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1. E’ noto che con la L. 23 giugno 2017 n. 103, articolo 1, commi 38, 39 e 40, entrata in vigore il 3 agosto 2017, e’ stata modificata la disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, il ricorso per cassazione, introdotto con la L. n. 46 del 2006, essendo stato sostituito dall’appello, alla cui proposizione sono legittimati il Procuratore della Repubblica, il procuratore generale e l’imputato, salvo il caso, per quest’ultimo, che la sentenza abbia dichiarato che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’abbia commesso. Nondimeno, alla persona offesa – cui la norma di cui all’articolo 428 c.p.p., comma 2, nel testo anteriormente vigente, riconosceva, se costituita parte civile, il potere di proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., e quindi anche agli effetti penali – la citata disposizione, siccome novellata, consente soltanto di proporre appello per far valere la nullita’ nei casi di cui all’articolo 419 c.p.p., comma 7, vale a dire quella relativa all’omesso avviso dell’udienza preliminare.
La questione, dunque, alla quale occorre preliminarmente dare soluzione attiene alla individuazione, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, del regime normativo da applicare ai ricorsi per cassazione presentati dalla parte civile ai sensi del dettato previgente dell’articolo 428 c.p., comma 2, trattati, tuttavia, dalla Corte di Cassazione dopo l’entrata in vigore delle norme di cui alla L. n. 103 del 2017, commi 38, 39 e 40. Vertendosi in tema di successione di norme processuali relative al regime delle impugnazioni, stima il Collegio che debba farsi applicazione, onde regolare il caso menzionato, del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537, – che avevano preso in considerazione il caso dell’appello proposto, agli effetti penali, dalla persona offesa costituita parte civile contro la sentenza emessa, nei procedimenti relativi a reati di ingiuria e diffamazione, prima della data di entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 9, che ha abrogato l’articolo 577 c.p.p., il quale prevedeva l’esperibilita’ di tale rimedio – a mente del quale, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorche’ si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio “tempus regit actum” impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non gia’ a quello della proposizione dell’impugnazione. Tanto in ossequio all’articolo 11 preleggi, che, prevedendo che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”, e’ posta a tutela dell’affidamento maturato dalla parte “in relazione alla fissita’ del quadro normativo, e a salvaguardia del principio della “parita’ delle armi”, cosi’ da “soddisfare l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente gia’ maturati, senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o a disarticolare posizioni processuali gia’ acquisite” (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236536; C. Cost. sent n. 155/1990).
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