte dovute, chiedendone poi il rimborso ai contraenti.
La L. 296/2006 (c.d. “Finanziaria 2007”) prevede l’obbligo per i mediatori di sottoporre a registrazione le scritture private sottoscritte grazie al loro intervento. Ciò si traduce, ai fini della presente trattazione, nell’obbligo di registrare i contratti preliminari che vengono sottoscritti con l’ausilio del mediatore.
Gli agenti di affari in mediazione, iscritti nella sezione degli agenti immobiliari del ruolo, di cui all’art. 2 della legge n. 39/1989, hanno l’obbligo di richiedere la registrazione delle scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività di conclusione degli affari.
In altri termini, gli agenti immobiliari hanno l’obbligo di procedere alla registrazione dei contratti preliminari di compravendita, sia nel caso di stipulazione di un accordo negoziale contenuto in una scrittura privata, sia nel caso di accordo concluso sulla base di una proposta accettata.
2) Trascrizione
art. 2645 bis c.c. trascrizione di contratti preliminari:i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. La trascrizione del contratto definitivo, o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1 ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare. Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro 1 anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro 3 anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’articolo 2652, primo comma, numero 2. I contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione devono indicare, per essere trascritti, la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi. Nel caso previsto nel comma 4 la trascrizione é eseguita con riferimento al bene immobile e per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma stesso. Non appena l’edificio viene a esistenza gli effetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà predeterminate, nonché alle relative parti comuni. L’eventuale differenza di superficie o di quota contenuta nei limiti di un ventesimo rispetto a quelle indicate nel contratto preliminare non produce effetti Ai fini delle disposizioni di cui al comma 5, si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e sia stata completata la copertura.
art. 2652 c.c. domande riguardanti atti soggetti a trascrizione. Effetti delle relative trascrizioni rispetto ai terzi: ……. Le sentenze che accolgono tali domande non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto (c.c.2827 2848) anteriormente alla trascrizione della domanda; 2) le domande dirette a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (c.c.1706, 2932).
I preliminari dei contratti di cui all’art. 2643 c.c. n. 1-2-3-4,
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili (c.c.812);
2) i contratti (c.c.1350, 2651) che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto[158] (c.c.978 e seguenti) su beni immobili, il diritto di superficie[159] (c.c.952 e seguenti), i diritti del concedente e dell’enfiteuta (c.c.957 e seguenti);
3) i contratti che costituiscono la comunione[160] (c.c.1100 e seguenti) dei diritti menzionati nei numeri precedenti
4) i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali (c.c.1027 e seguenti), il diritto di uso sopra beni immobili, il diritto di abitazione[161] (c.c.1021 e seguenti); D.L. 31 Dicembre 1996, n.669 convertito nella L. 28 febbario 1997,n.30.
Se risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente, anche se condizionanti o aventi ad oggetto fabbricati da costruire o in costruzioni, devono essere trascritti.
L’efficacia della trascrizione è però limitata nel tempo fino ad un anno dalla data convenuta per la conclusione del definitivo o comunque non oltre 3 anni.
Secondo l’opinione dominante[162] avrebbe la funzione di prenotazione, sicché l’opponibilità deriverebbe dalla successiva trascrizione del definitivo; la trascrizione del contratto definitivo prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promettente alienante dopo la trascrizione del preliminare. In altri termini, la trascrizione del preliminare non opera autonomamente rispetto al momento della pubblicità del definitivo, ma determina una sorta di prenotazione che varrà ai fini della pubblicità soltanto nel momento in cui l’intera vicenda traslativa si sarà verificata.
art. 2644 c.c. effetti della trascrizione: gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto (c.c.2827, 2848) anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi (c.c.2650). Eseguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore (disp.di att. al c.c. 225).
Senonché sembra più corretto ritenere[163]che questa trascrizione vada curata a fini di autonoma opponibilità sia pure temporalmente circoscritta, come è inevitabile in relazione alla natura obbligatoria degli effetti.
Pertanto la trascrizione del definitivo, atto esecutivo o domanda e poi sentenza ex art. 2932, non retroagisce, ma risolverà i conflitti con chi acquista i diritti incompatibili con atto trascritto successivamente, perché i conflitti precedenti se sorti dopo la trascrizione del preliminare, sono risolti da quest’ultima.
Il promittente acquirente è dunque tutelato senza soluzione di continuità, prima della trascrizione del preliminare e poi, quando acquisterà il diritto reale, dalla trascrizione del definitivo, atto esecutivo o domanda seguita da sentenza ex art. 2932.
Per la S.C.[164] la sentenza costitutiva che, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., accoglie la domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di vendita, una volta trascritta, retroagisce rispetto ai terzi alla data della trascrizione della relativa domanda, effettuata a norma dell’art. 2652, n. 2, cod. civ., con la conseguenza che tutte le trascrizioni o iscrizioni sulla cosa contesa eseguite dopo la trascrizione della domanda ex art. 2932 cod. civ. sono inefficaci nei confronti dell’autore di quest’ultima. Pertanto, il terzo che non lamenti in suo danno la commissione di un atto illecito non ha titolo per agire giudizialmente contro chi ha trascritto per primo, non avendo titolo per opporsi (art. 2909 cod. civ.) alle sentenze che hanno determinato la cosa giudicata.
Ancora secondo altra massima[165] con la trascrizione della domandaproposta ex art. 2932 cod. civ., e poi della successiva sentenza di accoglimento della domanda, l’attore prevale sugli acquirenti dello stesso dante causa che abbiano trascritto posteriormente alla detta trascrizione. Per ottenere tali effetti l’attore non ha assolutamente l’onere di trascrivere il contratto preliminare, atteso che a differenza dell’ipotesi prevista dall’art. 2643, n. 1, cod. civ., in cui il trasferimento della proprietà è l’effetto del contratto di compravendita, che quindi va trascritto, nella fattispecie disciplinata dall’art. 2932, cit. il trasferimento della proprietà è l’effetto della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda in questione; onde per risolvere il conflitto con eventuali altri acquirenti, l’attore deve trascrivere prima di questi la domanda giudiziale, in quanto tale trascrizione ha l’effetto di far retroagire dalla sua data l’effetto costitutivo della futura sentenza, e di poi provvedere alla trascrizione di tale sentenza che è necessaria per ottenere questo effetto nei confronti di chi abbia trascritto od iscritto contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda, avendo nei rapporti tra attore e convenuto, la sentenza ex art. 2932 cod. civ. piena efficacia anche senza la sua trascrizione.
- Limiti all’effetto prenotativi relativo al finanziamento garantito ipotecariamente
In caso di mancata esecuzione del preliminare, la relativa trascrizione attribuisce privilegio sull’immobile per i crediti del promettente acquirente (dal pagamento anticipato del prezzo – caparra confirmatoria – clausola penale), purché non sia scaduto suddetto termine di opponoibilità al momento variamente fissato dall’art. 2775 bis c.c. art. 2775 bis c.c. credito per mancata esecuzione di contratti preliminari: nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis, i crediti del promissario acquirente che ne conseguono hanno privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al pagamento, ovvero al momento della trascrizione del pignoramento o al momento dell’intervento nella escuzione promossa da terzi. Il privilegio non é opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’articolo 2825-bis
L’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia di finanziamento dell’intervento edilizio a sensi degli articoli 38 e seguenti del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, prevale sulla trascrizione anteriore dei contratti preliminari di cui all’articolo 2645-bis, limitatamente alla quota di debito derivante dal suddetto finanziamento che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto successivo eventualmente adeguata ai sensi dell’articolo 39, comma 3, del citato decreto legislativo n. 385 del 1993. Se l’accollo risulta da atto successivo, questo é annotato in margine alla trascrizione del contratto preliminare.
Tizio (promittente alienante) promette di vendere a Caio (promettente acquirente) l’immobile Alfa in corso di costruzione per il quale Tizio ha chiesto un finanziamento ai sensi della legge n. 395 del 1993 garantito da ipoteca sullo stesso immobile.
Qualora il promissario si accolli parte del debito restitutorio, l’ipoteca iscritta sul bene, anche successivamente alla trascrizione del preliminare di vendita, prevale su questa, limitatamente però alla quota di debito, derivante dal suddetto finanziamento, che Caio si è accollato con il contratto preliminare o con altro atto successivo.
Poi, come anche da ultimo intervento della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 19 dicembre 2016, n. 26102
la sentenza che accoglie la domanda diretta ad accertare l’avvenuto trasferimento di un immobile a mezzo di scrittura privata con firma non autenticata presuppone logicamente l’accertamento, con efficacia di giudicato, della autenticita’ della sottoscrizione di tali scritture e, pur non potendo, in se’ e per se’ considerata, essere trascritta, perche’ non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dalla legge ed a quelle, in particolare, di cui all’articolo 2643 c.c., n. 14 (che si riferisce alle sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati dai precedenti numeri dello stesso articolo), consente, tuttavia, la trascrizione della scrittura privata, ai sensi dell’articolo 2657 c.c.”, (cosi’ gia’ Cass. n. 10434/93, nonche’ Cass. n. 14486/00, n. 13924/02, n. 13695/11). Questo principio di diritto ha a suo presupposto la constatazione, che qui si ribadisce, per la quale “la disposizione dell’articolo 2657 c.c., comma 1, secondo cui la trascrizione non si puo’ eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, ha carattere tassativo. Pertanto, quando l’atto soggetto a trascrizione sia documentato solo da una scrittura privata mancante di autenticita’, l’unica via attraverso la quale l’interessato puo’ conseguire la trascrizione e’ quella dell’accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura, perche’ solo attraverso l’integrazione della scrittura con la sentenza potra’ ottenere l’effetto dell’opponibilita’ della prima ai terzi” (cfr. Cass. n. 3674/95 e n. 2033/96).
Quindi, l’atto da trascrivere ai sensi dell’articolo 2657 c.c., non e’ la sentenza che accerta l’autenticita’ delle sottoscrizioni, bensi’ la scrittura privata le cui sottoscrizioni siano state accertate giudizialmente, divenuta titolo idoneo ex articolo 2657 c.c., e questa va presentata in originale o in copia autentica al Conservatore dei registri immobiliari, ex articolo 2658 c.c., (cfr. Cass. n. 14486/2000).
In conclusione, in coerenza con la richiamata giurisprudenza, vanno qui riassunte le regole seguenti:
– la domanda di mero accertamento dell’effetto traslativo di una scrittura privata, quando sia in contestazione questo effetto, non e’ trascrivibile ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2652 c.c., cosi’ come non e’ trascrivibile la relativa sentenza ai sensi dell’articolo 2643 c.c., n. 14, poiche’ appunto sentenza di accertamento, e non costitutiva ne’ traslativa del diritto di proprieta’;
– la domanda diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione di scrittura privata che contiene un atto traslativo soggetto a trascrizione e’, invece, trascrivibile ai sensi dell’articolo 2652 c.c., n. 3; questa domanda, di norma, e’ implicita, cioe’ e’ logicamente presupposta, nella domanda diretta ad accertare l’avvenuto trasferimento di un immobile a mezzo di scrittura privata con firme non autenticate; una volta ottenuta la sentenza che accerta l’autenticita’ delle sottoscrizioni, ai sensi dell’articolo 2652 c.c., n. 3, l’atto da trascrivere non e’ la sentenza, ma la scrittura privata le cui sottoscrizioni siano state accertate giudizialmente.
La combinazione tra gli effetti della trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale delle sottoscrizioni – seguita dalla sentenza di accoglimento (che va annotata, non trascritta) ai sensi dell’articolo 2752 c.c., n. 3 – e gli effetti della successiva trascrizione ai sensi dell’articolo 2657 c.c., della scrittura privata autenticata giudizialmente comporta che quest’ultima trascrizione “produce effetto dalla data in cui e’ stata trascritta la domanda” – per come dispone il secondo inciso dell’articolo 2752 c.c., n. 3.
Trattandosi di scrittura privata contenente trasferimento di un diritto reale immobiliare, gli effetti della trascrizione sono quelli disciplinati dall’articolo 2644 c.c., vale a dire sono gli effetti dell’opponibilita’ vera e propria e retroagiscono alla data di trascrizione della domanda giudiziale in ragione della “prenotazione” assicurata appunto dall’articolo 2752 c.c., n. 3 (cfr. Cass. n. 930/97).
La sequenza e’ quindi data dalla trascrizione della domanda piu’ annotazione della sentenza seguita da trascrizione della scrittura privata autenticata giudizialmente.
I principi di cui si e’ fin qui detto sono applicabili alla fattispecie della trascrizione del preliminare, con effetti analoghi – anche se non del tutto coincidenti, per la peculiarita’ della formalita’ disciplinata dall’articolo 2645 bis c.c..
In conclusione, è stato affermato – con la sentenza in commento del 2016 – che la disposizione dell’articolo 2645 bis c.c., secondo cui la trascrizione del preliminare non si puo’ eseguire se non in forza di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, comporta che, quando l’atto soggetto a trascrizione sia documentato solo da una scrittura privata mancante di autenticita’, l’unica via attraverso la quale l’interessato puo’ conseguire la trascrizione e’ quella dell’accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura, perche’ solo attraverso l’integrazione della scrittura con la sentenza potra’ ottenere l’effetto della prenotazione dell’opponibilita’ ai terzi della (futura) trascrizione del definitivo. Ne consegue che e’ trascrivibile ai sensi dell’articolo 2652 c.c., n. 3, la domanda diretta ad ottenere l’accertamento giudiziale della sottoscrizione di una scrittura privata in cui si contiene un preliminare soggetto a trascrizione e che, ottenuta la sentenza, occorre procedere alla trascrizione dell’atto contenuto nella scrittura e questa produce gli effetti dell’articolo 2645 bis c.c., comma 2, dalla data in cui e’ stata trascritta la domanda.
- Fallimento del promittente alienante
In caso di fallimento del promettente alienante, ci può, poi, essere una paralisi del procedimento di formazione della sequenza preliminare – definitivo, nonostante la trascrizione ex art. 2645 bis.
Disponeva, infatti l’art. 72, ultimo co, R.D. 16 marzo 1942 che il curatore del fallimento del promettente alienante ha la scelta tra l’esecuzione o lo scioglimento del contratto; in tale ultimo caso, al promissorio acquirente è accordato il privilegio speciale previsto dall’art. 2775 bis, ma non gli è, però riconosciuto il risarcimento del danno (per la parcondicium creditorum).
Art. 72[166] – Rapporti pendenti
1. Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto
in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo [ salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.][167]
2. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
3. La disposizione di cui al primo comma del presente articolo si applica anche
al contratto preliminare salvo quanto previsto nell’articolo 72 bis.
4. In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento [, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.][168]
5. L’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore , fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V della presente legge
6. Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.
7. In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.[169] 8. Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile[170] avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado.[171]
Dal 1° gennaio 2008 è entrato in vigore il d. lgs. 12.9.2007, n. 169, recante «Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80» emesso in attuazione della delega “correttiva” conferita al Governo con l’art. 1, comma 3 della legge 12.7.2006, n. 5
La previsione, contenuta nella lett. c) del n. 6 dell’art. 4, d. lgs. n. 169/2007, ha invece introdotto una vera novità, anche sostanziale, nella parte in cui, aggiungendo all’art. 72 un ottavo comma, ha stabilito che «Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado».
Si tratta, infatti, di una nuova eccezione alla regola generale della sostituzione facoltativa del Curatore nella posizione del contraente fallito e del conferimento al Curatore della facoltà di scelta tra il subentro o lo scioglimento del contratto, sancita nel primo comma dell’art. 72.
Prima del decreto correttivo facevano eccezione alla regola soltanto i rapporti pendenti la sorte dei quali fosse regolata da specifiche disposizioni di legge contenute nella stessa Sezione IV della legge fallimentare o in altre leggi.
Oggi a tali eccezioni si è aggiunta quella oggetto della norma in questione, che sottrae il preliminare di vendita immobiliare, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis, cod. civ., alla regola generale degli altri rapporti pendenti e lo accomuna nella sorte privilegiata riservata ai pochi contratti in corso per i quali la legge prevede, per il solo effetto del fallimento, la sostituzione automatica del Curatore nella posizione del contraente dichiarato fallito, con tutto quello che ne consegue a favore ed a carico dei creditori concorrenti: da una parte, l’acquisto dei diritti nascenti dal contratto e, dall’altra, l’assunzione a carico della massa delle obbligazioni da esso nascenti.
L’aggiunta dell’ottavo comma dell’art. 72, l. fall., completa le misure di rafforzamento del promissario acquirente di immobili ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti, disponendo che ad esso non si applica la regola generale posta con il primo comma dell’articolo citato e sottraendo al Curatore del fallimento del promittente venditore ogni discrezionalità in merito alla sorte del contratto preliminare che sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis, cod. civ. In esso subentra automaticamente il Curatore, che deve adempiere le obbligazioni in applicazione delle norme comuni del contratto
La S.C. è intervenuta con una pronuncia delle Sezioni Unite[172] affermando che il privilegio speciale sul bene immobile che assiste, ai sensi dell’art. 2775-bis cod. civ., i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ex art. 2645-bis cod. civ., siccome subordinato a una particolare forma di pubblicità costitutiva, resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull’ipoteca, sancita se non diversamente disposto, dal comma 2 dell’art. 2748 cod. civ. e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti.
Ne consegue che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell’immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare, il conseguente credito del promissario acquirente, benché assistito da privilegio speciale, deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto al credito dell’istituto bancario che, precedentemente alla trascrizione del preliminare, abbia iscritto sull’immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice.
A tal proposito, la S.C., facendo peraltro proprio il principio in precedenza dettato dalle Sezioni Unite con sentenza del 7 luglio 2004 n. 12505 ha affrontando specificatamente la questione relativa all’opponibilità al fallimento della domanda giudiziale del promissario acquirente trascritta prima della relativa dichiarazione e ha recentemente affermato[173] che gli effetti della sentenza di accoglimento della domanda proposta ex art. 2932 cod. civ., quando trascritta, retroagiscono alla data di trascrizione della domanda, rendendo così la situazione controversa insensibile agli eventi successivi che pretendono di incidere sulla titolarità e disponibilità del bene oggetto della pretesa.
Per le sezioni unite[174] quando la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l’accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 della legge fallimentare.
Ancora in precedenza le Sezioni Unite[175] stabilivano che in relazione alla previsione della norma dell’art. 2932 cod. civ., secondo cui l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è ammessa soltanto «qualora sia possibile», si deve ritenere che il fallimento del promissario venditore, facendo venir meno nel fallito il potere di disposizione e di amministrazione del patrimonio e bloccando la situazione patrimoniale qual era alla data in cui venne pronunciata la dichiarazione di fallimento, impedisca che possa avere corso l’esecuzione specifica della detta promessa, poiché essa determinerebbe un mutamento della situazione patrimoniale ed in particolare un effetto traslativo, nonostante lo spossessamento prodotto dalla sentenza dichiarativa del fallimento, restando, d’altro canto, ininfluente la circostanza che prima del fallimento sia stata trascritta la domanda ex art. 2932 cod. civ., in quanto essa non può impedire l’apprensione del bene promesso in vendita da parte della curatela fallimentare, giacché gli effetti di tale trascrizione possono spiegarsi soltanto condizionatamente alla trascrizione della sentenza di accoglimento della domanda, che in questo caso non può essere pronunciata. Peraltro, l’impedimento alla pronuncia della sentenza ex art. 2932 cod. civ. non esclude che il contratto resti inalterato, con la conseguenza che se il fallito promittente venditore ritorna in bonis ed il bene si trovi nella sua disponibilità, esso contratto può essere fatto valere. Qualora, viceversa, dichiarato il fallimento, si verifichi la scelta del curatore fallimentare ex art. 72 quarto comma legge fall. a favore dello scioglimento del contratto, si deve reputare che la relativa dichiarazione abbia effetti più ampi di quelli scaturenti nel suddetto senso della dichiarazione di fallimento ed esplichi un’efficacia di caducazione della promessa di vendita fin dall’origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, che restano fermi anche nel caso in cui il fallito ritorni in bonis a seguito di una revoca del fallimento.
Infine, come da altro adagio della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 dicembre 2015, n. 24975
ripreso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18131 del 2015, “il curatore del fallimento del promittente venditore non puo’ sciogliersi dal contratto preliminare, ai sensi della L.F., articolo 72, con effetto verso il promissario acquirente ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex articolo 2932 c.c., e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta”.
Sulla stessa linea ultimo intervento della S.C.
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 febbraio 2016, n. 2906
secondo la quale, appunto, la domanda ex art. 2932 c.c. – trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese – non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissario acquirente che una tale domanda ha proposto. Tutto ciò, naturalmente, se la sentenza è accolta ed è trascritta a sua volta. E ciò si coniuga con l’effetto prenotativo che attua la trascrizione della domanda ex art. 2652, n. 2 c.c. il cui meccanismo pubblicitario si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento. Il giudice, pertanto, può senz’altro accogliere la domanda pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c., se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento. Ciò consente di mantenere inalterata la facoltà di scelta del curatore, quale espressione di un potere sostanziale che l’ordinamento con l’art. 72 l. fall., gli riconosce, ma che, nella concorrenza di determinati evenienze, non è opponibile – in caso di accoglimento della domanda in forma specifica – al promissario acquirente che abbia trascritto tale domanda anteriormente alla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore nel registro delle imprese.
Ancora, con altro provvedimento la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2016, n. 4734
ha affermato il seguente principio di diritto: con riguardo ad un contratto preliminare di vendita immobiliare, qualora il promissario acquirente abbia agito in giudizio per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, la sopravvenienza del fallimento del promittente venditore comporta che il curatore può esercitare, nell’ambito del processo non ancora esaurito (sia nel giudizio di primo grado che in quello di appello), il potere di recedere dal contratto, a norma dell’art. 72 ult. comma l. fall.; l’esercizio del potere di recesso tuttavia può determinare il rigetto della domanda giudiziale solo ove tale domanda non sia stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento; ove, invece, l’attore abbia provveduto a trascrivere la propria domanda prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese, il recesso esercitato dal curatore non vale ad impedire l’accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., ove sussistano i presupposti di legge, e la relativa sentenza è opponibile non solo al curatore, ma anche alla massa dei creditori, purché l’attore, dopo il suo passaggio in giudicato, abbia provveduto alla sua trascrizione
NOTE
[1] Corte di Cassazione, sentenza febbraio 2009, n. 2561
[2] Tribunale Roma, Sezione 10 civile, sentenza 22 marzo 2011, n. 5935
[3] Corte di Cassazione, sentenza 10276 del 16-7-2002
[4] Corte di Cassazione, sentenza 16118 del 14-7-2006
[5] Corte di Cassazione, sentenza 14267 del 20-6-2006
[6] Tribunale Potenza, civile, sentenza 15 dicembre 2010, n. 1501
[7] Corte d’Appello Firenze, Sezione 1 civile, sentenza 4 maggio 2010, n. 683
[8] Corte di Cassazione, sentenza 1-6-85, n. 3389
[9] Corte di Cassazione, sentenza 6-1-81, n. 47
[10] Corte di Cassazione, sentenza 12-11-86, n. 6629
[11] Corte di Cassazione, sentenza 18-4-83, n. 2651
[12] Corte di Cassazione, sentenza 7768 del 29-3-2007
[13] Corte di Cassazione, sentenza 11-9-89, n. 3922
[14] Bonfanti – Scognamiglio – De Cupis – Mengoni – Distaso
[15] Mirabelli
[16] Bianca
[17] Barbero – Osti – Carresi – Bianca – Mirabelli – Petrelli
[18] Per tutte Sez. Un., sent. 9645 del 16-7-2001. La responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall’art. 1337 cod. civ. — a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede —, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’«iter» di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest’ultimo debbono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione.
[19] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezioni Unite, sentenza n.16170 del 25 luglio 2011
[20] Corte di Cassazione, sentenza 18-1-88, n. 340
[21] Corte di Cassazione, sentenza 29-11-85, n. 5920
[22] Corte di Cassazione, sentenza n.19024/05, la recente Corte di Cassazione, sentenza n. 24795/08 e in tal senso, ancorché in relazione ad altra situazione di specie, Cass. S.U. n. 26728/07
[23] Corte di Cassazione, sentenza 19024 del 29-9-2005
[24] Trib. Brescia, Sez. III, 21/05/2003
[25] Corte di Cassazione, sentenza n.5297/98
[26]Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 aprile 2012, n. 6526
[27] Corte di Cassazione, sentenza 12-3-93, n. 2973
[28] Corte di Cassazione, sentenza 14-2-2000, n. 1632
[29] Capozzi
[30] Corte di Cassazione, sentenza 19883 del 13-10-2005
[31] Corte di Cassazione, sentenza 12313 del 10-6-2005
[32] Corte di Cassazione, sentenza 29-4-99, n. 4299 (Nell’annullare sul punto la sentenza impugnata, la S.C. ha invitato il giudice di rinvio ad applicare il riportato principio tenendo anche conto dei principi dalla stessa Corte enunciati in tema di compatibilità di rivalutazione ed interessi nel risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale).
[33] Corte di Cassazione, sentenza 10-6-91, n. 6570 (conf. Corte di Cassazione, sentenza 27-6-87, n. 5716)
[34] Corte di Cassazione, sentenza 16-3-84, n. 1818
[35]Corte di Cassazione sentenza 16 aprile 2012, n. 5971. Conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 16 gennaio 1996, n. 300. Negli stessi termini, vedi anche, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 18 febbraio 2010, n. 3925, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 30 giugno 2008, n. 17906, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 29 maggio 2007, n. 12506.
[36] Corte di Cassazione, sentenza 26 marzo 2012, n. 4854
[37] Quando le parti dichiarano nel contratto di compravendita di riservare in prosieguo la fissazione del corrispettivo senza alcuna indicazione delle modalità della futura determinazione, il prezzo non può ritenersi ancora determinato né comunque determinabile a norma del citato art. 1474 cod. civ. Occorre, perciò, prestare molta attenzione alla clausola con cui viene determinato il prezzo evitando di prevedere che lo stesso debba essere stabilito al momento della stipulazione del contratto definitivo o a una data futura, quale potrebbe essere la data del rilascio del certificato di abitabilità: in una tale ipotesi l’accordo intervenuto tra le parti è stato ritenuto nullo e privo di effetti. La S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione della Corte di merito che, confermando la sentenza del giudice di primo grado, aveva disatteso la domanda del promissario acquirente diretta a sentir pronunciare sentenza costituiva di trasferimento, previa consulenza tecnica che determinasse il valore dell’immobile, osservando che la scrittura privata intervenuta tra le parti non poteva considerarsi un contratto preliminare di compravendita. Corte di Cassazione, sentenza 5 aprile 1990, n. 2804.
[38] Corte di Cassazione, sentenza 13 dicembre 2007, n. 26226
[39] Corte di Cassazione, sentenza 11 luglio 2012, n. 11749
[40] Vedi Pag. 79 par.fo 3, punto H) Registrazione e Trascrizione, capo 1) Registrazione
[41] Corte di Cassazione, sentenza 18 novembre 2011, n. 24340. (Nella specie, il pericolo attuale e concreto di evizione è stato ravvisato nella trascrizione di un atto di citazione con il quale si richiedeva, da parte di un terzo, il trasferimento del bene oggetto del preliminare).
[42] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
[43] Corte di Cassazione, sentenza 8 giugno 2012, n. 9367
[44] Corte di Cassazione, sentenza 7273 del 29-3-2006. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insussistente l’inadempimento degli obblighi assunti con il preliminare, in una fattispecie in cui erano stati promessi in vendita diritti di comunione indivisa, e la promittente venditrice, anziché procurare alla parte acquirente il diritto reale assoluto in questione, aveva invece procurato un atto traslativo con effetti limitati «inter partes», non iscrivibile nei registri tavolari, in relazione al quale il promissario acquirente avrebbe acquistato solo il godimento turnario del bene previo pagamento di un corrispettivo, sia pure a tariffa scontata
[45] Gabrielli
[46] Corte di Cassazione, sentenza14/7/’65-1512 – Corte di Cassazione, sentenza14/12/’60-3247
[47] Corte di Cassazione, sentenza 26-3-97, n. 2692
[48] Corte di Cassazione, sentenza 1-4-87, n. 3124
[49] Corte di Cassazione, sentenza 21 aprile 2010, n. 9505 (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che potesse integrare ratifica di un contratto preliminare di compravendita di un fondo, stipulato da un falsus procurator, l’incameramento, da parte della società proprietaria del fondo stesso, di un cospicuo acconto, versato dal promissario acquirente, sul pattuito prezzo dell’immobile).
[50] Parente – Costanza – Lorusso
[51] Rascio – Scognamiglio – Ragazzini – Ravazzoni – Gazzoni
[52] Corte di Cassazione, sentenza 29 settembre 2006, n. 21254
[53] Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 17 maggio 2012, n. 2700
[54] Corte di Cassazione, sentenza 30 aprile 2012, n. 6612
[55] Vedi pag. 44, par.fo 3, punto E) Sentenza costitutiva
[56] Corte di Cassazione, sentenza 29 dicembre 2010, n. 26367
[57] Corte di Cassazione, sentenza 10 giugno 2010, n. 13987. (Nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza di merito che aveva escluso potesse ricondursi all’attività del promittente alienante l’acquisto da parte del promissario acquirente in quanto avvenuto a seguito di partecipazione ad un’asta pubblica e successiva aggiudicazione).
[58] Vedi pag. 42, par.fo 3, punto E) Sentenza costitutiva
[59] Corte di Cassazione, sentenza 22 ottobre 2010, n. 21739. In argomento, cfr., Cassazione civile, Sez. II, sentenza 27 maggio 1992, n. 6383, Cassazione civile, sez. II, sentenza 10 agosto 2006, n. 18129, Cassazione civile, sez. II, sentenza 25 gennaio 2007, n. 1623 e Cassazione civile, sez. II, sentenza 1 marzo 2007, n. 1623.
[60] Gabrielli – Rascio – Magni – Gazzoni – Carbone
[61] Corte di Cassazione, sentenza 8038 del 2-4-2009. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che – in relazione ad una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile, con la quale il proponente si era obbligato alla stipulazione di un successivo contratto preliminare – aveva ritenuto che tale proposta fosse priva di effetti giuridici vincolanti.
[62] Forchelli – Satta
[63] Vedi pag. 44, par.fo 3, punto E) Sentenza costitutiva, punto 1) Natura – quando è impossibile
[64] Scognamiglio – Mirabelli – Bianca (pag. 182)
[65] Corte di Cassazione, sentenza 18 dicembre 1996, n. 11311; Corte di Cassazione, sentenza 12 giugno 1979, n. 3315
[66] Rascio
[67] Gabrieli – Franceschelli – Gazzoni – Ragazzini
[68] Corte di Cassazione, sentenza 18 giugno 2008, n. 16597
[69] Corte di Cassazione, sentenza 3-1-70, n. 8
[70] Corte di Cassazione, sentenza 18-6-81, n. 3980
[71] Corte di Cassazione, sentenza5/4/’89-1642; Corte di Cassazione, sentenza29/7/’92-9086
[72] Corte di Cassazione, sentenza 5-4-89, n. 1642
[73] per tutti Rubino
[74] Cassazione Civile, sentenza n. 21838 del 25/10/2010
[75] Corte di Cassazione, sentenza 16-7-81, n. 4637
[76] Gazzoni – Bianca – Rascio
[77] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 ottobre 2012, n. 18050
[78] Corte di Cassazione, sentenza 6-8-90, n. 7907
[79] Corte di Cassazione, sentenza 2864 del 26-2-2003
[80] Corte di Cassazione, sentenza 22/9/’00-12556
[81] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 24 agosto 2012, n. 14621
[82] Per la consultazione integrale aprire il seguente collegamento
[83] Vedi pag. 30 par.fo 3, punto C) Ambito
[84] Gazzoni
[85] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di cassazione, II sezione, sentenza 10 marzo 2011, n. 5749
[86] Vedi pag. 31 par.fo 3, punto C) Ambito
[87] Vedi pag. 29 par.fo 3, punto C) Ambito
[88] Santarcangelo – Marmocchi – Areniello – Bottaio – Cardarelli
[89] per tutte Corte di Cassazione, sentenza 176/’99-6018
[90] Luminoso
[91] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 12 marzo 2012, n. 3892. In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sezione II, sentenza 18 settembre 2009, n. 20258. Vedi anche, Cassazione civile, Sezione II, sentenza 7 gennaio 2010, n. 52.
[92] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
[93] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 5207 dell’1/3/2011 Conformi, Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 27 maggio 2011, n. 11849. Il contratto preliminare concluso solo da uno dei comproprietari, anche se ha ad oggetto la promessa di vendere una “res” come “unicum” inscindibile – e non la quota di ciascuno dei contitolari – non è viziato da nullità, solo rimanendo, se il promittente non abbia fatto acquistare la quota di proprietà del terzo comproprietario, insuscettibile di esecuzione in forma specifica: da ciò deriva che l’acquisto, da parte del promittente venditore, della quota del terzo può intervenire nel corso di giudizio – costituendo condizione dell’intrapresa azione – e consente l’emanazione della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 maggio 2010, n. 12039, nel caso di contratto preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa, si presume, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato come un “unicum” inscindibile, e che le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno dei contraenti siano prive di specifica autonomia e destinate a fondersi in un’unica dichiarazione negoziale, in quanto i promittenti venditori si pongono congiuntamente come un’unica parte contrattuale complessa. Ne consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria, o venga caducata per qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., restando escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quello tra i comproprietari promittenti dei quali esista e persista l’efficacia della relativa manifestazione negoziale. Cassazione civile, Sez. II, sentenza 19 maggio 2004, n. 9458 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 23 febbraio 2007, n. 4227.
[94] Regine
[95] Caravaglios – Gazzoni
[96] Corte di Cassazione, sentenza 7 luglio 2006, n. 4823; Corte di Cassazione, sentenza 4 marzo 2003, n. 3185
[97] Cass., Sez. Unite, 24 agosto 2007, n. 17952
[98] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 luglio 2012, n. 12923
[99] Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952 cit.
[100] Corte di Cassazione, sentenza 21/12/2001 n. 16177; Corte di Cassazione, sentenza 11/6/2010 n. 14093; Corte di Cassazione, sentenza 31/1/2012 n. 1385)
[101] Gazzoni – Gradassi – Venditti
[102] Capozzi
[103] Corte di Cassazione, sentenza 15354 del 5-12-2001
[104] Corte di Cassazione, sentenza n. 18149 del 20-12-2002
[105] Corte di Cassazione, sentenza 8-4-86, n. 2437
[106] Corte di Cassazione, sentenza 19871 del 15-9-2009
[107] Corte di Cassazione, sentenza 6-6-83, n. 3854
[108] Corte di Cassazione, sentenza 8-8-91, n. 8623
[109] Corte di Cassazione, sentenza 30-1-97
[110] Corte di Cassazione, sentenza 24-5-96, n. 4780
[111] Corte di Cassazione, sentenza 28-8-90, n. 8893
[112] — Cass. II, sent. 5151 del 3-4-2003
[113] — Cass. 19-10-94, n. 8532, conf. Cass. 13-5-95, n. 10675
[114] — Cass. 19-8-98, n. 8196
[115] — Cass. II, sent. 477 del 14-1-2010
[116] Cass., Sez. Unite, 27 marzo 2008, n. 7930
[117] Corte di Cassazione, sentenza 25 gennaio 2010, n. 1296
[118] Corte di Cassazione, sentenza 25-07-2006 n.16937
[119] per tutti Montesano
[120] Lerner
[121] De Matteis – Gabbrielli – Bianca – Rubino – Rebecca – Simoni
[122] Corte di Cassazione, sentenza 8/1/’80-123
[123] Per la consultazione integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 ottobre, 2011 n. 20315
Conformi, Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, ordinanza 14 novembre 2011, n. 23797, Corte di Cassazione, Sezione 2 civile , sentenza 6 ottobre 2011, n. 20488.
[124] Tribunale Bologna, Sezione 2 civile, sentenza 22 settembre 2011, n. 2653
[125] Corte di Cassazione, sentenza 27 settembre 2000, n. 12780
[126] Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2008, n. 11561
[127] Corte di Cassazione, sentenza 20 agosto 1990, n. 8442
[128] Corte di Cassazione, sentenza 5 agosto 1987, n. 6740
[129] Corte di Cassazione, sentenza 5 marzo 1996, n. 6740
[130] Corte di Cassazione, sentenza 29 maggio 2012, n. 8564
[131] Corte di Cassazione, sentenza 5 giugno 2012, n. 9063
[132] Bianca
[133] Montesano
[134] Capozzi
[135] Gabbrielli – Rascio – Sacco
[136] Cariota – Ferrara
[137] Scognamiglio – Montesano
[138] Rascio
[139] Capozzi
[140] Bianca – Gazzoni – Gabbrielli
[141] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 26 marzo, 2012, n. 4854
[142] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5 ottobre 2012, n. 17028
Conforme Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 18 luglio 2011, n. 15734. La sanzione della nullità’ prevista dall’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1° settembre 1967, con la conseguenza che in queste ipotesi rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 cod. civ.
[143] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 ottobre 2012 n. 17324
[144] Corte di Cassazione, sentenza 17 luglio 2012, n. 12261 (Nella specie, il promissario acquirente aveva dedotto, senza però darne prova, la sopravvenuta improcedibilità dell’istanza di condono, a causa dell’omesso tempestivo inoltro della documentazione richiesta al venditore dal Comune)
[145] Tribunale Campobasso, civile, sentenza 14 febbraio 2012, n. 118
[146] Corte di Cassazione, sentenza 26 gennaio 2010, n. 1562. In senso conforme, ex plurimis, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 21 maggio 2008, n. 12852, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 15 dicembre 2006, n. 26943, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 29 ottobre 2003, n. 16236, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 aprile 2002, n. 5509, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 3 gennaio 2002, n. 29, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 8 ottobre 2001, n. 12323, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 19 dicembre 2000, n. 15958 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 19 aprile 2000, n. 5121.
[147] Corte di Cassazione, sentenza 21 novembre 2011, n. 24510
[148] Corte di Cassazione, sentenza 28 luglio 2010, n. 17688. In argomento, in senso conforme, citate anche nella pronuncia in esame, confronta, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 30 gennaio 2007, n. 1956, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 29 novembre 2004, n. 22384, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 novembre 2003, n. 17340 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 febbraio 1998, n. 1298.
[149] Corte di Cassazione, sentenza 22-2-97, n. 1641, v. anche Corte di Cassazione, sentenza 7-2-98, n. 1298
[150] Corte di Cassazione, ordinanza 18 novembre 2011, n. 24369
[151] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
[152] Corte di Cassazione, sentenza 3-5-80, n. 2907
[153] Mirabelli – Messineo – Montesano – Costanza
[154] Corte di Cassazione, sentenza 5-11-80, n. 5938
[155] Corte di Cassazione, sentenza 18 agosto 2011, n. 17365
[156] Le novità introdotte dalla legge finanziaria 2007
Il contratto Preliminare di compravendita deve essere registrato entro venti giorni dalla sua sottoscrizione, su ogni copia va applicata una marca da bollo da 14,62 euro, la registrazione comporta il versamento dell’imposta di registro in misura fissa pari ad euro 168,00 indipendentemente dal prezzo della compravendita, sono inoltre dovute le imposte proporzionali sulle somme pagate a titolo di acconto o di caparra.
Sull’acconto se la compravendita è soggetta ad imposta di registro si applica l’imposta pari al 3% (prima o seconda casa), che potrà essere detratta dall’imposta di registro dovuta al momento del rogito definitivo (ad eccezzione dei 168 euro dell’imposta fissa che non si potranno recuperare). Se la vendita è invece soggetta ad IVA, è obbligatorio emettere fattura per l’importo relativo all’acconto, applicando l’IVA, con la relativa aliquota prevista per la vendita (4% per la prima casa, 10 per la seconda casa, 20% per le case di lusso).
Sulla caparra si applica sempre l’imposta di registro con l’aliquota dello 0,5 %, anche per gli atti soggetti ad iva anche l’imposta di registro pagata sulla caparra potrà essere detratta da quella dovuta al momento del rogito definitivo (ad eccezione dei 168 Euro di imposta fissa che non si potrà recuperare) ma ovviamente non sarà possibile recuperare l’imposta di registro quando la vendita è soggetta ad IVA.
Nelle vendite soggette ad IVA, dunque l’imposta di registro pagata sulla caparra rappresenta sempre un costo aggiuntivo rispetto all’IVA dovuta sulla compravendita, mentre l’IVA sull’acconto non è altro che un’anticipazione dell’IVA che sarebbe comunque dovuta al momento del rogito.
Nelle compravendite soggette all’imposta di registro, invece, l’imposta proporzionale pagata sull’acconto o sulla caparra rappresenta sempre un anticipo sull’imposta da pagare al rogito.
Per consentire il recupero delle imposte pagate sul compromesso, è necessario consegnare al notaio la documentazione in originale relativa alla sua registrazione e ai pagamenti eseguiti.
La registrazione del contratto preliminare è sempre stata obbligatoria ma fino a ieri in realtà erano in pochi a registrare il contratto preliminare, oggi le nuove regole che impongono di indicare nel rogito i pagamenti gia avvenuti con l’indicazione degli importi e del metodo di pagamento (contanti, assegno, bonifico) rendono evidente agli occhi del fisco, la presenza di un compromesso.
Dal 1° gennaio 2007 la legge impone anche gli agenti immobiliari la registrazione di tutte le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività (tra cui i contratti preliminari di compravendita) rendendoli anche responsabili ‘in solido’ delle imposte dovute (dunque tenuti a pagare di tasca propria le imposte eventualmente non pagate dalle parti).
La formulazione della norma fa si che gli agenti immobiliari siano obbligati a registrare il contratto preliminare o compromesso anche quando viene redatto dalle parti autonomamente, quando l’accordo tra le parti è stato raggiunto grazie al loro intervento. L’obbligo pertanto si estende anche ai compromessi eventualmente sottoscritti presso lo studio del notaio, con la sola eccezione di quelli autenticati dal notaio stesso, per i quali egli deve provvedere direttamente alla registrazione e alla trascizione nei registri immmobiliari.
Come si registra:
Eseguire innanzitutto il versamento delle imposte presso una banca o ufficio postale mediante la presentazione in triplice copia dell’apposito modello F 23 su cui vanno riportati i dati dell’acquirente e del venditore indicando come codice tributo il 109T.
Compilare la richiesta di registrazione su apposito modello 69 su cui vanno riportati i dati delle parti e i codici fiscali.
Presentare quindi il modello F23 il modello 69 insieme ai contratti da registrare presso un qualsiasi ufficio dell’agenzia delle entrate che li restituirà trattenendo un originale.
In caso di ritardo della registrazione (oltre 20 giorni dalla data di sottoscrizione) si applica una sanzione pari al 30% dell’imposta dovuta oltre agli
[157] Vedi pag. 20, par.fo 3, punto A) Natura e requisiti
[158] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
[159] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento Il diritto di superficie
[160] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
[161] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento
L’usufrutto, uso ed abitazione
[162] per tutti Gabrielli
[163] Gazzoni
[164] Corte di Cassazione, sentenza 13-8-96, n. 7553
[165] Corte di Cassazione, sentenza 5-4-94, n. 3239
[166] Articolo così sostituito dall’art. 57 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Pubblicato nel Suppl. Ord. n. 13 alla G.U. n.
12 del 16 gennaio 2006) – In vigore dal 16 luglio 2006.
[167] Le parole riportate tra parentesi sono state aggiunte dall’art. 4, comma 6, del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169
(G.U. n. 241 del 16 ottobre 2007) – In vigore dal 1° gennaio 2008.
[168] Le parole riportate tra parentesi sono state aggiunte dall’art. 4, comma 6, del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169
(G.U. n. 241 del 16 ottobre 2007) – In vigore dal 1° gennaio 2008.
[169] Art. 2775 Contributi per opera di bonifica e di miglioramento
1. I crediti per i contributi indicati dall`art. 864 sono privilegiati sugli immobili che traggono beneficio dalle opere di
bonifica o di miglioramento.
2. La costituzione del privilegio per le opere di miglioramento è subordinata all`osservanza delle leggi speciali”
[170] Comma così sostituito dall’art. 4, comma 6, del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (G.U. n. 241 del 16 ottobre
2007) – In vigore dal 1° gennaio 2008.
[171] Comma aggiunto dall’art. 4, comma 6, del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (G.U. n. 241 del 16 ottobre 2007) –
In vigore dal 1° gennaio 2008.
[172] Cass. civ., Sez. Unite, 1 ottobre 2009, n. 21045
[173] Corte di Cassazione, sentenza 8 luglio 2010, n. 16160
[174] Sez. Un., sent. 12505 del 7-7-2004
[175] Sez. Un. 14-4-99, n. 239