Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 5 gennaio 2018, n. 169. Revocabile di diritto il testamento del defunto che lascia i suoi averi alla moglie ai figli riconosciuti e ai nipoti ignorando la figlia che sapeva di avere ma che non aveva mai voluto riconoscere.

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La prima tesi, chiaramente di matrice volontaristica, si e’ poi sviluppata in due varianti, in quanto accanto a chi ha sostenuto che il legislatore avrebbe inteso tutelare la volonta’ di chi, ignaro dell’esistenza, o non avendo previsto la sopravvenienza di figli, si sia determinato a testare in favore di soggetti che non sono ne’ figli ne’ discendenti, vi e’ invece chi ha affermato che il legislatore (piu’ genericamente) avrebbe inteso tutelare la volonta’ di chi, ignaro dell’esistenza, o non avendo previsto la sopravvenienza di figli, si sia determinato a testare in modo diverso da quanto avrebbe altrimenti fatto.
La valutazione della tutela della volonta’ del donante deve ritenersi che costituisca effettivamente il fondamento della revocazione della donazione per sopravvenienza di figli di cui all’articolo 803 c.c., in tema di donazioni, come peraltro di recente affermato da Cass. n. 5345/2017, che ha appunto ribadito che la revocazione della donazione per sopravvenienza di figli o discendenti, rispondendo all’esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunita’ dell’attribuzione liberale a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio, ovvero della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza, in funzione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione che derivano da tale evento, e’ preclusa ove il donante avesse consapevolezza, alla data dell’atto di liberalita’, dell’esistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo. Ne’ tale previsione contrasta con gli articoli 3, 30 e 31 Cost., non determinando alcuna ingiustificata disparita’ di trattamento o lesione del diritto dei figli sopravvenuti, i quali sono tutelati solo in via mediata ed indiretta, in quanto l’interesse tutelato dalla norma e’ quello di consentire al genitore di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli, sicche’ e’ proprio l’assenza in assoluto di discendenti al momento della donazione che legittima la revocazione, al fine di assicurare rilevanza giuridica ad un intimo e profondo sentire dell’essere umano, che puo’ non essere stato valutato adeguatamente dal donante che non abbia ancora avuto figli, diversamente da quello che, avendo gia’ provato il sentimento di amore filiale, si e’ comunque determinato a beneficiare il donatario, benche’ conscio degli oneri scaturenti dalla condizione genitoriale.
In tal caso si e’ appunto rilevato che l’esigenza di approntare tutela al donante si pone, in quanto con l’instaurazione di un nuovo rapporto di filiazione sorgono in capo al genitore donante nuovi doveri di mantenimento, istruzione ed educazione per il cui adempimento egli deve poter disporre di mezzi adeguati. Proprio a tal fine il legislatore consente al donante di valutare se per la sopravvenienza di figli e per l’adempimento dei menzionati doveri sia necessario recuperare le precedenti attribuzioni patrimoniali. In sostanza l’interesse tutelato dal legislatore attraverso l’istituto della revocazione della donazione per sopravvenienza di figli e’ quello di consentire al genitore donante di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli.
La norma si spiega per la complessita’ della psiche umana, presumendo il legislatore che il donante non puo’ avere valutato adeguatamente l’interesse alla cura filiale, allorquando non abbia ancora figli, e quando quindi non ha ancora provato il sentimento di amor filiale con la dedizione che esso determina ed il superamento che esso provoca di ogni altro affetto.
E’ quindi evidente che, nell’ottica privilegiata dal legislatore, finalizzata ad assicurare rilevanza giuridica a quella che viene ritenuta essere una innata connotazione della psiche umana, la preesistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo alla data della donazione, escluda il fondamento applicativo della previsione, dovendosi infatti ritenere che l’atto di liberalita’ sia stato compiuto da chi gia’ aveva avuto modo di provare l’affetto filiale, e che quindi si e’ determinato a beneficiare il donatario pur nella consapevolezza degli oneri scaturenti dalla condizione genitoriale.
6.2 Diversa appare invece la tesi di altra parte della dottrina che invece propende per un’individuazione della ratio della previsione in chiave oggettiva, identificabile nella modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni.
A tale opinione ha peraltro aderito anche la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, come peraltro segnalato anche dalla sentenza di appello, sebbene poi manifesti espresso dissenso da tale opinione.
In particolare si segnala, per essere stata la prima occasione in cui questa Corte ha optato per una lettura della previsione normativa in chiave oggettiva, Cass. n. 1935 del 1996 (cui successivamente ha fatto seguito in chiave adesiva anche Cass. n. 5037/2011, in tal senso non potendosi condividere quanto riferito dai giudici di appello circa il carattere isolato del precedente a favore della tesi oggettiva).
La vicenda decisa dalla Corte concerneva appunto un’ipotesi in cui la sopravvenienza dello stato di figlio era conseguente ad un accertamento giudiziale della paternita’, e nella quale del pari si adduceva come argomento contrario all’applicazione della norma, la circostanza che l’acquisto della qualita’ di figlio era avvenuto in contrasto con la volonta’ del testatore, elemento questo che avrebbe invece giocato un ruolo non irrilevante nella prospettiva volontaristica del fondamento della norma.
La Corte in tale occasione, ancorche’ abbia rilevato che l’interpretazione della espressione “riconoscimento di un figlio naturale”, di cui all’articolo 687 c.c., comma 1, non possa essere dilatata fino a ricomprendervi la dichiarazione giudiziale di paternita’ o maternita’, non potendo la revoca del testamento a seguito del verificarsi di tale evento essere ricollegata ad un’applicazione diretta della norma in questione, ha pero’ fatto leva sulla previsione di cui all’articolo 277 c.c., comma 1, la quale stabilisce che la sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti di un riconoscimento. Inoltre ha escluso che l’ampia formulazione della norma in questione potesse essere contrastata con l’argomento costituito dalla ratio sottesa alla disposizione di cui all’articolo 687 c.c., osservandosi che la revoca del testamento ex articolo 687 c.c., comma 1, non sia sempre ricollegabile alla presunzione che la volonta’ del testatore si sarebbe formata diversamente se egli, al tempo del testamento, avesse conosciuto la reale situazione. In tal direzione si e’ valorizzato l’argomento secondo cui la norma in questione opera, ad esempio, anche quando tra la sopravvenienza di un figlio legittimo, la conoscenza della sua esistenza, il riconoscimento di un figlio naturale da un lato, e la morte del testatore, dall’altro, intercorra un notevole lasso di tempo; in tal caso non solo non sembra corretto invocare la presunzione di una diversa volonta’ del testatore, se questi al tempo del testamento avesse conosciuto la reale situazione, ma, anzi, si potrebbe parlare di una manifestazione tacita di volonta’ di confermare il testamento.
Ha poi aggiunto che la revoca del testamento e’ ricollegabile anche alla sopravvenienza di un figlio postumo; anche in tal caso sembra difficile invocare la presunzione di una diversa volonta’ del testatore, in quanto l’evento che avrebbe giustificato una modifica del testamento viene ad esistenza quando tale modifica non e’ piu’ possibile.

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