[….segue pagina antecedente]

1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono parecchi motivi coincidenti, che possono essere esaminati congiuntamente.
2.1 Con il primo motivo (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c..
Sostiene il ricorrente che il giudice di appello sarebbe incorso in extrapetizione, includendo fra le voci di risarcimento anche quanto versato dal (OMISSIS) all’avvocato (OMISSIS), giacche’ tale somma non sarebbe stata indicata nelle conclusioni dell’atto d’appello del (OMISSIS).
Con il nono motivo, il medesimo ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 1218, 1223, 1225 e 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo e la falsa applicazione dell’articolo 393 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la proposizione di una nuova domanda nel 2005 non abbia interrotto il nesso causale nella produzione del danno.
2.2 Tali doglianze riguardano il medesimo capo della sentenza d’appello impugnato da (OMISSIS) con il quarto e il quinto motivo di ricorso, nel cui ambito si deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 1218, 1223 e 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo discusso fra le parti.
2.3 Giova premettere, per comprendere meglio la questione dibattuta, che il (OMISSIS), dopo la scadenza del termine per riassumere il giudizio innanzi al giudice del rinvio, decise di riproporre ex novo la domanda nei confronti dell’ex datore di lavoro (OMISSIS), invocando pero’ l’effetto vincolante della sentenza della Corte di cassazione a lui favorevole, ai sensi dell’articolo 393 c.p.c.. Per la presentazione del nuovo ricorso si rivolse all’avvocato (OMISSIS). La causa, tuttavia, si concluse con l’accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto del (OMISSIS) e la condanna dello stesso – in accoglimento della domanda riconvenzionale svolta da (OMISSIS) – alla restituzione delle somme che quest’ultima gli aveva corrisposto in spontaneo adempimento della sentenza di primo grado del primo giudizio, quello estintosi per omessa riassunzione a seguito di cassazione con rinvio.
Per l’assistenza legale prestata nel nuovo processo, il (OMISSIS) corrispose all’avvocato (OMISSIS) la somma di Euro 9.747,37.
2.4 La censura articolata da (OMISSIS) attiene alla delimitazione dell’oggetto della devoluzione al giudice d’appello e quindi ha rilievo preliminare rispetto a quelle formulate dall’altro ricorrente, concernenti la corretta applicazione dei principi in tema di causalita’.
Il motivo e’ fondato.
Come si ricava dall’analitica elencazione delle domande risarcitorie formulate nelle conclusioni dell’atto d’appello (riportate, per soddisfare il principio dell’autosufficienza, da (OMISSIS) nel par. 7.6 del suo ricorso), il (OMISSIS) non ha indicato, fra le voci al cui risarcimento – in riforma della sentenza di primo grado – chiedeva la condanna dei professionisti, l’importo di Euro 9.747,37 corrispondente agli onorari corrisposti all’avvocato (OMISSIS) per tentare di porre rimedio alla decadenza maturata per colpa degli avvocati (OMISSIS).
Il (OMISSIS) non indica, in controricorso, risultanze di segno diverso, limitandosi a sostenere che l’interpretazione complessiva dell’impugnazione avrebbe dovuto portare a ritenere che pure questo capo della sentenza di primo grado era compreso fra quelli di cui aveva richiesto la riforma.
In realta’, nell’atto d’appello si fa riferimento alle somme versate alla (OMISSIS), ma non anche a quelle corrisposte all’avvocato (OMISSIS). Ne’ puo’ darsi adito alla tesi del controricorrente, secondo cui tale domanda sarebbe stata comunque ricompresa in via subordinata tra le richieste del (OMISSIS), in quanto volta ad una generica condanna secondo equita’: trattandosi appunto di domanda subordinata al mancato accoglimento della principale, che in realta’ venne accolta, la stessa e’ stata assorbita.
2.5 In considerazione di quanto sopra, il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) devono essere accolti, rilevandosi che sul punto la corte d’appello ha pronunciato oltre quanto gli era stato devoluto.
Cio’ determina l’assorbimento del nono motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e del quinto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS).
Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e’ possibile decidere nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, dichiarando non dovuto il rimborso dell’importo di Euro 9.747,37, corrispondente agli onorari corrisposti dal (OMISSIS) all’avvocato (OMISSIS).
n il secondo motivo, (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, con riferimento al capo della sentenza impugnata in cui gli onorari professionali dei quali il ricorrente e’ condannato alla restituzione sono quantificati in Euro 1.224,00, anziche’ lire 1.224.000.
Il motivo e’ fondato.
Lo stesso (OMISSIS) riconosce, nel controricorso, l’errore contenuto nella sentenza di appello, pur sostenendo che si tratterebbe di un errore materiale di cui non si sarebbe comunque avvantaggiato (pag. 38 del controricorso).
In realta’, l’individuazione di tale importo nella moneta corrente – piuttosto che in lire – costituisce oggetto di specifico accertamento della corte d’appello: “l’avvocato (OMISSIS) ha riconosciuto di aver ricevuto per le proprie prestazioni professionali la somma di Euro 1.224, escludendo di aver percepito altri emolumenti, versamenti che la parte non e’ riuscita a dimostrare” (pag. 14).
In sostanza, non vi e’ contrasto fra motivazione e dispositivo, ne’ vi sono altri elementi obiettivi che inequivocabilmente consentano di escludere l’ipotesi che tale importo costituisca l’effettivo decisum della corte d’appello (si consideri, peraltro, che il (OMISSIS) aveva chiesto la condanna del (OMISSIS) alla restituzione dell’importo di lire 5.200.000, talche’ l’accertamento del dovuto nei limiti di Euro 1.224,00 del tutto compatibile con un accoglimento parziale della domanda).
Si tratta, dunque, di una statuizione di merito erronea, in quanto adottata in violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. (come essenzialmente riconosciuto anche della controparte), che deve essere cassata.
Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e’ possibile decidere nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, dichiarando dovuto – per le causali innanzi specificate – l’importo di Euro 632.14 (pari a lire 1.224.000), anziche’ quello di Euro 1.224,00.
4. Con il terzo motivo, (OMISSIS) deduce la violazione dell’articolo 169 c.p.c., comma 2, articoli 115 e 345 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., in quanto la corte d’appello avrebbe ignorato quanto dallo stesso contestato relativamente al tardivo ri-deposito del fascicolo di parte avversa. Sostiene, in particolare, che il (OMISSIS) avrebbe ritirato il proprio fascicolo di parte nel corso del giudizio di primo grado, restituendolo solo unitamente alla memoria di replica, in violazione dell’articolo 169 c.p.c., comma 2, che prevede che il fascicolo di parte deve essere restituito al piu’ tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale. Di conseguenza, il giudice d’appello non avrebbe potuto considerare ai fini del giudizio i documenti tardivamente (ri)depositati, trattandosi di materiale probatorio “nuovo” rispetto quello su quale si era basata la decisione di primo grado (che aveva rigettato la domanda del (OMISSIS) per difetto di prova).
La circostanza e’ contestata, in punto di fatto, dal (OMISSIS).
Il motivo e’ inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza.
Infatti, il (OMISSIS) non fornisce alcun elemento che consenta a questa Corte di verificare ne’ l’avvenuto ritiro del fascicolo di parte del (OMISSIS), ne’ – tantomeno – la sua tardiva restituzione. Indicazioni in tal senso non si traggono neppure dalla lettura della sentenza del tribunale che, pur rigettando la domanda del (OMISSIS) per un generico difetto di prova, non fa alcun riferimento alla tardiva restituzione del fascicolo di parte o alla circostanza di non averne potuto esaminare il contenuto per via della preclusione posta dall’articolo 169 c.p.c., comma 2.
La Corte, dunque, non e’ stata posta nelle condizioni di delibare la fondatezza della censura, che deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.

[…segue pagina successiva]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *