Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112. In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, nell’omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio per il cliente

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appena il caso di osservare che la sentenza di cassazione con rinvio e’ stata pronunciata da questa Corte in un giudizio diverso da quello per responsabilita’ professionale degli avvocati (OMISSIS) e quindi ne costituisce un mero antecedente logico fattuale, il cui effettivo contenuto questa Corte non puo’ verificare d’ufficio, in mancanza della sua produzione a cura della parte onerata.
5.13 I motivi in esame, pertanto, devono essere rigettati.
6. Con il quinto motivo, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme del codice civile in tema di mandato, nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente sostiene che l’incarico professionale ricevuto dal (OMISSIS) era circoscritto al solo giudizio di cassazione, che egli svolse diligentemente tale attivita’ difensiva e che null’altro gli si poteva richiedere. La Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare tale questione.
Il motivo deve essere rigettato.
Anzitutto va ribadito anche in questo caso che l’affermazione della responsabilita’ professionale degli avvocati (OMISSIS) costituisce oggetto di doppio accertamento di merito conforme, sicche’ sul punto non e’ possibile proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, stante il divieto posto dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5.
In secondo luogo, quanto alla pretesa violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., si deve rilevare il difetto del requisito dell’autosufficienza, poiche’ il (OMISSIS) non ha indicato in quali scritti difensivi sarebbe stata dedotta innanzi alla Corte d’appello la questione dell’ampiezza del mandato.
Peraltro, va puntualizzato che l’affermazione di colpa professionale non e’ basata sulla circostanza che il (OMISSIS) avrebbe dovuto provvedere personalmente alla riassunzione del giudizio di rinvio (per il quale non risulta neppure che gli sia stata conferita la procura bensi’ sull’omessa segnalazione al cliente dell’avvenuta pubblicazione della sentenza; circostanza, quest’ultima, che ha determinato lo spirare del termine per la riassunzione, l’estinzione del giudizio e la conseguente prescrizione del diritto azionato.
Che tale obbligo d’informazione fosse compreso nel mandato ricevuto dal (OMISSIS) per il giudizio di cassazione, non vi e’ alcun dubbio.
Trattandosi di responsabilita’ contrattuale, sarebbe dovuto essere i1 (OMISSIS) a dimostrare di aver diligentemente adempiuto all’obbligo di informazione. I giudici di merito – come gia’ detto, con “doppia conforme” – hanno accertato che tale dovere di informazione non e’ stato diligentemente adempiuto e tale valutazione di merito non e’ censurabile in questa sede.
7.1 Con l’ottavo motivo (OMISSIS) denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 2946 e 2948 c.c., nonche’ dell’articolo 393 c.p.c. e l’omessa valutazione di un fatto decisivo.
La censura riguarda il termine di prescrizione applicato dalla Corte di. Appello alle voci di risarcimento riconosciute, e dunque per (1) la mancata iscrizione ai fondi di previdenza integrativa, (2) l’indennita’ sostitutiva del preavviso e (3) l’indennita’ suppletiva.
Secondo il ricorrente, tali voci non sarebbero soggette al termine di prescrizione quinquennale e si dovrebbe applicare ad esse quello ordinario decennale.
Di conseguenza, poiche’ – a seguito dell’estinzione del giudizio – l’ultimo atto interruttivo della prescrizione risale al 15 dicembre 1994, data di avvio del procedimento davanti al Pretore del lavoro di Milano, applicandosi il termine di prescrizione decennale il diritto al risarcimento si sarebbe potuto azionare fino al 15 dicembre 2004, ossia svariato tempo dopo il deposito della sentenza di cassazione.
Siccome il (OMISSIS) aveva avviato contatti con altri avvocati in data 25 marzo 2003, quindi circa 21 mesi prima dell’avveramento della prescrizione del diritto, quest’ultima sarebbe imputabile alla tardivita’ della nuova citazione, avvenuta solo nel 2005, e non a colpa di (OMISSIS).
7.2 Di analogo tenore e’ il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), secondo cui le varie pretese economiche che si sarebbero potute riconoscere al (OMISSIS) hanno natura risarcitoria (contrattuale) e non retributiva e il regime di prescrizione applicabile sarebbe conseguentemente quello ordinario decennale. Pertanto, alla data di scadenza del termine per la riassunzione del giudizio di rinvio, la prescrizione dei diritti del (OMISSIS) non era ancora maturata e costui avrebbe potuto far valere le proprie istanze instaurando un autonomo giudizio.
7.3 Entrambi i motivi devono essere rigettati.
Questa Corte ha infatti chiarito che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennita’ spettanti al lavoratore sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex articolo 2948 c.c., n. 5, e non all’ordinario termine decennale, a prescindere dalla natura dell’indennita’ medesima, in ragione dell’esigenza di evitare le difficolta’ probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti nel momento della chiusura del rapporto (Sez. L, Sentenza n. 15798 del 12/06/2008, Rv. 603630, in tema di indennita’ sostitutiva del preavviso di licenziamento).
Conseguentemente, risalendo l’ultimo atto interruttivo al 15 dicembre 1994, alla data di pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio era gia’ ampiamente decorso il termine prescrizionale quinquennale e l’unico modo che il lavoratore avrebbe avuto per fare salve le proprie pretese sarebbe dovuto essere quello di proseguire il giudizio, cosi’ da giovarsi degli effetti sospensivi previsti dall’articolo 2945 c.c., comma 2.
8.1 Con il decimo motivo, (OMISSIS) deduce la violazione delle norme in tema di liquidazione delle indennita’ sostitutiva e suppletiva, anche con riferimento al CCNL “dirigenti SIM”, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione dell’articolo 393 c.p.c..
Nell’ambito di tale censura si contesta la liquidazione dei danni operata dalla Corte d’appello, sostenendosi che non vi sarebbero prove sulle quali basare la determinazione del quantum debeatur.

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