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1. Destituito di giuridico fondamento e’ il primo motivo di ricorso. La Corte territoriale, rigettando l’eccezione di prescrizione dei delitti ascritti all’imputato, si e’, infatti, attenuta al consolidato principio di diritto per il quale, in tema di bancarotta prefallimentare, la prescrizione inizia a decorrere dalla data della declaratoria di fallimento o dello stato d’insolvenza e non dal momento della consumazione delle singole condotte poste in essere in precedenza (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 – dep. 23/04/2015, Caprara e altri, Rv. 263244; Sez. 5, n. 48739 del 14/10/2014 – dep. 24/11/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013 – dep. 09/01/2014, De Florio, Rv. 258712; Sez. 5, n. 20736 del 25/03/2010 – dep. 01/06/2010, Olivieri, Rv. 247299): tanto perche’ la sentenza dichiarativa di fallimento e’ elemento costitutivo della fattispecie ancorche’ improprio, trattandosi di pronuncia giurisdizionale, che serve a connotare di lesivita’ i comportamenti tipizzati dalle norme di riferimento (Sez. 5, n. 46182 del 12/10/2004 – dep. 29/11/2004, Rossi ed altro, Rv. 23116701).
E’ bene, tuttavia, precisare che, quand’anche si volesse assegnare alla dichiarazione di fallimento la natura di condizione obiettiva di punibilita’, non per questo, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere il reato, si potrebbe prescindere dalla sentenza di fallimento. In questo senso si e’ espressa di recente questa Corte (Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017 – dep. 22/03/2017, Santoro, Rv. 26938901), allorche’, dando seguito alla posizione incidentalmente assunta dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22474 del 31/03/2016 – dep. 27/05/2016, Passarelli e altro, in ordine alla qualificazione della dichiarazione di fallimento come condizione obiettiva di punibilita’, ha stabilito che, conformemente al dettato dell’articolo 158 c.p., comma 2, – a mente del quale, quando la legge fa dipendere la punibilita’ del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si e’ verificata – il dies a quo per calcolare il decorso della prescrizione viene a coincidere con la dichiarazione di fallimento. Tale affermazione, ad avviso dell’orientamento interpretativo che se ne fa latore, e’ coerente con la concezione secondo la quale la condizione di obiettiva punibilita’, pur se estranea all’offesa, rappresenta, comunque, il dato che giustifica l’intervento sanzionatorio dello Stato, soltanto all’avverarsi di essa realizzandosi l’opportunita’ della punizione.
2.1. Infondato e’ anche il rilievo mosso alla sentenza impugnata con il secondo motivo di impugnazione. Si e’ osservato, infatti, da parte di questa Corte regolatrice che l’articolo 42 cod. pen., nell’esigere la previsione espressa della punibilita’ di un delitto a titolo di colpa, non ne esclude la possibilita’ di una previsione implicita, desumibile per via di interpretazione sistematica (Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009 – dep. 05/10/2009, Romano, Rv. 244823), come, appunto, pacificamente ritenuto nella giurisprudenza di legittimita’ per la bancarotta semplice documentale, argomentando a contrario dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 9572 del 20/12/2005 – dep. 20/03/2006, Marchesini, Rv. 234228; Sez. 5, n. 27515 del 04/02/2004 – dep. 18/06/2004, Tinaglia, Rv. 228701; Sez. 5, n. 288 del 18/03/1968 – dep. 16/05/1968, Alibrandi, Rv. 10795801). Del resto che il reato di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 2, sia punibile anche a titolo di colpa lo si desume dalla stessa struttura della norma, che punisce l’imprenditore che non istituisca le scritture sociali e contabili prescritte dalla legge o che le tenga in maniera incompleta o irregolare senza che sia necessaria la deliberata volonta’ di violare la disciplina di settore e/o di arrecare pregiudizio ai creditori.
La riconosciuta punibilita’ del reato di bancarotta semplice anche a titolo di colpa rende, pertanto, irrilevante la deduzione difensiva volta ad assegnare rilievo alla circostanza che l’imputato si fosse mantenuto estraneo alla gestione della contabilita’ aziendale. E’ ius receptum nella giurisprudenza di legittimita’, infatti, che sull’imprenditore individuale o sull’amministratore di societa’ incombe personalmente, a norma degli articoli 2214 e 2241 cod. civ., l’obbligo di curare la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, essendo egli il custode e il garante della loro integrita’ e genuinita’ (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 – dep. 19/01/1999, Mollo ed altri, Rv. 21214701) ovvero quello di controllarne la gestione ancorche’ tale incombenza sia affidata ad un tecnico specializzato (Sez. 5, n. 12765 del 16/05/1989 – dep. 22/09/1989, Brioglio, Rv. 18212401). Si tratta, in effetti, di un dovere funzionale alla salvaguardia dell’interesse alla precisa ed agevole ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari dell’impresa (argomento evincibile da Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, De Franceschi, Rv. 231707), che, pertanto, sottintende la necessita’ che il titolare di tale obbligo conosca le norme che regolano la tenuta dei detti libri e scritture.
Da tali condivisibili principi deriva, quindi, che all’imprenditore individuale o collettivo non giova ad evitare la affermazione di responsabilita’ per il delitto di bancarotta documentale l’addurre di avere affidato l’incarico di tenuta delle scritture contabili ad un professionista e di non avere le competenze per controllarne l’operato, poiche’, sul tema, si e’ ricorrentemente statuito da parte di questa Corte, che la colpa dell’imprenditore e’ ravvisabile anche quando egli abbia affidato a soggetti estranei all’amministrazione dell’azienda la tenuta delle scritture e dei libri contabili, perche’ su di lui grava, oltre all’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato – cui e’ connessa l’eventuale “culpa in eligendo” – anche quello di controllarne l’operato, cui consegue in caso di inottemperanza, il rimprovero per “culpa in vigilando” (Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015 – dep. 05/06/2015, Cutrera, Rv. 265138; Sez. 5, n. 32586 del 10/07/2007 – dep. 09/08/2007, Centola, Rv. 23710501).
Va ulteriormente chiarito, per avervi fatto riferimento il ricorrente, che, in tema di bancarotta documentale, vale il principio per cui l’imprenditore individuale o gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di una societa’ non vanno esenti da responsabilita’ per il fatto che le operazioni contabili siano state affidate ad un commercialista o ad un dipendente, dovendosi logicamente presumere, anche per il principio del cui prodest, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni suggerite ed i documenti messi a disposizione dai predetti soggetti che restano, quindi, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilita’ (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 – dep. 19/01/1999, Mollo ed altri, Rv. 21214701). Ci si trova al cospetto, invero, di una presunzione iuris tantum, che puo’ essere vinta soltanto da una rigorosa prova contraria, incombente sui diretti destinatari della norma incriminatrice, la cui valutazione, positiva o negativa, riservata al giudice di merito, e’ insindacabile, in sede di legittimita’, se sostenuta da logica ed esaustiva motivazione.
Cio’ posto, osserva il Collegio che tale rigorosa prova contraria non e’ stata offerta dall’imputato, il quale con l’assumere di avere confidato nella competenza professionale dell’esperto contabile e di non averne potuto in concreto controllare l’operato a cagione della propria ignoranza, non e’ riuscito a scalfire la rigorosa doverosita’ dell’obbligo posto a suo carico, nascente dalla posizione di garanzia quale dominus dell’impresa.
3. Non ha pregio la critica mossa alla sentenza impugnata con il quarto motivo di impugnativa, la cui trattazione occorre anticipare per ragioni di ordine logico.
Con il sostenere, infatti, l’irrilevanza ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 2, delle annotazioni contabili contestate, perche’ anteriori al periodo dei tre anni precedenti il fallimento (essendo riferite all’anno 2005) e l’esistenza di un vuoto motivazionale in ordine alla possibilita’ della collocazione in un’altra posta contabile delle annotazioni mancanti, il ricorrente, per un verso, omette di rapportarsi criticamente al tenore della motivazione censurata, per altro verso, non assegna il dovuto rilievo – quanto meno sul piano dialettico – alle posizioni espresse in materia dalla giurisprudenza di legittimita’.
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