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Si e’ visto, infatti, che la “sezione filtro” puo’ rimettere il ricorso alla sezione semplice in due casi: o quando il ricorso abbia rilievo nomofilattico, ovvero quando non sia inammissibile od infondato in modo manifesto.
Nel primo caso la trattazione del ricorso in pubblica udienza e’ ragionevole e coerente con la ratio della legge; nel secondo caso (ricorso non manifestamente inammissibile/fondato/infondato, ma comunque privo di rilievo nomofilattico) la trattazione in pubblica udienza non solo non si giustifica razionalmente, ma sarebbe incoerente con la ratio legis, che e’ quella di riservare alla pubblica udienza le sole questioni di diritto che abbiano interesse generale dal punto di vista nomofilattico.
Deve pertanto concludersi che la previa assegnazione del ricorso alla sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, nel caso in cui quest’ultima ritenga che non ricorrano le condizioni di legge per la decisione del ricorso nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., non impedisce la decisione del ricorso da parte della sezione semplice in camera di consiglio anziche’ in pubblica udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 1.
2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2051 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha rigettato la domanda sul presupposto che il gradino formato dalla cabina dell’ascensore rispetto al piano di calpestio non potesse costituire un’insidia.
Questa affermazione, ad avviso del ricorrente, costituisce una violazione dell’articolo 2051 c.c., perche’ la responsabilita’ del custode prescinde dall’esistenza di una insidia o trabocchetto, e comunque non e’ onere dell’attore provare l’esistenza dell’una o dell’altro; l’attore che invoca la responsabilita’ del custode ha il solo onere di dimostrare che il danno sia derivato da una “anomalia” della cosa oggetto di custodia.
2.2. Prima di esaminare nel merito la censura appena riassunta, deve rilevarsi come la Corte d’appello, al foglio 11 (numerato come “pag. 2”), terzo capoverso, della propria sentenza, abbia affermato che l’appellante (OMISSIS) col proprio atto d’appello si era “limitato a riproporre le difese del precedente grado, senza censurare in modo specifico le argomentazioni (…) con cui il tribunale le ha gia’ disattese”. Occorre dunque stabilire se, con tale affermazione, la Corte d’appello abbia inteso dichiarare l’appello inammissibile per genericita’, ex articolo 342 c.p.c., ovvero abbia pronunciato un mero obiter dictum.
Nel primo caso, infatti, il ricorso per cassazione dovrebbe ovviamente essere dichiarato inammissibile, perche’ estraneo alla ratio decidendi. Ritiene questa Corte che il passo sopra trascritto costituisca un mero obiter dictum, e non una autonoma ratio decidendi.
E’ la stessa Corte d’appello, infatti, nello stesso foglio 11, secondo capoverso, a riassumere in modo analitico le doglianze proposte dall’appellante, e nelle pagine successive ad esaminarle nel merito. Dunque la Corte d’appello ha ben inteso quali fossero le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, e le ha anche esaminate: tanto e’ vero che il dispositivo della sentenza dichiara di “respingere” l’appello, e non lo ha dichiarato inammissibile.
La sentenza qui impugnata fu dunque una pronuncia di rigetto nel merito, ed il primo motivo di appello, pertanto, puo’ essere esaminato nel merito, perche’ non puo’ dirsi estraneo alla effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
2.3. Il motivo e’ tuttavia infondato.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda ritenendo che unica causa del danno fu la distrazione della vittima.
Questa affermazione e’ in se’ corretta.
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