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Del pari inammissibile, per genericita’, la dedotta violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione all’interpretazione dei testamenti pubblici in favore dei danti causa delle parti.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale non puo’ limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volonta’ delle parti, al fine di consentire alla Corte di esercitare, nei termini esattamente individuati dal ricorrente, il proprio sindacato sull’ applicazione della disciplina normativa (Cass. 25728/2013).
Va infine rilevata l’inammissibilita’ della censura di carenza motivazionale, contenuta in tutti i motivi.
Il giudice di appello ha infatti accertato, con adeguato apprezzamento di fatto e previo esame delle risultanze documentali ed interpretazione dei due testamenti pubblici in favore dei danti causa delle parti, il contenuto dei rispettivi titoli di proprieta’, giungendo alla conclusione che ad (OMISSIS), dante causa dell’odierno ricorrente, non era stato trasferito il cortile per cui e’ causa.
Tale accertamento, in quanto fondato su motivazione logica, coerente ed adeguata, non e’ sindacabile nel presente giudizio.
Ed invero, come questa Corte ha ripetutamente affermato, il vizio di omessa o insufficiente motivazione sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ma non puo’ consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova e’ assegnato un valore legale (Cass. n.6064/2008).
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 3.700,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfetario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge, in favore di ciascuna parte.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
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