Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43434. Non è configurabile il divieto di ne bis in idem nel caso di un soggetto detenuto che sia stato già sanzionato disciplinarmente

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Ne consegue che la disapplicazione di una disposizione di legge interna da parte del giudice, perche’ ritenuta non conforme alle previsioni della Convenzione EDU, come interpretata dalla Corte EDU, sarebbe illegittima, perche’ in contrasto con la stessa Costituzione.
Alle norme della Convenzione EDU deve, invece, assegnarsi il rango di “fonti interposte”, destinate ad integrare il parametro di cui all’articolo 117 Cost., il cui comma 1 impone al legislatore, nazionale e regionale, di conformare il prodotto normativo agli obblighi internazionali, fra i quali vanno annoverati anche quelli derivanti dalla richiamata Convenzione. Proprio perche’ si tratta di norme che integrano il predetto parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre a livello sub-costituzionale, e’ necessario che esse stesse siano conformi a Costituzione, non sottraendosi, dunque, al relativo sindacato da parte del Giudice delle leggi: osserva al riguardo la Corte costituzionale che “le norme della Convenzione EDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea; la verifica di compatibilita’ costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in se’ e per se’ considerata. Si deve pertanto escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalita’ delle leggi nazionali. Tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali (imposto dall’articolo 117 Cost., comma 1) e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione” (Corte cost., n. 348/07).
Pertanto, in materia di rapporti tra l’articolo 117 Cost., comma 1, e le norme della Convenzione EDU, tenuto conto dell’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza costituzionale (cfr., da ultimo, Corte cost., n. 303/11 e n. 264/12), deve ritenersi che, qualora il contrasto tra la disciplina nazionale e le norme della Convenzione EDU, come interpretate dalla Corte EDU, non possa essere risolto in via interpretativa, va esclusa la possibilita’ di applicare direttamente la norma convenzionale interposta “obliterando il contrario disposto di una norma interna” (Sez. un., sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016, in motivazione; conformi, Sez. un., sentenza n. 34472 del 19 aprile 2012, in motivazione, e Sez. un., sentenza n. 41694 del 18 ottobre 2012, in motivazione): in questo caso, dovra’ essere sollevato l’incidente di costituzionalita’, e la Corte costituzionale dovra’ accertare se le disposizioni interne in questione siano compatibili con quelle della Convenzione, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integratrici dell’indicato parametro costituzionale e, nel contempo, verificare se le norme convenzionali interposte, sempre nell’interpretazione fornita dalla medesima Corte europea, non si pongano in conflitto con altre norme conferenti dell’ordinamento costituzionale italiano.
Cio’ perche’ “il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla Convenzione EDU e’ subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiche’ tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla Convenzione EDU. Nelle ipotesi in cui non sia possibile percorrere tale via, e’ fuor di dubbio che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana e sia percio’ tenuto a sollevare questione di legittimita’ costituzionale della legge di adattamento” (Corte cost., n. 49/15).
La Corte costituzionale, se non puo’ prescindere dall’interpretazione data delle disposizioni della Convenzione EDU dalla Corte di Strasburgo (ai sensi dell’articolo 32, § 1, della Convenzione, infatti, la competenza della predetta Corte “si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa”), puo’, nondimeno, a sua volta interpretare la Convenzione, purche’ nel rispetto sostanziale della giurisprudenza europea formatasi al riguardo, ma “con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarita’ dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale e’ destinata a inserirsi” (sentenze n. 311/09 e n. 236/11).
In sintesi, il Giudice delle leggi deve:
(a) “verificare se la norma della Convenzione EDU, nell’interpretazione data dalla Corte europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra Costituzione” (Corte cost., sentenza n. 311 del 2009), “ipotesi nella quale dovra’ essere esclusa la idoneita’ della norma convenzionale a integrare il parametro considerato” (Corte cost., sentenza n. 113 del 2011)…
(b) ovvero “valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Infatti, la norma CEDU – nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’articolo 117 Cost. – da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto cio’ che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte e’ chiamata in tutti i giudizi di sua competenza” (Corte cost., sentenza n. 317 del 2009).
6. Con piu’ specifica attinenza al tema in discussione nell’odierno giudizio, la Corte costituzionale (sentenza n. 102 del 12 maggio 2016), nel dichiarare inammissibile, per il carattere perplesso della motivazione sulla non manifesta infondatezza, la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 649 c.p.p., impugnato, in riferimento all’articolo 117 Cost., comma 1 e articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Conv. EDU (nella parte in cui non prevede l’applicabilita’ della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell’ambito di un procedimento amministrativo per l’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU, in asserita violazione del principio del ne bis in idem come interpretato dalla Corte EDU nei casi di “doppio binario sanzionatorio” nei quali la legislazione nazionale prevede un doppio livello di tutela, penale e amministrativa), si e’ dichiarata consapevole che l’accoglimento della questione avrebbe condotto ad una soluzione di incerta compatibilita’ con la Costituzione ed avrebbe determinato un’incertezza quanto al tipo di risposta sanzionatoria, amministrativa o penale, che l’ordinamento ricollega al verificarsi di determinati comportamenti, in base alla circostanza aleatoria del procedimento definito piu’ celermente.
Ha, infatti, osservato che l’intervento additivo richiesto non avrebbe determinato un ordine di priorita’, ne’ altra forma di coordinamento, tra i due procedimenti, penale e amministrativo, cosicche’ la preclusione del secondo procedimento sarebbe scattata in base al provvedimento divenuto per primo irrevocabile, ponendo cosi’ rimedio ai singoli casi concreti, ma non in generale alla ipotizzata violazione strutturale da parte dell’ordinamento italiano del divieto di bis in idem, come censurata dalla Corte di Strasburgo.
Peraltro, “l’incertezza e la casualita’ delle sanzioni applicabili potrebbero a loro volta dar luogo alla violazione di altri principi costituzionali, quali la determinatezza e la legalita’ della sanzione penale (articolo 25 Cost.), la ragionevolezza e la parita’ di trattamento (articolo 3 Cost.), nonche’ l’effettivita’, la proporzionalita’ e la dissuasivíta’ delle sanzioni, imposte dal diritto dell’Unione europea (articoli 11 e 117 Cost.)”.

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