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5.4. La Corte Costituzionale sara’ chiamata a pronunciarsi per ben tre volte sulla legittimita’ costituzionale anche di tale norma.
5.4.1. La prima pronuncia, di manifesta infondatezza (ordinanza n. 420 del 2007), evidenzio’ l’inconferenza del parametro costituzionale invocato dal remittente (l’articolo 24 Cost.), stante il carattere sostanziale della norma denunciata. In tale occasione, tuttavia, la Corte affermera’ un principio di particolare importanza, secondo il quale la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, “non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.”.
5.4.2. Altra questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, verra’ sollevata in due distinte occasioni dal Tribunale di Napoli in relazione agli articoli 41, 3 e 24 Cost.. In entrambi i casi, la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione, con riferimento ai parametri 41 e 3 Cost., e manifestamente infondata quanto al parametro dell’articolo 24 Cost., (Corte cost. ord. n. 389 del 19 novembre 2008 e n. 110 del 9 aprile 2009). In particolare, la declaratoria di inammissibilita’ e’ stata fondata, quanto al parametro dell’articolo 3, sul rilievo che il giudice remittente non aveva adeguatamente individuato “i motivi dell’ipotizzata irragionevolezza intrinseca della norma, limitandosi ad indicare, in termini meramente descrittivi, l’ovvia diversita’ delle conseguenze per le parti derivanti dalla previsione della nullita’ del contratto rispetto al regime precedente”, nonche’, quanto al parametro dell’articolo 41, sulla considerazione che nell’ordinanza di remissione non erano state “neppure chiarite le ripercussioni della nullita’ sull’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione finanziaria sotto il profilo della possibilita’ o meno per la stessa di trattenere le somme eventualmente versate a titolo di imposta di registro”, mentre la manifestata infondatezza delle questioni, con riferimento al parametro dell’articolo 24 Cost., e’ stata invece motivata richiamando la motivazione della precedente ordinanza n. 420 del 2007.
5.5. Merita ancora di essere segnalata la sentenza n. 50 del 14 marzo 2014, dichiarativa della illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 23 del 2011, articolo 3, commi 8 e 9, per eccesso di delega. Tali disposizioni, relative alle sole locazioni ad uso abitativo, prevedevano, come si e’ accennato in precedenza, che dalla mancata registrazione “entro il termine di legge” (specificazione temporale che non e’ invece presente nella L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346) derivassero conseguenze invalidanti per effetto delle quali sorgeva un diverso rapporto locativo, legalmente determinato quanto a durata e misura del canone. Sebbene la pronuncia della Consulta non abbia sottoposto le summenzionate disposizioni allo scrutinio di ragionevolezza (la questione di costituzionalita’ era stata sollevata da diversi Tribunali con riferimento anche ai parametri 3, 23, 41, 42, 53 e 97), stante la assorbente declaratoria di illegittimita’ per eccesso di delega, meritano di essere ricordati due passaggi della motivazione, rilevanti ai fini interpretativi delle norme in tema di contratto di locazione non registrato: da un lato, infatti, la disciplina oggetto di censura viene definita “sotto numerosi profili rivoluzionaria sul piano del sistema civilistico vigente”; dall’altro, dopo aver ricordato che la legge delega (L. n. 42 del 2009) conteneva la prescrizione di procedere all’esercizio della delega nel “rispetto dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212”, viene richiamato in particolare l’articolo 10 della citata L. n. 212 del 2000, rilevando che “tanto piu’ la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non puo’ legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata”.
6. Appare nondimeno utile, ai fini che occupano il collegio, ripercorrere brevemente le tappe segnate dagli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte sul delicato tema del rapporto fra diritto tributario e diritto privato con riguardo alle conseguenze civilistiche che possono derivare dalle violazioni tributarie.
6.1. In assenza di disposizioni che sancissero testualmente la nullita’ del negozio giuridico elusivo di una norma tributaria, si e’ posta la questione se fosse o meno configurabile una nullita’ virtuale del contratto per frode alla legge (articolo 1344 c.c.) o per violazione di una norma imperativa (articolo 1418 c.c., comma 1).
6.1.1. La risposta della giurisprudenza largamente prevalente e’ stata nel senso di negare che la norma fiscale avesse carattere imperativo – in conseguenza della distinzione tra norme imperative e norme inderogabili, nonche’ del peculiare carattere settoriale dell’interesse sotteso -. Di qui, l’affermazione secondo la quale le norme tributarie, essendo poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur essendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazione che la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico (tra le altre, funditus, Cass. sez. 5, n. 11351 del 3 settembre 2001, n. 12128 del 28 settembre 2001, n. 5582 del 18 aprile 2002).
6.2. Pur in presenza di pronunce di segno opposto – le quali, con specifico riferimento alla pratiche societarie di c.d. dividend washing e dividend stripping, hanno ritenuto nullo il contratto che realizzava un illecito risparmio di imposta (Cass. sez. 5, n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005, n. 22932 del 14 novembre 2005) -, successive decisioni riaffermeranno nuovamente il tradizionale principio secondo il quale le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per se’ la nullita’ del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni (Cass., sez. 2, n. 4785 del 28 febbraio 2007, nonche’, nella specifica materia delle locazioni ad uso non abitativo, Cass. sez. 3, n. 7282 del 18 marzo 2008).
6.3. Altre decisioni hanno tratto dalla figura dell’abuso del diritto tributario,in tema didividend washing e dividend stripping, la conseguenza della mera inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria dell’operazione elusiva, senza spingersi pero’ a dichiarare la nullita’ del negozio (Cass. S.U., n. 30055 del 23 dicembre 2008; Cass., sez. 5, n. 4583 del 25 febbraio 2009).
6.4. E’ stato pertanto riconosciuto, e affermato in larga prevalenza, un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, principio che si e’ ritenuto confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale, la quale sancisce la mera inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (cosi’ la L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, aggiunto dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, articolo 1, che abroga e sostituisce il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, a sua volta gia’ inserito nel testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, dal Decreto Legislativo n. 358 del 1997, articolo 7) e rafforzato dalla stessa L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, a mente del quale, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita’ del contratto”.
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