Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 24 agosto 2012, n. 14621

 

Svolgimento del processo

Con scrittura privata del (…) D.C.O. prometteva di vendere a D.P.E. , che prometteva di acquistare per sé o per persona da nominare, un’area edificabile di mq. 1643 sita in (…) , in cambio di un corrispettivo in parte in denaro (lire 70 milioni) e per il resto costituito da una delle villette a schiera, della superficie approssimativa di mq. 95, che il promissario avrebbe poi realizzato sul medesimo fondo.
Con atto notaio V. del 14.12.1989 tale contratto era parzialmente eseguito mediante il trasferimento di mq. 693 in favore della società nominata dall’acquirente. Successivamente, però, sorgeva questione fra le parti del contratto preliminare in ordine alla cessione della restante frazione dell’area, per il trasferimento della quale D.P.E. agiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. innanzi al Tribunale di Teramo, con citazione notificata il 5.3.1991. Domandava, altresì, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, indicati in lire 400 milioni, per l’aumento dei costi di costruzione intervenuto nelle more, fermo restando il trasferimento dell’unità immobiliare spettante a D.C.O.
Quest’ultima resisteva in giudizio sostenendo che l’attore aveva ottenuto dal comune la concessione di una cubatura edificabile superiore al previsto, con la conseguenza che, in base ad apposita clausola del contratto, ella avrebbe avuto diritto al 20% della maggior volumetria realizzata. Pertanto, manifestandosi disponibile al trasferimento della parte residua a condizione di una determinazione del corrispettivo che tenesse conto di quanto sopra, domandava, in caso contrario, la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore e la condanna di lui al risarcimento dei danni.
Con sentenza 27.1.2003 il Tribunale, nell’accogliere la domanda ex art. 2932 c.c., trasferiva all’attore la porzione residua del terreno, ponendo “quale condizione risolutiva espressa del trasferimento della proprietà” la cessione in favore della convenuta di una villetta a schiera simile a quelle già costruite e con le medesime rifiniture, posizionata al secondo posto a partire dal confine dell’area stessa con la strada statale n. (…).
La Corte d’appello dell’Aquila, adita in via principale da D.C.O. e in via incidentale da D.P.E. , che lamentavano, rispettivamente, il rigetto della domanda di risoluzione del contratto e di quella di risarcitoria per l’incremento dei costi di costruzione, rigettava entrambe le impugnazioni, con sentenza pubblicata il 15.6.2006.
Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale, ritenuto che il contratto 21.6.1989 fosse da qualificare come vendita, per il suo immediato effetto traslativo, osservava che il condizionamento della sentenza all’adempimento della clausola contrattuale relativa alla consegna di un’unità immobiliare delle dimensioni stabilite, trovava la propria giustificazione nell’esigenza di tutelare i contrapposti interessi delle parti nell’eventualità dell’inadempimento del costruttore.
Per la cassazione di detta sentenza ricorre D.P.E. , formulando tre motivi di annullamento.
Resistono con controricorso gli eredi di D.C.O. , Gi. , A. , C. e F.G. , che propongono, altresì, ricorso incidentale affidato ad un motivo.
D.P.E. resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
1. – Col primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione degli artt. 2932 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.. Sostiene parte ricorrente che nell’emettere sentenza ex art. 2932 c.c. il giudice non può sostituirsi alle parti nella determinazione del contenuto del rapporto sostanziale. Formula, pertanto, il seguente quesito ex art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al ricorso): “l’imposizione giudiziale di una condizione risolutiva espressa degli effetti della sentenza costitutiva del contratto mancato costituisce violazione degli artt. 2932 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., qualora risulti incompatibile e comunque in aperto contrasto con le restanti clausole pattizie stabilite dai contraenti dal contratto preliminare, nonché estranee alla volontà negoziale delle parti, integrando il vizio di ultrapetizione per mancanza di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato avuto riguardo specificatamente alle domande, eccezioni e conclusioni dedotte dalle parti in causa”.
2. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.3 (rectius, 4) c.p.c., per la mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché il vizio di omessa motivazione in ordine all’esame del denunciato vizio di ultrapetizione, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.. Deduce parte ricorrente che l’imposizione di una clausola risolutiva espressa, non prevista nel contratto, non solo integra il vizio di ultrapetizione, ma altresì è inconciliabile con la diffusa motivazione della sentenza di primo grado, nella quale il giudice ha operato una comparazione tra le condotte dei contraenti, pervenendo alla conclusione della sussistenza di un grave e prevalente – se non unico – inadempimento della D.C. . Conclude il motivo formulando il seguente quesito: “l’imposizione di una condizione risolutiva della sentenza costitutiva degli effetti del contratto non concluso, qualora non sia prevista tra le condizioni negoziali stipulate dalle parti nel contratto preliminare, eccede il potere giudiziale di adeguamento delle clausole stesse agli interessi contrapposti perseguiti dalle parti stesse. In ogni caso l’imposizione della stessa condizione risolutiva espressa integra, anche sotto diverso profilo, il denunciato vizio di ultra-petizione, non essendo compresa tra le domande e le eccezioni delle parti e quindi si risolve illegittimamente nell’attribuzione di un effetto negoziale non richiesto e comunque più ampio di quelli pattuiti tra le parti.
3. – Col terzo motivo è dedotta sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’inopponibilità della condizione risolutiva della vendita di area edificabile, non retrocedibile dopo l’avvenuta realizzazione del programma costruttivo; sia la violazione degli artt. 2932, 1353 e ss., 1382 e 1456 c.c..
Sostiene parte ricorrente che la previsione di una condizione risolutiva non solo non è sorretta da alcuna motivazione, ma è addirittura incompatibile con le altre previsioni contrattuali che ne escludono la possibilità di apposizione, essendo impossibile una reductio in pristinum dello stato dei luoghi, ormai edificati.
Segue il quesito: “l’imposizione giudiziale di una condizione risolutiva degli effetti della sentenza costitutiva del contratto mancato integra violazione dell’art. 2932 c.c., in relazione agli artt. 1353 e segg., 1382 e 1456 c.c. ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., qualora non sia sorretta da congrua e coerente motivazione e risulti incompatibile con le specifiche clausole negoziali stabilite tra i contraenti con il pregresso contratto preliminare ed in ogni caso inattuabile per l’irreversibile e definitiva trasformazione del relativo oggetto della prestazione ricevuta dall’altro contraente”.
4. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 1346, 1418 e 1421 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., in quanto la Corte d’appello non ha rilevato d’ufficio la nullità del contratto per l’impossibilità di individuare il bene da trasferire in proprietà alla parte venditrice, a titolo di parziale corrispettivo della vendita, in mancanza del progetto del complesso immobiliare allegato alla scrittura, del relativo capitolato dei lavori e di indicazioni puntuali sull’ubicazione dell’unità immobiliare da trasferire. Parte controricorrente formula, al riguardo, il seguente quesito di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte se il giudice, in ogni stato e grado del giudizio, possa rilevare d’ufficio le nullità negoziali quando siano state proposte le azioni di esatto adempimento, o di risoluzione; se la nullità del contratto possa essere rilevata anche d’ufficio per la prima volta in cassazione qualora sia fondata su elementi di fatto già acquisiti in sede di merito; e se nel contratto definitivo di permuta di bene presente con un bene futuro, quest’ultimo debba essere determinato o determinabile, nel senso che le parti debbano indicarne espressamente le caratteristiche e il prezzo, quanto meno gli elementi essenziali di identificazione, senza affidare l’individuazione del bene all’arbitrio del soggetto obbligato”.
5. – Il ricorso incidentale, il cui esame è prioritario per la problematica sulla nullità che introduce, è infondato.
La questione della nullità di un contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante ulteriori accertamenti, è inammissibile, perché la sua rilevabilità d’ufficio, anche in sede di legittimità, postula che non vi sia necessità di nuove indagini di fatto (Cass. nn. 16541/09, 1267/03, 11658/02 e 8478/00).
A questo indirizzo va correlato l’orientamento secondo il quale nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione il ricorrente, il quale introduca temi di indagine non affrontati nei precedenti gradi di giudizio ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione di tali questioni nel giudizio di merito, ma anche di indicare in quali atti sia avvenuta la relativa deduzione (Cass. n. 18440/07).
5.1. – Nella specie, la nullità del contratto preliminare per l’impossibilità di individuare l’immobile promesso non risulta essere stata eccepita nel giudizio di merito, mancando ogni idonea allegazione al riguardo secondo il principio appena premesso. Ciò posto, il relativo esame per la prima volta nel presente giudizio di legittimità richiederebbe il dispendio di una caratteristica attività di accertamento di puro fatto, avente ad oggetto l’interpretazione del contratto, che è preclusa a questa Corte.
È vana, quindi, la trascrizione del testo dell’accordo all’interno della parte narrativa del controricorso “l’omaggio ai principio di autosufficienza”. Detto principio non opera allo scopo di forzare i limiti della cognizione di legittimità estendendola agli accertamento di fatto, ma trova (ed esaurisce) la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice della nomofilachia di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (v. Cass. nn. 86/12 e 9734/04), esame che richiederebbe, a sua volta, un’attività di ricerca, selezione e correlazione di atti, fatti e documenti che compete unicamente alla parte nell’esercizio del suo potere dispositivo.
5.2. – Esclusa l’ammissibilità della questione, resta assorbito l’esame delle altre due censure che si enucleano dal quesito, cioè la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in caso di contrapposte azioni di adempimento e di risoluzione, e l’onere delle parti, nel caso di vendita di bene futuro, di identificarlo esattamente ((sub)quesito, quest’ultimo, che è peraltro apparente, perché si limita ad affermare la regola di condotta privata da tenere per non incorrere nell’invalidità negoziale prevista dall’art. 1346 c.c.).
6. – Tutti e tre i motivi posti a sostegno del ricorso principale, da esaminare congiuntamente perché espressivi, sotto profili diversi, di una medesima censura, sono infondati.
6.1. – Il potere della Corte di Cassazione di interpretare la sentenza impugnata e la portata del suo valore precettivo a stregua del contenuto complessivo del provvedimento, potere che si arresta unicamente di fronte all’insanabile contrasto fra motivazione e dispositivo (cfr. sull’argomento, Cass. nn. 15585/07, 9244/07 e 1323/04), consente di stabilire l’effettivo significato giuridico del comando anche attraverso la migliore qualificazione giuridica degli istituti che il giudice di merito dichiara di applicare.
La decisione di prime cure, che ha trovato conferma nella sentenza impugnata, sebbene abbia qualificato come “condizione risolutiva espressa” la clausola di condizionamento dell’effetto traslativo della proprietà all’esecuzione della controprestazione, non fa che applicare – come testimonia il richiamo, in motivazione, a Cass. nn. 11839/97 e 12556/00 – un principio giurisprudenziale affatto pacifico, derivato dalla piana esegesi dell’art. 2932, cpv. c.c., in base al quale in tema di contratto preliminare, ove per accordo delle parti la controprestazione debba essere eseguita al momento della stipula del contratto definitivo o successivamente, la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. è pronunziata indipendentemente da qualsiasi offerta ed il pagamento del prezzo o della parte residua di esso è imposto dal giudice quale condizione dell’effetto traslativo derivante dalla sentenza stessa.
Con l’espressione adoperata il Tribunale, e con esso la Corte territoriale che vi ha prestato adesione, plus dixit quam voluti, essendo del tutto evidente che la clausola di condizionamento imposta dalla giurisprudenza richiamata dallo stesso giudice di merito accede alla sentenza costitutiva e non già al contratto preliminare, il cui regolamento autonomo non è modificabile da parte dell’Autorità giudiziaria. E in tale diverso e più proprio senso tecnico-giuridico, pertanto, deve intendersi la statuizione di merito.
7. – In conclusione entrambi i ricorsi vanno respinti.
8. – La soccombenza reciproca delle parti legittima l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese.

Depositata in Cancelleria il 24.08.2012

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