Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 4 novembre 2014, n. 23426
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28162-2010 proposto da:
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona dell’Amministratore delegato Sig. (OMISSIS) e dal Direttore generale e legale rappresentante Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta Procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in MILANO del 29/01/2010 REP. N. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 400/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 29/12/2009 R.G.N. 563/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28162-2010 proposto da:
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona dell’Amministratore delegato Sig. (OMISSIS) e dal Direttore generale e legale rappresentante Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta Procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in MILANO del 29/01/2010 REP. N. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 400/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 29/12/2009 R.G.N. 563/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il (OMISSIS) il camion DAF 95 condotto da (OMISSIS), sul quale era trasportata la di lui moglie (OMISSIS), precipito’ da un viadotto lungo la strada statale (OMISSIS).
In conseguenza del sinistro (OMISSIS) perse la vita e (OMISSIS) rimase invalida.
Nel (OMISSIS) (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Potenza l’ (OMISSIS), quale impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada Legge 24 dicembre 1969, n. 990, ex articolo 19, assumendo che il sinistro sopra descritto fu causato da un veicolo rimasto sconosciuto, e chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del danno.
Altrettanto fecero, in un separato giudizio, i tre figli della vittima: (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Riuniti i giudizi, con sentenza depositata il 15.10.2002 il Tribunale di Potenza rigetto’ le domande attoree, ritenendo non provato il coinvolgimento nella dinamica del sinistro di un veicolo rimasto sconosciuto.
La sentenza di primo grado venne impugnata dai soccombenti.
La Corte d’appello di Potenza con sentenza 29.12.2009 n. 400 riformo’ la decisione di primo grado. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne provato che il sinistro fu concausato da un veicolo rimasto sconosciuto.
Ritenne altresi’ che alla causazione del sinistro concorse (OMISSIS) nella misura del 50%, e ridusse in misura proporzionale il credito risarcitorio spettante ai congiunti della vittima; condanno’ infine l’ (OMISSIS) al risarcimento in misura eccedente il massimale di legge, ravvisando nella sua condotta gli estremi della mora colpevole (cd. mala gestio impropria).
3. La sentenza d’appello viene ora impugnata per cassazione dalla (OMISSIS) s.p.a., sulla base di tre motivi illustrati da memoria.
Hanno resistito con un unico controricorso (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS).
In conseguenza del sinistro (OMISSIS) perse la vita e (OMISSIS) rimase invalida.
Nel (OMISSIS) (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Potenza l’ (OMISSIS), quale impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada Legge 24 dicembre 1969, n. 990, ex articolo 19, assumendo che il sinistro sopra descritto fu causato da un veicolo rimasto sconosciuto, e chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del danno.
Altrettanto fecero, in un separato giudizio, i tre figli della vittima: (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Riuniti i giudizi, con sentenza depositata il 15.10.2002 il Tribunale di Potenza rigetto’ le domande attoree, ritenendo non provato il coinvolgimento nella dinamica del sinistro di un veicolo rimasto sconosciuto.
La sentenza di primo grado venne impugnata dai soccombenti.
La Corte d’appello di Potenza con sentenza 29.12.2009 n. 400 riformo’ la decisione di primo grado. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne provato che il sinistro fu concausato da un veicolo rimasto sconosciuto.
Ritenne altresi’ che alla causazione del sinistro concorse (OMISSIS) nella misura del 50%, e ridusse in misura proporzionale il credito risarcitorio spettante ai congiunti della vittima; condanno’ infine l’ (OMISSIS) al risarcimento in misura eccedente il massimale di legge, ravvisando nella sua condotta gli estremi della mora colpevole (cd. mala gestio impropria).
3. La sentenza d’appello viene ora impugnata per cassazione dalla (OMISSIS) s.p.a., sulla base di tre motivi illustrati da memoria.
Hanno resistito con un unico controricorso (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari.
1.1. I controricorrenti hanno sollevato, alle pp. 4-5 del proprio controricorso, due eccezioni che vanno esaminate preliminarmente, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2.
1.2. Con la prima di tali eccezioni i sigg.ri (OMISSIS) – (OMISSIS) invocano l’inammissibilita’ del ricorso, perche’ non corredato dei documenti sui quali si fonda, ex articolo 369 c.p.c..
Tale eccezione e’ infondata.
La (OMISSIS) ha proposto tre motivi di ricorso.
Col terzo di essi prospetta una violazione di legge, la quale ovviamente non esige l’allegazione di alcun documento.
Coi primi due motivi di ricorso la (OMISSIS) lamenta altrettanti vizi motivazionali della sentenza. Con le sue censure, tuttavia, la societa’ ricorrente non si duole della omessa valutazione d’una prova, ovvero del rigetto d’un’altra, ovvero del fraintendimento d’un’altra prova ancora: tutti casi in cui, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, effettivamente e’ necessario che il ricorrente trascriva gli atti od alleghi i documenti posti a fondamento del ricorso, ovvero indichi la loro collocazione nel fascicolo.
Nel caso di specie, invece, l’ (OMISSIS) ha lamentato un vizio logico (la contraddittorieta’) della motivazione della sentenza, in tesi emergente dalla sola lettura del provvedimento impugnato.
Rispetto a questo tipo di censura non vi e’ necessita’ di allegare documenti di sorta, potendo e dovendo questa Corte rilevare l’esistenza di anomalie nel ragionamento seguito dalla sentenza impugnata soltanto attraverso l’esame della sua motivazione.
1.3. Con la seconda eccezione preliminare i controricorrenti invocano la formazione del giudicato interno in merito all’esistenza ed all’ammontare del credito risarcitorio della sig.a (OMISSIS) per i danni alla persona da essa direttamente subiti.
Questo il ragionamento svolto nel controricorso:
(a) in conseguenza del sinistro, i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno patito un danno derivante dalla morte del padre (OMISSIS), mentre la sig.a (OMISSIS) ha patito anche un danno alla salute, in quanto trasportata sul camion condotto da (OMISSIS) che precipito’ dal viadotto;
(b) nell’epigrafe del ricorso per cassazione, la (OMISSIS) s.p.a. ha dichiarato di volere proporre ricorso nei confronti dei sigg.ri (OMISSIS) – (OMISSIS) quali eredi di (OMISSIS) ;
(c) ergo, il ricorso ha inteso rimettere in discussione solo le statuizioni della sentenza d’appello concernenti i danni derivanti dalla morte di (OMISSIS), non i danni alla salute patiti direttamente da (OMISSIS).
1.4. La tesi e’ manifestamente infondata, per due indipendenti ragioni.
1.4.1. La prima ragione e’ che il contenuto e gli effetti degli atti giudiziari vanno individuati non gia’ estrapolandone qua e’ la’ brani isolati, ma valutandoli nel loro complesso e previa connessione di tutte le parti che li compongono, senza che le espressioni adoperate dalla parte possano ritenersi vincolanti per il giudice (principio pacifico: ex per multis, Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719; Sez. L, Sentenza n. 27428 del 13/12/2005, Rv. 585512; Sez. 2, Sentenza n. 8225 del 29/04/2004, Rv. 572456; e via risalendo sino alla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 611 del 10/03/1970, Rv. 345752). Nel caso di specie la lettura complessiva del ricorso rende evidente che con i primi due motivi di esso l’ (OMISSIS) s.p.a. ha inteso dolersi dell’accertamento dell’an debeatur nei confronti di tutti i controricorrenti: tanto si desume dalle conclusioni del ricorso, che non fanno distinzioni di sorta (p. 24 del ricorso); dal contenuto del ricorso, che investe una statuizione – la ricostruzione della dinamica del sinistro – posta a fondamento della condanna tanto nei confronti della sig.a (OMISSIS), quanto della condanna nei confronti degli eredi (OMISSIS); dal ripetuto riferimento contenuto nel ricorso ai danneggiati ovvero agli attori od agli aventi diritto tutti, senza distinzioni tra le varie posizioni (pp. 21, 22 e 23 del ricorso).
1.4.2. La seconda ragione di infondatezza dell’eccezione di giudicato interno parziale e’ che nel presente giudizio la Corte d’appello non ha liquidato a nessuno degli originari attori nessun danno a titolo ereditario. Tutti i pregiudizi accertati e liquidati dal giudice di merito sono stati accordati ai danneggiati jure proprio, e non a titolo derivativo.
Pertanto, a volere ritenere che davvero la (OMISSIS) abbia inteso citare i controricorrenti nella sola veste di eredi di (OMISSIS), il ricorso sarebbe totalmente inammissibile, posto che nel presente giudizio non si discute di alcun credito che, acquisito dal de cujus, sia stato poi da questi trasmesso agli odierni contro ricorrenti la momento della morte. E tuttavia e’ noto che, tra due interpretazioni possibili del medesimo atto (processuale o sostanziale che sia), e’ canone generale dell’ermeneutica quello di preferire la cd. interpretazione utile , ovvero quella in grado di assicurare all’atto la produzione di almeno un effetto, rispetto a quella che priverebbe l’atto di qualsiasi effetto.
1.5. Deve dunque concludersi che l’indicazione contenuta nell’epigrafe del ricorso, secondo cui i sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati citati quali eredi di (OMISSIS), sia bensi’ erronea e non pertinente, ma non infirma il contenuto del ricorso, chiaro ed inequivoco nei vizi che denuncia e nel petitum che invoca.
2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo insufficiente la ricostruzione della dinamica del sinistro. A fondamento della propria ricostruzione dei fatti la Corte d’appello ha infatti posto la deposizione d’un testimone la cui presenza sul luogo del fatto non solo non risultava dal rapporto redatto dall’autorita’ di polizia nell’immediatezza del sinistro, ma era anche in contrasto con la deposizione di altri testimoni che invece furono certamente presenti ai fatti, perche’ menzionati nel rapporto.
2.2. Il motivo e’ fondato.
Per decidere la controversia ad essa devoluta la Corte d’appello aveva a disposizione i seguenti elementi probatori od indiziari:
(a) un rapporto della Polizia Stradale, nel quale non si faceva menzione ne’ del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti, ne’ della presenza del testimone (OMISSIS), poi escusso nel corso del procedimento civile;
(b) una informativa dei Carabinieri di Montemurro indirizzata alla Procura della Repubblica, nella quale non si faceva menzione ne’ del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti, ne’ della presenza del suddetto testimone (OMISSIS);
(c) le dichiarazioni rese, nell’immediatezza dei fatti, agli agenti di polizia giudiziaria da due persone da questi ultimi rinvenute sul posto ( (OMISSIS) – o (OMISSIS) – e (OMISSIS)), nessuno dei quali fece menzione del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti;
(d) il provvedimento di archiviazione del procedimento contro ignoti scaturito dalla morte di (OMISSIS), disposto dalla Pretura Circondariale di Potenza, fondato sul presupposto che non sussistessero nella specie gli estremi di alcun reato;
(e) la circostanza, pacifica, che al momento del sinistro piovesse e la visibilita’ fosse scarsa;
(f) la circostanza, pacifica, che prima del sinistro il mezzo condotto dalla vittima aveva effettuato un sorpasso e poi una repentina manovra di rientro nella semicarreggiata di sua pertinenza;
(g) la deposizione del testimone (OMISSIS), escusso nel corso del procedimento civile, l’unico a riferire del coinvolgimento di un altro veicolo, rimasto ignoto perche’ allontanatosi dopo il sinistro.
2.3. Chiamata dunque a ricostruire l’accaduto sulla base di questi elementi, la Corte d’appello ha ritenuto provata la corresponsabilita’ d’un conducente rimasto ignoto nella causazione del sinistro, ritenendo che la presenza del veicolo ignoto fosse provata dalla deposizione del testimone (OMISSIS).
Questa deposizione e’ stata ritenuta attendibile sulla base di tre considerazioni:
(a) che non vi erano elementi per escludere l’attendibilita’ della suddetta deposizione, perche’ essa si integrava, e non contrastava, con quella dell’altra testimone (OMISSIS) – o (OMISSIS) – (cosi’ la sentenza, pag. 6);
(b) che anche se la testimone (OMISSIS) non riconobbe nelle sembianze del testimone (OMISSIS) una persona presente sul posto, non vi sono elementi per escludere il contrario;
(c) che la testimone (OMISSIS), pur non ricordando la presenza di altri mezzi coinvolti nel sinistro, affermo’ di non potere escludere il contrario , e tale dichiarazione corroborerebbe la deposizione del testimone (OMISSIS).
2.4. I tre argomenti sui quali la Corte d’appello ha fondato la decisione di ritenere attendibile il testimone (OMISSIS) sono viziati da altrettanti vizi logici.
L’affermazione sub (a) e’ viziata da una valutazione atomistica degli indizi;
l’affermazione sub (b) e’ viziata dalla violazione del canone logico della negazione; l’affermazione sub (c) e’ viziata dalla violazione del canone logico della implicazione.
2.4.1. Il primo vizio della sentenza impugnata, come accennato, e’ quello della valutazione atomistica degli elementi di prova.
La Corte infatti ha esaminato la deposizione de testimone (OMISSIS), l’ha confrontata con quella della testimone (OMISSIS) ed ha concluso che esse non erano in contrasto.
Cosi’ facendo, pero’, la Corte d’appello ha trascurato di considerare che il giudice di merito deve valutare complessivamente tutti gli indizi di cui dispone, per accertare se siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (in tal senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012, Rv. 622995; Sez. 3, Sentenza n. 3703 del 09/03/2012, Rv. 621641; Sez. 3, Sentenza n. 26022 del 05/12/2011, Rv. 620317; Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005, Rv. 583806; Sez. 2, Sentenza n. 11372 del 30/05/2005, Rv. 580176; Sez. 1, Sentenza n. 3390 del 18/02/2005, Rv. 579630; Sez. 2, Sentenza n. 17858 del 24/11/2003, Rv. 568398; Sez. 2, Sentenza n. 2007 del 05/09/1961, Rv. 882740; sino alla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 2971 del 13/10/1962, Rv. 254395).
Nel caso di specie invece la Corte d’appello, per pervenire all’affermazione del coinvolgimento d’un veicolo ignoto ha preso in esame soltanto le deposizioni dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), senza minimamente considerare che:
(-) la presenza del testimone (OMISSIS) sul luogo dell’accaduto non compariva in nessuno degli atti di polizia giudiziaria compiuti nell’immediatezza del fatto;
(-) appariva singolare che la polizia giudiziaria, la quale ha l’obbligo di raccogliere gli elementi di prova necessari per l’accertamento dei fatti-reato, non fosse stata in grado nell’immediatezza del fatto di individuare un testimone cosi’ prezioso;
(-) appariva singolare che una persona, la quale abbia tanto senso civico da farsi palese alle vittime d’un sinistro stradale e deporre in un procedimento civile per il risarcimento del danno da esse proposto, non ne avesse avuto altrettanto nell’immediatezza dell’accaduto, facendosi presente alle forze dell’ordine;
(-) la testimone (OMISSIS), certamente presente ai fatti, per stessa ammissione della Corte d’appello non fu in grado di ravvisare nelle sembianze di (OMISSIS) una persona presente sul posto ed al momento del fatto (sul tema si tornera’ piu’ oltre);
(-) la manovra di sorpasso eseguita dalla vittima, in relazione alle circostanze di tempo e luogo, poteva comunque di per se’ costituire un antecedente causale esclusivo del sinistro.
Se dunque e’ vero che e’ riservato al giudice di merito il potere-dovere di valutare le prove e formarsi un proprio convincimento sull’attendibilita’ dei testimoni, e’ altresi’ vero che tale valutazione deve avvenire esaminando complessivamente tutte le prove raccolte, e non gia’ limitandosi a comparare tra loro le sole deposizioni testimoniali, per poi concludere che, non essendo contrastanti, sono attendibili.
Nel caso di specie pertanto la Corte, per giungere ad un giudizio di attendibilita’ del testimone (OMISSIS), avrebbe dovuto prendere in esame tutti gli elementi indiziari sopra indicati, e spiegare perche’ essi non infirmavano la credibilita’ delle sue deposizioni.
2.4.2. Il secondo vizio logico in cui incorre la motivazione della sentenza e’ la violazione del canone logico della negazione.
Come noto, dati due enunciati A e B , essi si dicono legati dal rapporto di negazione logica se A e’ falso quando B sia vero, e viceversa.
La Corte d’appello a p. 6, quinto capoverso, della propria motivazione, ammette che la testimone (OMISSIS) non fu in grado di ravvisare nella persona dell’altro testimone (OMISSIS) una persona presente sul luogo dell’accaduto. Soggiunge, pero’, che non vi sono elementi per escludere che quest’ultimo fosse effettivamente presente sul posto.
La Corte d’appello pertanto, muovendo dalla assenza di elementi che escludano la presenza del testimone , giunge alla conclusione che quegli doveva essere presente.
Tuttavia, quando manchi la prova d’un fatto, esso non puo’ dirsi ne’ vero, ne’ falso, poiche’ la mancanza di prove contrarie dell’esistenza d’un fatto, e l’esistenza di questo, non sono concetti tra loro legati da un nesso logico di negazione.
Se dunque la Corte non disponeva di elementi che escludessero la presenza del testimone sul posto, come essa stessa ammette, da questo fatto non poteva trarre a fil di logica alcuna deduzione: ne’ sulla presenza del testimone, ne’ sulla sua assenza.
2.4.3. Il terzo vizio logico in cui incorre la motivazione della sentenza e’ la violazione del canone logico della implicazione.
A pag. 6, sesto capoverso della motivazione, la Corte d’appello ha nella sostanza ritenuto rilevante ai fini del decidere la circostanza che la testimone (OMISSIS), che pure aveva dichiarato di non ricordare il coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro, soggiunse di non poterlo escludere .
E tale affermazione sarebbe rilevante, secondo la Corte d’appello, perche’ la testimone, tutta concentrata a seguire il grave evento che si stava svolgendo dinanzi a se’, non presto’ attenzione alla presenza di altri mezzi.
Or bene, la regola argomentativa della implicazione (di cui e’ espressione l’articolo 2727 c.c.) impone che, quando si desuma un fatto ignorato da un fatto noto, il secondo deve costituire una conseguenza normale del primo, secondo l’id quod plerumque accidit.
Nel nostro caso la Corte d’appello, al cospetto d’un testimone che ha dichiarato non ricordo, ma non posso escluderlo ha del tutto azzerato la valenza della prima dichiarazione, ed esaltato la seconda: pretendendo di muovere dal fatto noto che il testimone non escluse la presenza di altro mezzo, per giungere al fatto ignorato che quell’altro mezzo effettivamente esistesse.
In questo modo una affermazione chiara e netta ( non ho visto altri mezzi ) e’ stata di fatto espunta dal materiale probatorio; ed una affermazione del tutto insignificante ( non posso escludere che ci fossero ) e’ stata elevata a rango di prova decisiva.
2.5. La sentenza deve dunque essere cassata sul punto e rinviata alla Corte d’appello di Potenza, la quale nel riesaminare le prove raccolte ai fini della ricostruzione dell’accaduto e nel motivare la propria decisione:
(a) terra’ conto di tutti gli elementi anche indiziari disponibili, ed in primo luogo della inspiegabile comparsa del testimone (OMISSIS) a distanza di oltre due anni dal sinistro;
(b) motivera’ la propria decisione applicando la regola logica della negazione, in virtu’ della quale la mancanza di elementi che escludano il coinvolgimento di un altro mezzo non e’ da sola sufficiente a ritenerlo provato;
(c) motivera’ la propria decisione senza capovolgere il senso della deposizione della testimone (OMISSIS), e tenendo per fermo che l’affermazione non posso escludere che dal punto di vista della logica deduttiva non e’ ne’ prova dell’esistenza di un fatto, ne’ prova della sua inesistenza.
3. Il secondo motivo di ricorso.
3.1. Anche col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Nel motivo, ad onta della sua intitolazione, la ricorrente svolge censure eterogenee.
Sotto un primo profilo, lamenta di essere stata condannata al risarcimento del danno in favore delle vittime del sinistro in misura eccedente il massimale, sul presupposto d’un colpevole ritardo nell’adempimento della propria obbligazione. Soggiunge tuttavia che la motivazione adottata al riguardo dalla Corte d’appella sarebbe insufficiente: la condanna, infatti, e’ avvenuta sul presupposto che l’impresa designata, per effetto della ricezione della richiesta scritta di risarcimento da parte delle vittime, fu messa in condizione di determinarsi ai fini della liquidazione dell’indennizzo . Di tale motivazione si invoca la illogicita’.
Sotto un secondo profilo, l’ (OMISSIS) lamenta di essere stata condannata al risarcimento in misura eccedente il massimale catastrofale fissato dalla legge: e dunque prospetta un vizio di violazione di legge.
3.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione in merito all’accertamento della sussistenza d’una mora colpevole in capo all’assicuratore, il ricorso e’ fondato.
La Corte d’appello ha condannato la (OMISSIS) a risarcire per intero agli attori i danni dalla stessa Corte accertati, senza alcun riguardo al limite del massimale.
Cio’ ha fatto sul presupposto che la (OMISSIS) fosse incorsa in mora colpevole (usualmente definita mala gestio impropria ) nell’adempimento della propria obbligazione.
E la mora colpevole sarebbe ricorrente, secondo la Corte d’appello, perche’ con la lettera di messa in mora fu descritta la dinamica del sinistro e la compagnia assicuratrice fu messa in condizione di determinarsi ai fini della liquidazione dell’indennizzo .
Tale affermazione e’ illogica e contraddittoria.
3.4. L’impresa designata, cosi’ come l’assicuratore della r.c.a., e’ costituito in mora ipso facto alla scadenza dello spatium deliberandi previsto, all’epoca dei fatti, dalla Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 22, ed oggi dall’articolo 148 cod. ass.. La mora del debitore, in ossequio ad un principio secolare (la mora culpata del diritto romano classico), nel nostro ordinamento si presume sempre colpevole.
Nel caso di specie, pertanto, era onere della impresa designata dimostrare che il ritardato adempimento della propria obbligazione non fosse dovuto a propria negligenza.
Or bene, nel ritenere che la (OMISSIS) non avesse fornito tale prova la Corte d’appello di Potenza ha adottato una motivazione per un verso contraddittoria, e per altro verso illogica.
3.4.1. La motivazione e’ contraddittoria perche’, mentre a pag. 15, punto (13), della motivazione, si afferma che l’ (OMISSIS) era in mora colpevole perche’ sin da quando ricevette la richiesta risarcitoria stragiudiziale dei danneggiati fu posta in condizione di liquidare l’indennizzo, alle precedenti pagine 7-9 la sentenza si sofferma a spiegare che il risarcimento spettante alla vittima deve essere contenuto nei limiti del massimale; si dilunga a determinare quale fosse la misura del massimale all’epoca dei fatti; e conclude affermando che la somma da liquidarsi per ciascuna persona danneggiata (salvi gli effetti della mala gestio impropria) non puo’ essere superiore a lire ecc. .
Ci troviamo dunque dinanzi al caso d’un giudice il quale da un lato afferma che la condanna va contenuta nei limiti del massimale, e dall’altro condanna l’assicuratore oltre il massimale.
La contraddizione non e’ sanata dalla proposizione incidentale salvi gli effetti della mala gestio impropria , perche’ l’ (OMISSIS) come accennato e’ stata condannata al risarcimento integrale dei danni accertati, come se il massimale non esistesse. Se dunque gli effetti della mala gestio impropria che la Corte d’appello intendeva far salvi dovevano essere quelli di annullare del tutto il limite del massimale, non si comprende perche’ mai la sentenza impugnata abbia ritenuto di soffermarsi cosi’ a lungo a determinare la misura di quest’ultimo.
3.4.2. Ben piu’ grave e’ il vizio logico della motivazione.
Secondo la Corte d’appello, la (OMISSIS) s.p.a. sarebbe incorsa in mora colpevole per avere rifiutato di risarcire le (pretese) vittime del sinistro stradale, nonostante queste ultime le avessero inviato una richiesta scritta di risarcimento contenente la descrizione della dinamica del sinistro.
E’ una tesi sorprendente.
Lo e’ sia in astratto ed in generale, che con riferimento alle specificita’ del caso concreto.
In linea generale, la richiesta scritta inviata dalla vittima d’un sinistro stradale all’assicuratore del responsabile (ovvero all’impresa designata) non e’ che una prospettazione di parte. L’assicuratore non puo’ ne’ deve recepirla acriticamente, ma deve vagliarla alla luce degli altri elementi di cui dispone.
Accogliere una richiesta risarcitoria destituita di fondatezza giuridica o non corredata da prove sufficienti esporrebbe l’assicuratore della r.c.a. a responsabilita’ contrattuale nei confronti del proprio assicurato, per essersi reso inadempiente al patto di gestione della lite ed avere determinato cosi’ la lievitazione del premio per effetto della formula tariffaria bonus/malus.
La situazione non cambia quando debitrice sia l’impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada: anche in questo caso l’accoglimento di pretese infondate od indimostrate esporrebbe l’impresa designata alle contestazioni della (OMISSIS) s.p.a. in sede di rivalsa.
Dunque sostenere, come ha fatto la Corte d’appello, che l’impresa designata sia tenuta al pagamento dell’indennizzo per il solo fatto di avere ricevuto una richiesta risarcitoria e’ affermazione manifestamente illogica, perche’ grava il debitore d’una condotta che lo esporrebbe a responsabilita’.
Ancor piu’ illogica e’ la motivazione adottata dalla sentenza impugnata, se ragguagliata alle circostanze del caso specifico. La (OMISSIS) s.p.a. venne infatti investita da una richiesta di risarcimento proposta da persone che sostenevano essere stata causata la morte di (OMISSIS) da un imprudente conducente rimasto sconosciuto.
Cionondimeno l’impresa assicuratrice, a quel momento, disponeva ovvero poteva disporre se si fosse attivata con l’ordinaria diligenza:
-) d’un rapporto della Polizia nel quale non si faceva cenno al coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro;
-) d’una informativa dei Carabinieri con lo stesso contenuto;
-) d’un provvedimento di archiviazione della notitia criminis per mancanza degli elementi costitutivi del reato;
-) di sommarie informazioni testimoniali, allegate al rapporto della polizia, dalle quali non risultava il coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro.
L’ (OMISSIS) ebbe dunque dinanzi a se’, da un iato, la versione dei fatti prospettata dalle vittime, e dall’altro gli atti dell’autorita’ di polizia, di quella inquirente e di quella giudiziaria. Non e’ dubitabile quale delle due fosse da seguire.
La Corte d’appello di Potenza pertanto, ritenendo colposa la condotta d’un debitore che non fece altro che adottare le stesse determinazioni cui era pervenuta l’autorita’ giudiziaria, ha adottato una manifestazione manifestamente irrazionale, per avere svilito gli atti pubblici, ed elevato a rango di verita’ di fede quelli privati provenienti dalle vittime.
4. Il terzo motivo di ricorso.
4.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assumono violati gli articoli 2054 e 2055 c.c..
Espone, al riguardo, di essere stata condannata a risarcire agli attori il danno integrale da questi subito per la morte del loro congiunto, nonostante la vittima del sinistro, (OMISSIS), fosse stata ritenuta corresponsabile del sinistro nella misura del 50%.
Sostiene invece la ricorrente che il risarcimento spettante alla moglie ed ai figli della vittima si sarebbe dovuto ridurre in misura pari all’apporto causale fornita all’evento dalla vittima primaria.
4.2. Per quanto ovvio, e’ opportuno chiarire come il motivo di ricorso in esame non e’ assorbito dall’accoglimento dei precedenti, vertendo quelli sull’an debeatur e questo sul quantum debeatur: pertanto la cassazione con rinvio della sentenza d’appello nella parte in cui ha ricostruito la dinamica del sinistro non travolge le determinazioni della Corte d’appello sulla misura del danno risarcibile, le quali se non impugnate vincolerebbero il giudice dei rinvio, nel caso in questi, emendando la motivazione della sentenza cassata, pervenisse nondimeno alle medesime conclusioni di questa.
4.3. Nel merito, il motivo e’ fondato.
4.3.1. Elemento fondamentale della responsabilita’ civile e’ il nesso di causa: tanto quello cd. materiale tra condotta ed evento (articolo 40 c.p.); quanto quello cd. giuridico tra evento e conseguenze (articolo 1223 c.c.).
La mancanza del nesso di causa esclude la responsabilita’ dell’agente e rende superfluo l’accertamento di una sua eventuale condotta colposa.
Il nesso di causa tra condotta colposa e danno e’ escluso dal caso fortuito, tradizionalmente identificato nelle tre categorie della forza maggiore, del fatto del terzo e del fatto della stessa vittima.
Ricorrendo una di queste tre ipotesi, quindi, non sorge alcuna responsabilita’ a carico dell’autore materiale del danno.
4.3.2. Il fatto colposo della vittima e’ espressamente disciplinato dall’articolo 1227 c.c., comma 1, il quale stabilisce che se il fatto colposo dei creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento e’ diminuito secondo la gravita’ della colpa e l’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate .
E’ orientamento consolidato di questa Corte, condiviso dalla prevalente dottrina, che l’articolo 1227 c.c., comma 1, sia una norma che disciplina la causalita’ tra condotta e danno, fissando un limite al principio della condicio sine qua non (la materia e’ stata affrontata funditus nella sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 17152 del 03/12/2002, Rv. 558933; nello stesso senso, tra le tante, da Sez. 3, Sentenza n. 15375 del 13/07/2011, Rv. 618633; Sez. 3, Sentenza n. 4476 del 24/02/2011, Rv. 616827; Sez. 3, Sentenza n. 11227 del 08/05/2008, Rv. 603077; Sez. 3, Sentenza n. 2868 del 26/02/2003, Rv. 560708; Sez. 3, Sentenza n. 10641 del 20/07/2002, Rv. 556028; Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002, Rv. 551508).
Il concorso colposo della vittima esclude pertanto il nesso di causa tra la condotta ed il danno. Mancando il nesso di causa, viene a mancare la concepibilita’ stessa d’una responsabilita’ purchessia in capo all’offensore. Responsabilita’ che manchera’ del tutto, se la condotta della vittima ha avuto efficacia causale assorbente; o in misura proporzionale all’apporto causale di questa, se la condotta della vittima ha avuto efficacia causale concorrente.
4.3.3. La regola fissata dall’articolo 1227 c.c., comma 1, trova applicazione anche nel caso in cui la vittima del danno abbia, con la propria condotta colposa, concausato la propria morte.
Anche in questo caso il responsabile non potra’ essere chiamato a rispondere integralmente del danno patito dai congiunti della vittima, per la semplice ragione che dove vi e’ colpa della vittima manca il nesso di causa tra azione e danno, e dove manca questo non sorge responsabilita’.
Questa conclusione e’ l’unica consentita dalla lettera dell’articolo 1227 c.c.; ed e’ corroborata dall’interpretazione storica e da quella comparatistica.
4.3.4. Dal punto di vista letterale, infatti, l’articolo 1227 c.c., comma 1, espressamente prevede che il risarcimento debba essere ridotto secondo l’entita’ delle conseguenze che (…) sono derivate dalla condotta della vittima. Cio’ rende manifesto che i danni causati dalla vittima a se stessa non sono considerati dalla legge una conseguenza della condotta dell’offensore, e non possono essergli ascritti.
4.3.5. Dal punto di vista storico, l’opinione dottrinaria secondo cui il concorso di colpa della vittima esclude la risarcibilita’ sia dei danni patiti da questa direttamente, sia dei danni patiti dai suoi congiunti in caso di decesso, ha una tradizione secolare.
Essa venne elaborata gia’ dai Commentatori e della Giurisprudenza Colta del 16 sec., sulla base del noto passo di (OMISSIS) Quis ex culpa sua damnum sentit, non intelligitur damnum sentire (Dig., L, 17 , 203), e condiviso dal Cujacio (Opera Omnia, 8, 887, p. 203) e dal Grozio (omnes ita teneri, si vere causa fuerint damni, id est momentum attulerint aut ad totum damnum, aut ad partem damni: cosi’ in De jure belli ac pacis, 2, 17, 10).
Tale principio resto’ fermo anche dopo l’eta’ delle codificazioni: e sebbene non espressamente previsto dalla legge, era affermato gia’ dalla giurisprudenza formatasi su codice del 1865 (ex aliis, Cass. Torino 26.6.1874, in Raccolta, 26, 1, 656), la quale lo aveva mutuato dalla giurisprudenza d’Oltralpe formatasi sul Code Napoleon (ex aliis, App. Parigi, 19.1.1867, in Dalloz, 1867, 5, 370; App. Liegi, 17.12.1864, in Pasicrisie, 1867, 2, 371).
Sempre il medesimo principio e’ oggi pacifico, risalente e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha reiterata mente affermato che i familiari di chi per colpa concausi la propria morte hanno diritto al risarcimento nella misura decurtata dal concorso di colpa della vittima, anche quando agiscano jure proprio : in tal senso si vedano Sez. 3, Sentenza n. 849 del 20/03/1959 (non massimata); Sez. 3, Sentenza n. 2223 del 07/08/1963, Rv. 263405; Sez. 3, Sentenza n. 430 del 18/02/1971, Rv. 350030; Sez. 3, Sentenza n. 3780 del 30/12/1971, Rv. 355616; Sez. 3, Sentenza n. 10271 del 29/09/1995, Rv. 494135; Sez. 3, Sentenza n. 11137 del 06/10/1999, Rv. 530501; Sez. 3, Sentenza n. 2704 del 10/02/2005, Rv. 580012; Sez. 3, Sentenza n. 18177 del 28/08/2007, Rv. 598971; Sez. 3, Sentenza n. 11698 del 26/05/2014, Rv. 631111, avente ad oggetto proprio un caso di infortunio mortale; nonche’, indirettamente, Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010, Rv. 612764. Esiste dunque una millenaria ed ininterrotta tradizione giuridica che, se pur con accenti diversi, ha sempre negato ai congiunti della persona deceduta anche per causa propria l’integrale diritto al risarcimento: e da questa tradizione non si vedono motivi per allontanarsi.
4.3.5. Dal punto di vista comparatistico, infine, e’ significativo rilevare che in tutti gli ordinamenti giuridici avanzati e’ applicata la regola che esclude il risarcimento integrale del danno da morte, quando la persona deceduta abbia concausato per colpa la propria morte.
Questo principio e’ pacifico nei Paesi di Common law, ove e’ noto come regola della contributory negligence. Tale regola e’ espressamente prevista – ad esempio – in tutte le Standard jury instructions che le Corti dei singoli Stati nordamericani impartiscono alle giurie, ove si leggono formule del tipo if you find that (decedent) was negligent in any degree, the court in entering judgment will reduce the total amount of damages by the percentage of negligence which you find was caused by (decedent) (cosi’, testualmente, il 502.5 delle standard jury instructions for civil cases della Corte Suprema della Florida, ovvero se accertate che la vittima fu in qualsiasi modo negligente, nel pronunciare la propria decisione la Corte ridurra’ l’ammontare del risarcimento delle percentuale di colpa imputabile alla vittima ; formula analoga si legge nel p. 407 delle California Civil Jury Instructions , rubricato giustappunto Comparative Fault of Decedent ).
Anche in Spagna, e proprio in materia di sinistri stradali, l’articolo 1.1.4 del Real Decreto Legislativo n. 8 del 2004, del 29.10.2004 prevede espressamente che nel caso di concorso di negligenza del conducente e del danneggiato, si procedera’ alla riduzione del risarcimento secondo la rispettiva entita’ delle colpe concorrenti .
Non fa eccezione a questa regola la Francia: tanto e’ vero che, per potervi derogare, e soltanto in materia di sinistri stradali, si e’ dovuto introdurre una norma ad hoc, la Legge n. 677 del 1985, articolo 3 (cd. Loi Badinter). Deroga, comunque, non assoluta, dal momento che l’inopponibilita’ alla vittima del suo concorso colposo nella causazione del danno e’ prevista solo per le vittime diverse dal conducente; solo per la colpa concorrente e non per quella esclusiva; solo per i danni alla persona e non per quelli patrimoniali (articolo 5), e soprattutto – quel che qui rileva – solo per i danni diretti, non per quelli di rimbalzo , come appunto nel caso di danno lamentato dai congiunti del conducente deceduto (articolo 6 l. cit.).
E la Corte di cassazione francese, quando non debbano essere applicate le suddette norme speciali, non ha mai dubitato che in caso di danno da morte concausato dalla colpa sia di un terzo che della vittima, il responsabile non puo’ essere condannato al risarcimento integrale del danno che i parenti della vittima subiscono di rimbalzo (cosi’ la Cour de cassation, Arret 25.2.2004, in Recueil General, 2005, n. 14.013).
4.5. Deve dunque concludersi che la lettera della legge, la tradizione storica e la comparazione giuridica depongono nel senso che il concorso di colpa di persona deceduta per colpa anche altrui sia opponibile ai prossimi congiunti della vittima, anche quando pretendano il risarcimento del danno jure proprio.
4.6. La Corte d’appello di Potenza non ha ritenuto di uniformarsi a questo tradizionale orientamento. Nella sentenza impugnata la motivazione di questo dissenso si compendia unicamente nel richiamo ad un precedente di questa Corte, ovvero la decisione pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 4795 del 01/03/2007, Rv. 596663.
Quella decisione tuttavia non costituisce un precedente contrario all’orientamento tradizionale.
Nel caso deciso da Cass. 4795/07, cit., a seguito dello scontro di due veicoli mori’ il proprietario di uno di essi, che al momento del fatto viaggiava pero’ come trasportato.
I congiunti della vittima convennero in giudizio unicamente il proprietario e l’assicuratore della r.c.a. del veicolo antagonista. Quest’ultimo, condannato a pagare l’intero nelle fasi di merito, ricorse per cassazione assumendo che gli attori, quali successori del proprietario corresponsabile e quindi quali soggetti a loro volta corresponsabili . Nel ricorso, dunque, si invocava nella sostanza l’estinzione per confusione dell’obbligazione risarcitoria, per essersi cumulata nelle persone degli attori la qualita’ di danneggiati ed eredi del proprietario responsabile.
E’ stato soltanto con riguardo a questa prospettazione che Cass. 4795/07 ha ritenuto il ricorso infondato, sul presupposto che nei gradi di merito non si era mai contestato ne’ discusso se gli attori avessero agito nella qualita’ di eredi.
Tale decisione, massimata purtroppo in modo non impeccabile, ed evidentemente recepita dalla Corte d’appello di Potenza solo nella massima, non ha dunque affatto affermato che la colpa della vittima d’un sinistro stradale, in caso di sua morte, sia inopponibile ai prossimi congiunti che domandano il risarcimento.
4.7. Amor di completezza induce ad aggiungere che la tesi adottata dalla Corte d’appello di Potenza, oltre che contrastante con l’orientamento consolidato di questa Corte, appare comunque insostenibile: sia per la debolezza dei presupposti teorici su cui poggia, sia per le aberranti conseguenze cui condurrebbe.
4.7.1. Quanto ai presupposti, quella minoritaria dottrina la quale ritiene inopponibile ai congiunti di persona deceduta il concorso di colpa di quest’ultima, ragiona pressappoco cosi’:
(a) i congiunti della vittima sono terzi rispetto sia al responsabile, sia alla vittima;
(b) in quanto tali, ad essi non e’ applicabile l’articolo 1227 c.c., perche’ non hanno avuto alcuna colpa nella causazione dell’evento;
(c) al caso di specie deve dunque applicarsi l’articolo 2055 c.c.: con la conseguenza che il responsabile, in quanto coautore dell’evento dannoso, dovra’ rispondere per l’intero, secondo la previsione della norma appena citata.
Questo ragionamento tuttavia non convince.
L’articolo 2055 c.c. trova applicazione quando piu’ persone tengano una condotta illecita: cioe’ quando tutti i coautori del danno hanno agito con colpa e violato un diritto altrui.
La vittima d’un illecito che per colpa concausa la propria morte non tiene una condotta illecita, ne’ lede i diritti di chicchessia. A ritenere il contrario, bisognerebbe supporre che i congiunti del deceduto vantino un diritto soggettivo alla permanenza in vita della vittima: il che e’ evidentemente assurdo.
Se dunque chi, per colpa, concorre a provocare la propria morte non lede i diritti di nessuno, egli non potra’ nemmeno essere ritenuto corresponsabile insieme al terzo che sempre per colpa abbia cooperato all’evento dannoso. Di conseguenza, se manca la concepibilita’ stessa d’una corresponsabilita’ e dunque d’una obbligazione solidale, l’applicabilita’ dell’articolo 2055 c.c. e’ fuori gioco.
4.7.2. Oltre che malferma nei suoi presupposti teorici, la tesi che ritiene inopponibile ai congiunti della vittima il concorso di colpa di quest’ultima nel causa la propria morte e’ insostenibile per gli inaccettabili risultati pratici cui condurrebbe.
Se fosse, vera, infatti, ne seguirebbe che:
(a) il coautore del danno, risarcito il danno per intero nelle mani dei congiunti della vittima, avrebbe il diritto di regresso ex articolo 2055 c.c., comma 2, nei confronti di quelli tra i danneggiati che fossero anche eredi della vittima, sicche’ il risarcimento si ridurrebbe ad una partita di giro;
(b) se si negasse il regresso al coautore del danno, per evitare la irrazionale conseguenza di cui si e’ appena detto, si perverrebbe alla altrettanto inaccettabile conseguenza di scindere l’articolo 2055 c.c., e di applicarlo nella parte in cui prevede la responsabilita’ solidale, e disapplicarlo nella parte in cui prevede il regresso, in spregio dei piu’ elementari canoni interpretativi;
(c) equiparare chi per colpa concausi la propria morte ad un comune corresponsabile ex articolo 2055 c.c. condurrebbe all’assurdita’ di dovere ammettere che l’avente diritto al risarcimento che non sia erede (ad es., il convivente more uxorio ovvero il fratello di chi, morendo, lasci moglie e figli) in caso di insolvenza del terzo corresponsabile potrebbe rivolgersi agli eredi della vittima, quali successori nel debito sorto in capo al defunto per effetto dell’uccisione di stesso;
(d) sostenere che uccidere se stessi sia un fatto illecito condurrebbe ad ammettere che il congiunto non erede possa domandare al congiunto erede il risarcimento del danno anche nei caso di suicidio della vittima, posto che la responsabilita’ civile sorge tanto dai fatti colposi, quanto da quelli dolosi.
La evidente inaccettabilita’ di tali conclusioni rende evidente la insostenibilita’ della premessa da cui muovono, ovvero che chi concausa, insieme alla vittima, la morte d’una persona debba risarcire il danno dei congiunti per intero, in applicazione dell’articolo 2055 c.c..
4.8. La regola secondo cui il concorso di colpa della vittima, nel caso di sua morte, e’ opponibile ai congiunti di questa, e’ pienamente operante anche nella materia dell’assicurazione obbligatoria della responsabilita’ civile. Essa infatti non solo non collide col diritto comunitario, ma anzi e’ sottratta alla disciplina di esso.
Lo ha ripetutamente stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea (da ultimo con le sentenze pronunciate da Corte giustizia CE, sez. 3, 9 giugno 2011, Lavrador, in causa C-409/09, e da Corte giustizia CE, sez. 2, 17 marzo 2011, Carvalho Ferreira Santos, in causa C-484/09). In queste due decisioni la Corte di Lussemburgo era stata chiamata a stabilire se fossero compatibili col diritto comunitario le norme di diritto nazionale le quali:
(a) escludano in tutto od in parte il diritto al risarcimento del danno da sinistri stradali in conseguenza del concorso colposo della vittima;
(b) ripartiscano in via presuntiva la colpa di un sinistro stradale, quando non sia possibile ricostruirne la dinamica, limitando conseguentemente il diritto al risarcimento del danno vantato dalla vittima.
E ad ambedue i quesiti e’ stata data risposta affermativa.
Per pervenire a questa conclusione i giudici di Lussemburgo hanno affermato che l’obbligo di copertura, da parte dell’assicurazione della responsabilita’ civile, dei danni causati da autoveicoli a soggetti terzi costituisce un aspetto distinto rispetto a quello dell’ampiezza del risarcimento a favore di tali terzi a titolo della responsabilita’ civile dell’assicurato. Solo il primo e’ definito e garantito dalla normativa dell’Unione, mentre la seconda e’ sostanzialmente disciplinata dal diritto nazionale.
Pertanto, quando il diritto interno di uno Stato membro detta regole in materia di responsabilita’ civile, le quali limitino o escludano il diritto al risarcimento della vittima di un sinistro stradale, tali norme riguardano un aspetto non disciplinato dal diritto comunitario.
4.9. Per tutte le ragioni sopra esposte, deve dunque concludersi affermando il seguente principio di diritto, al quale la Corte d’appello si atterra’ in sede di rinvio:
Il risarcimento del danno (patrimoniale e non) patito jure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla stessa vittima.
5. Le spese.
Le spese del giudizio di’ legittimita’ e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3.
1.1. I controricorrenti hanno sollevato, alle pp. 4-5 del proprio controricorso, due eccezioni che vanno esaminate preliminarmente, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2.
1.2. Con la prima di tali eccezioni i sigg.ri (OMISSIS) – (OMISSIS) invocano l’inammissibilita’ del ricorso, perche’ non corredato dei documenti sui quali si fonda, ex articolo 369 c.p.c..
Tale eccezione e’ infondata.
La (OMISSIS) ha proposto tre motivi di ricorso.
Col terzo di essi prospetta una violazione di legge, la quale ovviamente non esige l’allegazione di alcun documento.
Coi primi due motivi di ricorso la (OMISSIS) lamenta altrettanti vizi motivazionali della sentenza. Con le sue censure, tuttavia, la societa’ ricorrente non si duole della omessa valutazione d’una prova, ovvero del rigetto d’un’altra, ovvero del fraintendimento d’un’altra prova ancora: tutti casi in cui, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, effettivamente e’ necessario che il ricorrente trascriva gli atti od alleghi i documenti posti a fondamento del ricorso, ovvero indichi la loro collocazione nel fascicolo.
Nel caso di specie, invece, l’ (OMISSIS) ha lamentato un vizio logico (la contraddittorieta’) della motivazione della sentenza, in tesi emergente dalla sola lettura del provvedimento impugnato.
Rispetto a questo tipo di censura non vi e’ necessita’ di allegare documenti di sorta, potendo e dovendo questa Corte rilevare l’esistenza di anomalie nel ragionamento seguito dalla sentenza impugnata soltanto attraverso l’esame della sua motivazione.
1.3. Con la seconda eccezione preliminare i controricorrenti invocano la formazione del giudicato interno in merito all’esistenza ed all’ammontare del credito risarcitorio della sig.a (OMISSIS) per i danni alla persona da essa direttamente subiti.
Questo il ragionamento svolto nel controricorso:
(a) in conseguenza del sinistro, i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno patito un danno derivante dalla morte del padre (OMISSIS), mentre la sig.a (OMISSIS) ha patito anche un danno alla salute, in quanto trasportata sul camion condotto da (OMISSIS) che precipito’ dal viadotto;
(b) nell’epigrafe del ricorso per cassazione, la (OMISSIS) s.p.a. ha dichiarato di volere proporre ricorso nei confronti dei sigg.ri (OMISSIS) – (OMISSIS) quali eredi di (OMISSIS) ;
(c) ergo, il ricorso ha inteso rimettere in discussione solo le statuizioni della sentenza d’appello concernenti i danni derivanti dalla morte di (OMISSIS), non i danni alla salute patiti direttamente da (OMISSIS).
1.4. La tesi e’ manifestamente infondata, per due indipendenti ragioni.
1.4.1. La prima ragione e’ che il contenuto e gli effetti degli atti giudiziari vanno individuati non gia’ estrapolandone qua e’ la’ brani isolati, ma valutandoli nel loro complesso e previa connessione di tutte le parti che li compongono, senza che le espressioni adoperate dalla parte possano ritenersi vincolanti per il giudice (principio pacifico: ex per multis, Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719; Sez. L, Sentenza n. 27428 del 13/12/2005, Rv. 585512; Sez. 2, Sentenza n. 8225 del 29/04/2004, Rv. 572456; e via risalendo sino alla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 611 del 10/03/1970, Rv. 345752). Nel caso di specie la lettura complessiva del ricorso rende evidente che con i primi due motivi di esso l’ (OMISSIS) s.p.a. ha inteso dolersi dell’accertamento dell’an debeatur nei confronti di tutti i controricorrenti: tanto si desume dalle conclusioni del ricorso, che non fanno distinzioni di sorta (p. 24 del ricorso); dal contenuto del ricorso, che investe una statuizione – la ricostruzione della dinamica del sinistro – posta a fondamento della condanna tanto nei confronti della sig.a (OMISSIS), quanto della condanna nei confronti degli eredi (OMISSIS); dal ripetuto riferimento contenuto nel ricorso ai danneggiati ovvero agli attori od agli aventi diritto tutti, senza distinzioni tra le varie posizioni (pp. 21, 22 e 23 del ricorso).
1.4.2. La seconda ragione di infondatezza dell’eccezione di giudicato interno parziale e’ che nel presente giudizio la Corte d’appello non ha liquidato a nessuno degli originari attori nessun danno a titolo ereditario. Tutti i pregiudizi accertati e liquidati dal giudice di merito sono stati accordati ai danneggiati jure proprio, e non a titolo derivativo.
Pertanto, a volere ritenere che davvero la (OMISSIS) abbia inteso citare i controricorrenti nella sola veste di eredi di (OMISSIS), il ricorso sarebbe totalmente inammissibile, posto che nel presente giudizio non si discute di alcun credito che, acquisito dal de cujus, sia stato poi da questi trasmesso agli odierni contro ricorrenti la momento della morte. E tuttavia e’ noto che, tra due interpretazioni possibili del medesimo atto (processuale o sostanziale che sia), e’ canone generale dell’ermeneutica quello di preferire la cd. interpretazione utile , ovvero quella in grado di assicurare all’atto la produzione di almeno un effetto, rispetto a quella che priverebbe l’atto di qualsiasi effetto.
1.5. Deve dunque concludersi che l’indicazione contenuta nell’epigrafe del ricorso, secondo cui i sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati citati quali eredi di (OMISSIS), sia bensi’ erronea e non pertinente, ma non infirma il contenuto del ricorso, chiaro ed inequivoco nei vizi che denuncia e nel petitum che invoca.
2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo insufficiente la ricostruzione della dinamica del sinistro. A fondamento della propria ricostruzione dei fatti la Corte d’appello ha infatti posto la deposizione d’un testimone la cui presenza sul luogo del fatto non solo non risultava dal rapporto redatto dall’autorita’ di polizia nell’immediatezza del sinistro, ma era anche in contrasto con la deposizione di altri testimoni che invece furono certamente presenti ai fatti, perche’ menzionati nel rapporto.
2.2. Il motivo e’ fondato.
Per decidere la controversia ad essa devoluta la Corte d’appello aveva a disposizione i seguenti elementi probatori od indiziari:
(a) un rapporto della Polizia Stradale, nel quale non si faceva menzione ne’ del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti, ne’ della presenza del testimone (OMISSIS), poi escusso nel corso del procedimento civile;
(b) una informativa dei Carabinieri di Montemurro indirizzata alla Procura della Repubblica, nella quale non si faceva menzione ne’ del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti, ne’ della presenza del suddetto testimone (OMISSIS);
(c) le dichiarazioni rese, nell’immediatezza dei fatti, agli agenti di polizia giudiziaria da due persone da questi ultimi rinvenute sul posto ( (OMISSIS) – o (OMISSIS) – e (OMISSIS)), nessuno dei quali fece menzione del coinvolgimento nel sinistro di mezzi rimasti ignoti;
(d) il provvedimento di archiviazione del procedimento contro ignoti scaturito dalla morte di (OMISSIS), disposto dalla Pretura Circondariale di Potenza, fondato sul presupposto che non sussistessero nella specie gli estremi di alcun reato;
(e) la circostanza, pacifica, che al momento del sinistro piovesse e la visibilita’ fosse scarsa;
(f) la circostanza, pacifica, che prima del sinistro il mezzo condotto dalla vittima aveva effettuato un sorpasso e poi una repentina manovra di rientro nella semicarreggiata di sua pertinenza;
(g) la deposizione del testimone (OMISSIS), escusso nel corso del procedimento civile, l’unico a riferire del coinvolgimento di un altro veicolo, rimasto ignoto perche’ allontanatosi dopo il sinistro.
2.3. Chiamata dunque a ricostruire l’accaduto sulla base di questi elementi, la Corte d’appello ha ritenuto provata la corresponsabilita’ d’un conducente rimasto ignoto nella causazione del sinistro, ritenendo che la presenza del veicolo ignoto fosse provata dalla deposizione del testimone (OMISSIS).
Questa deposizione e’ stata ritenuta attendibile sulla base di tre considerazioni:
(a) che non vi erano elementi per escludere l’attendibilita’ della suddetta deposizione, perche’ essa si integrava, e non contrastava, con quella dell’altra testimone (OMISSIS) – o (OMISSIS) – (cosi’ la sentenza, pag. 6);
(b) che anche se la testimone (OMISSIS) non riconobbe nelle sembianze del testimone (OMISSIS) una persona presente sul posto, non vi sono elementi per escludere il contrario;
(c) che la testimone (OMISSIS), pur non ricordando la presenza di altri mezzi coinvolti nel sinistro, affermo’ di non potere escludere il contrario , e tale dichiarazione corroborerebbe la deposizione del testimone (OMISSIS).
2.4. I tre argomenti sui quali la Corte d’appello ha fondato la decisione di ritenere attendibile il testimone (OMISSIS) sono viziati da altrettanti vizi logici.
L’affermazione sub (a) e’ viziata da una valutazione atomistica degli indizi;
l’affermazione sub (b) e’ viziata dalla violazione del canone logico della negazione; l’affermazione sub (c) e’ viziata dalla violazione del canone logico della implicazione.
2.4.1. Il primo vizio della sentenza impugnata, come accennato, e’ quello della valutazione atomistica degli elementi di prova.
La Corte infatti ha esaminato la deposizione de testimone (OMISSIS), l’ha confrontata con quella della testimone (OMISSIS) ed ha concluso che esse non erano in contrasto.
Cosi’ facendo, pero’, la Corte d’appello ha trascurato di considerare che il giudice di merito deve valutare complessivamente tutti gli indizi di cui dispone, per accertare se siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (in tal senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012, Rv. 622995; Sez. 3, Sentenza n. 3703 del 09/03/2012, Rv. 621641; Sez. 3, Sentenza n. 26022 del 05/12/2011, Rv. 620317; Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005, Rv. 583806; Sez. 2, Sentenza n. 11372 del 30/05/2005, Rv. 580176; Sez. 1, Sentenza n. 3390 del 18/02/2005, Rv. 579630; Sez. 2, Sentenza n. 17858 del 24/11/2003, Rv. 568398; Sez. 2, Sentenza n. 2007 del 05/09/1961, Rv. 882740; sino alla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 2971 del 13/10/1962, Rv. 254395).
Nel caso di specie invece la Corte d’appello, per pervenire all’affermazione del coinvolgimento d’un veicolo ignoto ha preso in esame soltanto le deposizioni dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), senza minimamente considerare che:
(-) la presenza del testimone (OMISSIS) sul luogo dell’accaduto non compariva in nessuno degli atti di polizia giudiziaria compiuti nell’immediatezza del fatto;
(-) appariva singolare che la polizia giudiziaria, la quale ha l’obbligo di raccogliere gli elementi di prova necessari per l’accertamento dei fatti-reato, non fosse stata in grado nell’immediatezza del fatto di individuare un testimone cosi’ prezioso;
(-) appariva singolare che una persona, la quale abbia tanto senso civico da farsi palese alle vittime d’un sinistro stradale e deporre in un procedimento civile per il risarcimento del danno da esse proposto, non ne avesse avuto altrettanto nell’immediatezza dell’accaduto, facendosi presente alle forze dell’ordine;
(-) la testimone (OMISSIS), certamente presente ai fatti, per stessa ammissione della Corte d’appello non fu in grado di ravvisare nelle sembianze di (OMISSIS) una persona presente sul posto ed al momento del fatto (sul tema si tornera’ piu’ oltre);
(-) la manovra di sorpasso eseguita dalla vittima, in relazione alle circostanze di tempo e luogo, poteva comunque di per se’ costituire un antecedente causale esclusivo del sinistro.
Se dunque e’ vero che e’ riservato al giudice di merito il potere-dovere di valutare le prove e formarsi un proprio convincimento sull’attendibilita’ dei testimoni, e’ altresi’ vero che tale valutazione deve avvenire esaminando complessivamente tutte le prove raccolte, e non gia’ limitandosi a comparare tra loro le sole deposizioni testimoniali, per poi concludere che, non essendo contrastanti, sono attendibili.
Nel caso di specie pertanto la Corte, per giungere ad un giudizio di attendibilita’ del testimone (OMISSIS), avrebbe dovuto prendere in esame tutti gli elementi indiziari sopra indicati, e spiegare perche’ essi non infirmavano la credibilita’ delle sue deposizioni.
2.4.2. Il secondo vizio logico in cui incorre la motivazione della sentenza e’ la violazione del canone logico della negazione.
Come noto, dati due enunciati A e B , essi si dicono legati dal rapporto di negazione logica se A e’ falso quando B sia vero, e viceversa.
La Corte d’appello a p. 6, quinto capoverso, della propria motivazione, ammette che la testimone (OMISSIS) non fu in grado di ravvisare nella persona dell’altro testimone (OMISSIS) una persona presente sul luogo dell’accaduto. Soggiunge, pero’, che non vi sono elementi per escludere che quest’ultimo fosse effettivamente presente sul posto.
La Corte d’appello pertanto, muovendo dalla assenza di elementi che escludano la presenza del testimone , giunge alla conclusione che quegli doveva essere presente.
Tuttavia, quando manchi la prova d’un fatto, esso non puo’ dirsi ne’ vero, ne’ falso, poiche’ la mancanza di prove contrarie dell’esistenza d’un fatto, e l’esistenza di questo, non sono concetti tra loro legati da un nesso logico di negazione.
Se dunque la Corte non disponeva di elementi che escludessero la presenza del testimone sul posto, come essa stessa ammette, da questo fatto non poteva trarre a fil di logica alcuna deduzione: ne’ sulla presenza del testimone, ne’ sulla sua assenza.
2.4.3. Il terzo vizio logico in cui incorre la motivazione della sentenza e’ la violazione del canone logico della implicazione.
A pag. 6, sesto capoverso della motivazione, la Corte d’appello ha nella sostanza ritenuto rilevante ai fini del decidere la circostanza che la testimone (OMISSIS), che pure aveva dichiarato di non ricordare il coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro, soggiunse di non poterlo escludere .
E tale affermazione sarebbe rilevante, secondo la Corte d’appello, perche’ la testimone, tutta concentrata a seguire il grave evento che si stava svolgendo dinanzi a se’, non presto’ attenzione alla presenza di altri mezzi.
Or bene, la regola argomentativa della implicazione (di cui e’ espressione l’articolo 2727 c.c.) impone che, quando si desuma un fatto ignorato da un fatto noto, il secondo deve costituire una conseguenza normale del primo, secondo l’id quod plerumque accidit.
Nel nostro caso la Corte d’appello, al cospetto d’un testimone che ha dichiarato non ricordo, ma non posso escluderlo ha del tutto azzerato la valenza della prima dichiarazione, ed esaltato la seconda: pretendendo di muovere dal fatto noto che il testimone non escluse la presenza di altro mezzo, per giungere al fatto ignorato che quell’altro mezzo effettivamente esistesse.
In questo modo una affermazione chiara e netta ( non ho visto altri mezzi ) e’ stata di fatto espunta dal materiale probatorio; ed una affermazione del tutto insignificante ( non posso escludere che ci fossero ) e’ stata elevata a rango di prova decisiva.
2.5. La sentenza deve dunque essere cassata sul punto e rinviata alla Corte d’appello di Potenza, la quale nel riesaminare le prove raccolte ai fini della ricostruzione dell’accaduto e nel motivare la propria decisione:
(a) terra’ conto di tutti gli elementi anche indiziari disponibili, ed in primo luogo della inspiegabile comparsa del testimone (OMISSIS) a distanza di oltre due anni dal sinistro;
(b) motivera’ la propria decisione applicando la regola logica della negazione, in virtu’ della quale la mancanza di elementi che escludano il coinvolgimento di un altro mezzo non e’ da sola sufficiente a ritenerlo provato;
(c) motivera’ la propria decisione senza capovolgere il senso della deposizione della testimone (OMISSIS), e tenendo per fermo che l’affermazione non posso escludere che dal punto di vista della logica deduttiva non e’ ne’ prova dell’esistenza di un fatto, ne’ prova della sua inesistenza.
3. Il secondo motivo di ricorso.
3.1. Anche col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Nel motivo, ad onta della sua intitolazione, la ricorrente svolge censure eterogenee.
Sotto un primo profilo, lamenta di essere stata condannata al risarcimento del danno in favore delle vittime del sinistro in misura eccedente il massimale, sul presupposto d’un colpevole ritardo nell’adempimento della propria obbligazione. Soggiunge tuttavia che la motivazione adottata al riguardo dalla Corte d’appella sarebbe insufficiente: la condanna, infatti, e’ avvenuta sul presupposto che l’impresa designata, per effetto della ricezione della richiesta scritta di risarcimento da parte delle vittime, fu messa in condizione di determinarsi ai fini della liquidazione dell’indennizzo . Di tale motivazione si invoca la illogicita’.
Sotto un secondo profilo, l’ (OMISSIS) lamenta di essere stata condannata al risarcimento in misura eccedente il massimale catastrofale fissato dalla legge: e dunque prospetta un vizio di violazione di legge.
3.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione in merito all’accertamento della sussistenza d’una mora colpevole in capo all’assicuratore, il ricorso e’ fondato.
La Corte d’appello ha condannato la (OMISSIS) a risarcire per intero agli attori i danni dalla stessa Corte accertati, senza alcun riguardo al limite del massimale.
Cio’ ha fatto sul presupposto che la (OMISSIS) fosse incorsa in mora colpevole (usualmente definita mala gestio impropria ) nell’adempimento della propria obbligazione.
E la mora colpevole sarebbe ricorrente, secondo la Corte d’appello, perche’ con la lettera di messa in mora fu descritta la dinamica del sinistro e la compagnia assicuratrice fu messa in condizione di determinarsi ai fini della liquidazione dell’indennizzo .
Tale affermazione e’ illogica e contraddittoria.
3.4. L’impresa designata, cosi’ come l’assicuratore della r.c.a., e’ costituito in mora ipso facto alla scadenza dello spatium deliberandi previsto, all’epoca dei fatti, dalla Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 22, ed oggi dall’articolo 148 cod. ass.. La mora del debitore, in ossequio ad un principio secolare (la mora culpata del diritto romano classico), nel nostro ordinamento si presume sempre colpevole.
Nel caso di specie, pertanto, era onere della impresa designata dimostrare che il ritardato adempimento della propria obbligazione non fosse dovuto a propria negligenza.
Or bene, nel ritenere che la (OMISSIS) non avesse fornito tale prova la Corte d’appello di Potenza ha adottato una motivazione per un verso contraddittoria, e per altro verso illogica.
3.4.1. La motivazione e’ contraddittoria perche’, mentre a pag. 15, punto (13), della motivazione, si afferma che l’ (OMISSIS) era in mora colpevole perche’ sin da quando ricevette la richiesta risarcitoria stragiudiziale dei danneggiati fu posta in condizione di liquidare l’indennizzo, alle precedenti pagine 7-9 la sentenza si sofferma a spiegare che il risarcimento spettante alla vittima deve essere contenuto nei limiti del massimale; si dilunga a determinare quale fosse la misura del massimale all’epoca dei fatti; e conclude affermando che la somma da liquidarsi per ciascuna persona danneggiata (salvi gli effetti della mala gestio impropria) non puo’ essere superiore a lire ecc. .
Ci troviamo dunque dinanzi al caso d’un giudice il quale da un lato afferma che la condanna va contenuta nei limiti del massimale, e dall’altro condanna l’assicuratore oltre il massimale.
La contraddizione non e’ sanata dalla proposizione incidentale salvi gli effetti della mala gestio impropria , perche’ l’ (OMISSIS) come accennato e’ stata condannata al risarcimento integrale dei danni accertati, come se il massimale non esistesse. Se dunque gli effetti della mala gestio impropria che la Corte d’appello intendeva far salvi dovevano essere quelli di annullare del tutto il limite del massimale, non si comprende perche’ mai la sentenza impugnata abbia ritenuto di soffermarsi cosi’ a lungo a determinare la misura di quest’ultimo.
3.4.2. Ben piu’ grave e’ il vizio logico della motivazione.
Secondo la Corte d’appello, la (OMISSIS) s.p.a. sarebbe incorsa in mora colpevole per avere rifiutato di risarcire le (pretese) vittime del sinistro stradale, nonostante queste ultime le avessero inviato una richiesta scritta di risarcimento contenente la descrizione della dinamica del sinistro.
E’ una tesi sorprendente.
Lo e’ sia in astratto ed in generale, che con riferimento alle specificita’ del caso concreto.
In linea generale, la richiesta scritta inviata dalla vittima d’un sinistro stradale all’assicuratore del responsabile (ovvero all’impresa designata) non e’ che una prospettazione di parte. L’assicuratore non puo’ ne’ deve recepirla acriticamente, ma deve vagliarla alla luce degli altri elementi di cui dispone.
Accogliere una richiesta risarcitoria destituita di fondatezza giuridica o non corredata da prove sufficienti esporrebbe l’assicuratore della r.c.a. a responsabilita’ contrattuale nei confronti del proprio assicurato, per essersi reso inadempiente al patto di gestione della lite ed avere determinato cosi’ la lievitazione del premio per effetto della formula tariffaria bonus/malus.
La situazione non cambia quando debitrice sia l’impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada: anche in questo caso l’accoglimento di pretese infondate od indimostrate esporrebbe l’impresa designata alle contestazioni della (OMISSIS) s.p.a. in sede di rivalsa.
Dunque sostenere, come ha fatto la Corte d’appello, che l’impresa designata sia tenuta al pagamento dell’indennizzo per il solo fatto di avere ricevuto una richiesta risarcitoria e’ affermazione manifestamente illogica, perche’ grava il debitore d’una condotta che lo esporrebbe a responsabilita’.
Ancor piu’ illogica e’ la motivazione adottata dalla sentenza impugnata, se ragguagliata alle circostanze del caso specifico. La (OMISSIS) s.p.a. venne infatti investita da una richiesta di risarcimento proposta da persone che sostenevano essere stata causata la morte di (OMISSIS) da un imprudente conducente rimasto sconosciuto.
Cionondimeno l’impresa assicuratrice, a quel momento, disponeva ovvero poteva disporre se si fosse attivata con l’ordinaria diligenza:
-) d’un rapporto della Polizia nel quale non si faceva cenno al coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro;
-) d’una informativa dei Carabinieri con lo stesso contenuto;
-) d’un provvedimento di archiviazione della notitia criminis per mancanza degli elementi costitutivi del reato;
-) di sommarie informazioni testimoniali, allegate al rapporto della polizia, dalle quali non risultava il coinvolgimento di altri mezzi nel sinistro.
L’ (OMISSIS) ebbe dunque dinanzi a se’, da un iato, la versione dei fatti prospettata dalle vittime, e dall’altro gli atti dell’autorita’ di polizia, di quella inquirente e di quella giudiziaria. Non e’ dubitabile quale delle due fosse da seguire.
La Corte d’appello di Potenza pertanto, ritenendo colposa la condotta d’un debitore che non fece altro che adottare le stesse determinazioni cui era pervenuta l’autorita’ giudiziaria, ha adottato una manifestazione manifestamente irrazionale, per avere svilito gli atti pubblici, ed elevato a rango di verita’ di fede quelli privati provenienti dalle vittime.
4. Il terzo motivo di ricorso.
4.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assumono violati gli articoli 2054 e 2055 c.c..
Espone, al riguardo, di essere stata condannata a risarcire agli attori il danno integrale da questi subito per la morte del loro congiunto, nonostante la vittima del sinistro, (OMISSIS), fosse stata ritenuta corresponsabile del sinistro nella misura del 50%.
Sostiene invece la ricorrente che il risarcimento spettante alla moglie ed ai figli della vittima si sarebbe dovuto ridurre in misura pari all’apporto causale fornita all’evento dalla vittima primaria.
4.2. Per quanto ovvio, e’ opportuno chiarire come il motivo di ricorso in esame non e’ assorbito dall’accoglimento dei precedenti, vertendo quelli sull’an debeatur e questo sul quantum debeatur: pertanto la cassazione con rinvio della sentenza d’appello nella parte in cui ha ricostruito la dinamica del sinistro non travolge le determinazioni della Corte d’appello sulla misura del danno risarcibile, le quali se non impugnate vincolerebbero il giudice dei rinvio, nel caso in questi, emendando la motivazione della sentenza cassata, pervenisse nondimeno alle medesime conclusioni di questa.
4.3. Nel merito, il motivo e’ fondato.
4.3.1. Elemento fondamentale della responsabilita’ civile e’ il nesso di causa: tanto quello cd. materiale tra condotta ed evento (articolo 40 c.p.); quanto quello cd. giuridico tra evento e conseguenze (articolo 1223 c.c.).
La mancanza del nesso di causa esclude la responsabilita’ dell’agente e rende superfluo l’accertamento di una sua eventuale condotta colposa.
Il nesso di causa tra condotta colposa e danno e’ escluso dal caso fortuito, tradizionalmente identificato nelle tre categorie della forza maggiore, del fatto del terzo e del fatto della stessa vittima.
Ricorrendo una di queste tre ipotesi, quindi, non sorge alcuna responsabilita’ a carico dell’autore materiale del danno.
4.3.2. Il fatto colposo della vittima e’ espressamente disciplinato dall’articolo 1227 c.c., comma 1, il quale stabilisce che se il fatto colposo dei creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento e’ diminuito secondo la gravita’ della colpa e l’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate .
E’ orientamento consolidato di questa Corte, condiviso dalla prevalente dottrina, che l’articolo 1227 c.c., comma 1, sia una norma che disciplina la causalita’ tra condotta e danno, fissando un limite al principio della condicio sine qua non (la materia e’ stata affrontata funditus nella sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 17152 del 03/12/2002, Rv. 558933; nello stesso senso, tra le tante, da Sez. 3, Sentenza n. 15375 del 13/07/2011, Rv. 618633; Sez. 3, Sentenza n. 4476 del 24/02/2011, Rv. 616827; Sez. 3, Sentenza n. 11227 del 08/05/2008, Rv. 603077; Sez. 3, Sentenza n. 2868 del 26/02/2003, Rv. 560708; Sez. 3, Sentenza n. 10641 del 20/07/2002, Rv. 556028; Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002, Rv. 551508).
Il concorso colposo della vittima esclude pertanto il nesso di causa tra la condotta ed il danno. Mancando il nesso di causa, viene a mancare la concepibilita’ stessa d’una responsabilita’ purchessia in capo all’offensore. Responsabilita’ che manchera’ del tutto, se la condotta della vittima ha avuto efficacia causale assorbente; o in misura proporzionale all’apporto causale di questa, se la condotta della vittima ha avuto efficacia causale concorrente.
4.3.3. La regola fissata dall’articolo 1227 c.c., comma 1, trova applicazione anche nel caso in cui la vittima del danno abbia, con la propria condotta colposa, concausato la propria morte.
Anche in questo caso il responsabile non potra’ essere chiamato a rispondere integralmente del danno patito dai congiunti della vittima, per la semplice ragione che dove vi e’ colpa della vittima manca il nesso di causa tra azione e danno, e dove manca questo non sorge responsabilita’.
Questa conclusione e’ l’unica consentita dalla lettera dell’articolo 1227 c.c.; ed e’ corroborata dall’interpretazione storica e da quella comparatistica.
4.3.4. Dal punto di vista letterale, infatti, l’articolo 1227 c.c., comma 1, espressamente prevede che il risarcimento debba essere ridotto secondo l’entita’ delle conseguenze che (…) sono derivate dalla condotta della vittima. Cio’ rende manifesto che i danni causati dalla vittima a se stessa non sono considerati dalla legge una conseguenza della condotta dell’offensore, e non possono essergli ascritti.
4.3.5. Dal punto di vista storico, l’opinione dottrinaria secondo cui il concorso di colpa della vittima esclude la risarcibilita’ sia dei danni patiti da questa direttamente, sia dei danni patiti dai suoi congiunti in caso di decesso, ha una tradizione secolare.
Essa venne elaborata gia’ dai Commentatori e della Giurisprudenza Colta del 16 sec., sulla base del noto passo di (OMISSIS) Quis ex culpa sua damnum sentit, non intelligitur damnum sentire (Dig., L, 17 , 203), e condiviso dal Cujacio (Opera Omnia, 8, 887, p. 203) e dal Grozio (omnes ita teneri, si vere causa fuerint damni, id est momentum attulerint aut ad totum damnum, aut ad partem damni: cosi’ in De jure belli ac pacis, 2, 17, 10).
Tale principio resto’ fermo anche dopo l’eta’ delle codificazioni: e sebbene non espressamente previsto dalla legge, era affermato gia’ dalla giurisprudenza formatasi su codice del 1865 (ex aliis, Cass. Torino 26.6.1874, in Raccolta, 26, 1, 656), la quale lo aveva mutuato dalla giurisprudenza d’Oltralpe formatasi sul Code Napoleon (ex aliis, App. Parigi, 19.1.1867, in Dalloz, 1867, 5, 370; App. Liegi, 17.12.1864, in Pasicrisie, 1867, 2, 371).
Sempre il medesimo principio e’ oggi pacifico, risalente e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha reiterata mente affermato che i familiari di chi per colpa concausi la propria morte hanno diritto al risarcimento nella misura decurtata dal concorso di colpa della vittima, anche quando agiscano jure proprio : in tal senso si vedano Sez. 3, Sentenza n. 849 del 20/03/1959 (non massimata); Sez. 3, Sentenza n. 2223 del 07/08/1963, Rv. 263405; Sez. 3, Sentenza n. 430 del 18/02/1971, Rv. 350030; Sez. 3, Sentenza n. 3780 del 30/12/1971, Rv. 355616; Sez. 3, Sentenza n. 10271 del 29/09/1995, Rv. 494135; Sez. 3, Sentenza n. 11137 del 06/10/1999, Rv. 530501; Sez. 3, Sentenza n. 2704 del 10/02/2005, Rv. 580012; Sez. 3, Sentenza n. 18177 del 28/08/2007, Rv. 598971; Sez. 3, Sentenza n. 11698 del 26/05/2014, Rv. 631111, avente ad oggetto proprio un caso di infortunio mortale; nonche’, indirettamente, Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010, Rv. 612764. Esiste dunque una millenaria ed ininterrotta tradizione giuridica che, se pur con accenti diversi, ha sempre negato ai congiunti della persona deceduta anche per causa propria l’integrale diritto al risarcimento: e da questa tradizione non si vedono motivi per allontanarsi.
4.3.5. Dal punto di vista comparatistico, infine, e’ significativo rilevare che in tutti gli ordinamenti giuridici avanzati e’ applicata la regola che esclude il risarcimento integrale del danno da morte, quando la persona deceduta abbia concausato per colpa la propria morte.
Questo principio e’ pacifico nei Paesi di Common law, ove e’ noto come regola della contributory negligence. Tale regola e’ espressamente prevista – ad esempio – in tutte le Standard jury instructions che le Corti dei singoli Stati nordamericani impartiscono alle giurie, ove si leggono formule del tipo if you find that (decedent) was negligent in any degree, the court in entering judgment will reduce the total amount of damages by the percentage of negligence which you find was caused by (decedent) (cosi’, testualmente, il 502.5 delle standard jury instructions for civil cases della Corte Suprema della Florida, ovvero se accertate che la vittima fu in qualsiasi modo negligente, nel pronunciare la propria decisione la Corte ridurra’ l’ammontare del risarcimento delle percentuale di colpa imputabile alla vittima ; formula analoga si legge nel p. 407 delle California Civil Jury Instructions , rubricato giustappunto Comparative Fault of Decedent ).
Anche in Spagna, e proprio in materia di sinistri stradali, l’articolo 1.1.4 del Real Decreto Legislativo n. 8 del 2004, del 29.10.2004 prevede espressamente che nel caso di concorso di negligenza del conducente e del danneggiato, si procedera’ alla riduzione del risarcimento secondo la rispettiva entita’ delle colpe concorrenti .
Non fa eccezione a questa regola la Francia: tanto e’ vero che, per potervi derogare, e soltanto in materia di sinistri stradali, si e’ dovuto introdurre una norma ad hoc, la Legge n. 677 del 1985, articolo 3 (cd. Loi Badinter). Deroga, comunque, non assoluta, dal momento che l’inopponibilita’ alla vittima del suo concorso colposo nella causazione del danno e’ prevista solo per le vittime diverse dal conducente; solo per la colpa concorrente e non per quella esclusiva; solo per i danni alla persona e non per quelli patrimoniali (articolo 5), e soprattutto – quel che qui rileva – solo per i danni diretti, non per quelli di rimbalzo , come appunto nel caso di danno lamentato dai congiunti del conducente deceduto (articolo 6 l. cit.).
E la Corte di cassazione francese, quando non debbano essere applicate le suddette norme speciali, non ha mai dubitato che in caso di danno da morte concausato dalla colpa sia di un terzo che della vittima, il responsabile non puo’ essere condannato al risarcimento integrale del danno che i parenti della vittima subiscono di rimbalzo (cosi’ la Cour de cassation, Arret 25.2.2004, in Recueil General, 2005, n. 14.013).
4.5. Deve dunque concludersi che la lettera della legge, la tradizione storica e la comparazione giuridica depongono nel senso che il concorso di colpa di persona deceduta per colpa anche altrui sia opponibile ai prossimi congiunti della vittima, anche quando pretendano il risarcimento del danno jure proprio.
4.6. La Corte d’appello di Potenza non ha ritenuto di uniformarsi a questo tradizionale orientamento. Nella sentenza impugnata la motivazione di questo dissenso si compendia unicamente nel richiamo ad un precedente di questa Corte, ovvero la decisione pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 4795 del 01/03/2007, Rv. 596663.
Quella decisione tuttavia non costituisce un precedente contrario all’orientamento tradizionale.
Nel caso deciso da Cass. 4795/07, cit., a seguito dello scontro di due veicoli mori’ il proprietario di uno di essi, che al momento del fatto viaggiava pero’ come trasportato.
I congiunti della vittima convennero in giudizio unicamente il proprietario e l’assicuratore della r.c.a. del veicolo antagonista. Quest’ultimo, condannato a pagare l’intero nelle fasi di merito, ricorse per cassazione assumendo che gli attori, quali successori del proprietario corresponsabile e quindi quali soggetti a loro volta corresponsabili . Nel ricorso, dunque, si invocava nella sostanza l’estinzione per confusione dell’obbligazione risarcitoria, per essersi cumulata nelle persone degli attori la qualita’ di danneggiati ed eredi del proprietario responsabile.
E’ stato soltanto con riguardo a questa prospettazione che Cass. 4795/07 ha ritenuto il ricorso infondato, sul presupposto che nei gradi di merito non si era mai contestato ne’ discusso se gli attori avessero agito nella qualita’ di eredi.
Tale decisione, massimata purtroppo in modo non impeccabile, ed evidentemente recepita dalla Corte d’appello di Potenza solo nella massima, non ha dunque affatto affermato che la colpa della vittima d’un sinistro stradale, in caso di sua morte, sia inopponibile ai prossimi congiunti che domandano il risarcimento.
4.7. Amor di completezza induce ad aggiungere che la tesi adottata dalla Corte d’appello di Potenza, oltre che contrastante con l’orientamento consolidato di questa Corte, appare comunque insostenibile: sia per la debolezza dei presupposti teorici su cui poggia, sia per le aberranti conseguenze cui condurrebbe.
4.7.1. Quanto ai presupposti, quella minoritaria dottrina la quale ritiene inopponibile ai congiunti di persona deceduta il concorso di colpa di quest’ultima, ragiona pressappoco cosi’:
(a) i congiunti della vittima sono terzi rispetto sia al responsabile, sia alla vittima;
(b) in quanto tali, ad essi non e’ applicabile l’articolo 1227 c.c., perche’ non hanno avuto alcuna colpa nella causazione dell’evento;
(c) al caso di specie deve dunque applicarsi l’articolo 2055 c.c.: con la conseguenza che il responsabile, in quanto coautore dell’evento dannoso, dovra’ rispondere per l’intero, secondo la previsione della norma appena citata.
Questo ragionamento tuttavia non convince.
L’articolo 2055 c.c. trova applicazione quando piu’ persone tengano una condotta illecita: cioe’ quando tutti i coautori del danno hanno agito con colpa e violato un diritto altrui.
La vittima d’un illecito che per colpa concausa la propria morte non tiene una condotta illecita, ne’ lede i diritti di chicchessia. A ritenere il contrario, bisognerebbe supporre che i congiunti del deceduto vantino un diritto soggettivo alla permanenza in vita della vittima: il che e’ evidentemente assurdo.
Se dunque chi, per colpa, concorre a provocare la propria morte non lede i diritti di nessuno, egli non potra’ nemmeno essere ritenuto corresponsabile insieme al terzo che sempre per colpa abbia cooperato all’evento dannoso. Di conseguenza, se manca la concepibilita’ stessa d’una corresponsabilita’ e dunque d’una obbligazione solidale, l’applicabilita’ dell’articolo 2055 c.c. e’ fuori gioco.
4.7.2. Oltre che malferma nei suoi presupposti teorici, la tesi che ritiene inopponibile ai congiunti della vittima il concorso di colpa di quest’ultima nel causa la propria morte e’ insostenibile per gli inaccettabili risultati pratici cui condurrebbe.
Se fosse, vera, infatti, ne seguirebbe che:
(a) il coautore del danno, risarcito il danno per intero nelle mani dei congiunti della vittima, avrebbe il diritto di regresso ex articolo 2055 c.c., comma 2, nei confronti di quelli tra i danneggiati che fossero anche eredi della vittima, sicche’ il risarcimento si ridurrebbe ad una partita di giro;
(b) se si negasse il regresso al coautore del danno, per evitare la irrazionale conseguenza di cui si e’ appena detto, si perverrebbe alla altrettanto inaccettabile conseguenza di scindere l’articolo 2055 c.c., e di applicarlo nella parte in cui prevede la responsabilita’ solidale, e disapplicarlo nella parte in cui prevede il regresso, in spregio dei piu’ elementari canoni interpretativi;
(c) equiparare chi per colpa concausi la propria morte ad un comune corresponsabile ex articolo 2055 c.c. condurrebbe all’assurdita’ di dovere ammettere che l’avente diritto al risarcimento che non sia erede (ad es., il convivente more uxorio ovvero il fratello di chi, morendo, lasci moglie e figli) in caso di insolvenza del terzo corresponsabile potrebbe rivolgersi agli eredi della vittima, quali successori nel debito sorto in capo al defunto per effetto dell’uccisione di stesso;
(d) sostenere che uccidere se stessi sia un fatto illecito condurrebbe ad ammettere che il congiunto non erede possa domandare al congiunto erede il risarcimento del danno anche nei caso di suicidio della vittima, posto che la responsabilita’ civile sorge tanto dai fatti colposi, quanto da quelli dolosi.
La evidente inaccettabilita’ di tali conclusioni rende evidente la insostenibilita’ della premessa da cui muovono, ovvero che chi concausa, insieme alla vittima, la morte d’una persona debba risarcire il danno dei congiunti per intero, in applicazione dell’articolo 2055 c.c..
4.8. La regola secondo cui il concorso di colpa della vittima, nel caso di sua morte, e’ opponibile ai congiunti di questa, e’ pienamente operante anche nella materia dell’assicurazione obbligatoria della responsabilita’ civile. Essa infatti non solo non collide col diritto comunitario, ma anzi e’ sottratta alla disciplina di esso.
Lo ha ripetutamente stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea (da ultimo con le sentenze pronunciate da Corte giustizia CE, sez. 3, 9 giugno 2011, Lavrador, in causa C-409/09, e da Corte giustizia CE, sez. 2, 17 marzo 2011, Carvalho Ferreira Santos, in causa C-484/09). In queste due decisioni la Corte di Lussemburgo era stata chiamata a stabilire se fossero compatibili col diritto comunitario le norme di diritto nazionale le quali:
(a) escludano in tutto od in parte il diritto al risarcimento del danno da sinistri stradali in conseguenza del concorso colposo della vittima;
(b) ripartiscano in via presuntiva la colpa di un sinistro stradale, quando non sia possibile ricostruirne la dinamica, limitando conseguentemente il diritto al risarcimento del danno vantato dalla vittima.
E ad ambedue i quesiti e’ stata data risposta affermativa.
Per pervenire a questa conclusione i giudici di Lussemburgo hanno affermato che l’obbligo di copertura, da parte dell’assicurazione della responsabilita’ civile, dei danni causati da autoveicoli a soggetti terzi costituisce un aspetto distinto rispetto a quello dell’ampiezza del risarcimento a favore di tali terzi a titolo della responsabilita’ civile dell’assicurato. Solo il primo e’ definito e garantito dalla normativa dell’Unione, mentre la seconda e’ sostanzialmente disciplinata dal diritto nazionale.
Pertanto, quando il diritto interno di uno Stato membro detta regole in materia di responsabilita’ civile, le quali limitino o escludano il diritto al risarcimento della vittima di un sinistro stradale, tali norme riguardano un aspetto non disciplinato dal diritto comunitario.
4.9. Per tutte le ragioni sopra esposte, deve dunque concludersi affermando il seguente principio di diritto, al quale la Corte d’appello si atterra’ in sede di rinvio:
Il risarcimento del danno (patrimoniale e non) patito jure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla stessa vittima.
5. Le spese.
Le spese del giudizio di’ legittimita’ e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e di quelle dei gradi di merito.
-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e di quelle dei gradi di merito.
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