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Secondo la Grande Chambre, in particolare, esiste un nesso sufficientemente stretto dal punto di vista materiale tra due (o piu’) procedimenti aventi ad oggetto lo stesso fatto (§ 132):
– se i diversi procedimenti perseguono scopi complementari e riguardano in tal modo, non soltanto in abstracto ma anche in concreto, gli aspetti diversi dell’atto pregiudizievole per la collettivita’ interessata;
– se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanzionato;
– se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie ad una interazione adeguata tra le diverse autorita’ competenti, facendo apparire che l’accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti e’ stato ripreso nell’altro;
– se la sanzione imposta all’esito del procedimento conclusosi per primo sia stata considerata nell’ambito del procedimento che si e’ concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull’interessato un onere eccessivo, rischio, quest’ultimo, che e’ meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l’entita’ globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionata.
Sotto il profilo strettamente temporale, tale nesso e’ stato ritenuto configurabile quando tra i due procedimenti sussista anche un collegamento di natura cronologica; cio’ non rende, peraltro, necessario, che i due procedimenti siano condotti simultaneamente dall’inizio alla fine: “Lo Stato deve avere la facolta’ di scegliere che i due procedimenti siano condotti progressivamente se tale procedura e’ giustificata da un intento di efficacia e di buona amministrazione della giustizia, persegue finalita’ sociali diverse e non causa un pregiudizio sproporzionato all’interessato. Tuttavia, (…), deve esservi sempre un nesso temporale. Tale nesso deve essere sufficientemente stretto affinche’ la persona sottoposta alla giustizia non si trovi in preda all’incertezza e a lungaggini, e affinche’ i procedimenti non si protraggano troppo nel tempo (si veda, come esempio di lacuna di questo tipo, Kapetanios e altri, (…), § 67), anche nell’ipotesi in cui il regime nazionale pertinente preveda un meccanismo “integrato” che comporti un elemento amministrativo e un elemento penale diversi. Quanto piu’ il nesso temporale e’ debole, tanto piu’ lo Stato dovra’ spiegare e giustificare le lungaggini di cui potrebbe essere responsabile nel condurre i procedimenti.” (§ 134).
2.5. Si e’, pertanto, concluso che la celebrazione di distinti procedimenti e la conclusiva irrogazione di piu’ sanzioni aventi natura sostanzialmente penale non viola necessariamente il divieto di bis in idem convenzionale, sancito dall’articolo 4, Protocollo 7, alla Convenzione EDU, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio, sussistendo tra i procedimenti un nesso sostanziale e temporale “sufficientemente stretto”, nei termini illustrati, si traduce in un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell’illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria.
3. Il divieto di bis in idem e’ sancito, nell’ordinamento interno, dall’articolo 649 c.p.p.:
“1. L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non puo’ essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dall’articolo 69, comma 2 e articolo 345.
2. Se cio’ nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”.
La disposizione e’ stata dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’articolo 117 Cost., comma 1, in riferimento all’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato gia’ giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui e’ iniziato il nuovo procedimento penale (Corte cost., sentenza n. 200 del 31 maggio 2016).
4. La questione in esame comporta l’onere di determinare la natura dei rapporti tra le decisioni della Corte Edu e l’interpretazione delle norme interne.
4.1. La Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 26 marzo 2015) ha chiarito che il giudice nazionale e’ vincolato all’osservanza non di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo, bensi’ soltanto delle sentenze costituenti “diritto consolidato” o delle “sentenze pilota” in senso stretto, osservando che, se e’ vero che alla Corte di Strasburgo spetta pronunciare la “parola ultima” in ordine a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, resta fermo che l’applicazione e l’interpretazione del sistema generale di norme e’ attribuito in prima battuta ai giudici degli Stati membri.
Il ruolo di ultima istanza riconosciuto alla Corte di Strasburgo, poggiando sull’articolo 117 Cost., comma 1, deve quindi coordinarsi con l’articolo 101, comma secondo, Cost. nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione, affinche’ il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso. Ed il giudice comune e’ tenuto ad uniformarsi alla giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente, in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza, fermo restando, peraltro, il “margine di apprezzamento” che compete allo Stato membro.
4.1.1. Anche le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486) hanno ribadito che i principi contenuti nella Convenzione EDU, come definiti nella sola giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale e’ tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne.
4.2. Cio’ premesso, osserva il collegio che, in generale, le sentenze della Corte di Strasburgo (anche nella composizione allargata della Grande Chambre) in tema di violazione del divieto di bis in idem ex articolo 4, Prot. n. 7, alla Conv. EDU, costituiscono senza dubbio “diritto consolidato” nei sensi indicati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimita’.
5. La giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che le norme della Convenzione EDU, pur rivestendo grande rilevanza, “sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudizi nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto” (Corte cost., n. 348/07).
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