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Con specifico riferimento alle norme di interpretazione autentica, si e anche puntualizzato che un intervento legislativo di tale tipo non puo’ dirsi costituzionalmente illegittimo “qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato gia’ in essa contenuto e quindi riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario” (ex plurimis: sentenze n. 156 del 2014; n. 271 e n. 257 del 2011; n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In questo caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo”, in ragione di “un dibattito giurisprudenziale irrisolto” (sentenza n. 311 del 2009), o di “ristabilire un’interpretazione piu’ aderente alla originaria volonta’ del legislatore” (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioe’ di “principi di preminente interesse costituzionale”.
Tale giurisprudenza e’ stata confermata in successive pronunce della Corte costituzionale, fra le quali la sentenza n. 150 del 2015 che ha statuito che la norma censurata “avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potesta’ di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potesta’ deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (sentenze n. 132 del 2016 e n. 209 del 2010)”.
27. Pertanto, e’ evidente che, nella specie, ricorrano tutti gli elementi in base ai quali la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le norme retroattive, salva restando la consolidata giurisprudenza costituzionale relativa alla irrilevanza della qualificazione o autoqualificazione in termini di norma interpretativa, innovativa, di sanatoria etc. di una norma destinata a disciplinare situazioni pregresse.
Infatti, e’ innegabile che: 1) la tesi della disposta attribuzione alla norma interpretata di un significato non compatibile con il suo tenore letterale, non e’ condivisibile perche’ basata su una esegesi dell’espressione “anche se.. ” contenuta nell’articolo 51, comma 6, TUIR che non trova riscontro nella relativa interpretazione letterale, storica, logico-sistematica e teleologica; 2) anche nella L. n. 153 del 1969, articolo 12 si faceva riferimento alla diaria o all’indennita’ di trasferta “in cifra fissa” e, d’altra parte, ne’ nell’articolo 12 cit. ne’ nell’articolo 7-quinquies si stabilisce che la corresponsione deve anche essere continuativa; 3) in considerazione del mancato adeguamento delle Amministrazioni del settore e della complessiva giurisprudenza di merito all’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ inaugurato dalla sentenza n. 396 del 2012 si era venuta a creare una “situazione di oggettiva incertezza del dato normativo”, determinata da “un dibattito giurisprudenziale irrisolto”; 4) con l’articolo 7-quinquies cit. e’ stata “ristabilita un’interpretazione piu’ aderente alla originaria volonta’ del legislatore”, che, con l’inciso “anche se…”, aveva manifestato l’intenzione di ampliare e non di restringere l’ambito di applicabilita’ del regime contributivo piu’ favorevole.
Ne deriva che il suddetto intervento legislativo risulta conforme ai principi costituzionali della ragionevolezza e della tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, cioe’ a “principi di preminente interesse costituzionale”.
28. Neppure potrebbe ipotizzarsi un eventuale contrasto dell’articolo 7-quinquies in oggetto con l’articolo 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone al legislatore di conformarsi ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, per il mancato rispetto del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo, consacrati nell’articolo 6 della CEDU, sotto il profilo secondo cui tali principi sarebbero stati incisi dalla norma retroattiva censurata, che sarebbe idonea a condizionare le situazioni processuali in corso.
Infatti, per la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e’ precluso al legislatore di interferire nella determinazione giudiziaria di una controversia, tranne il caso in cui ricorrano “impellenti motivi di interesse generale” (sentenza 14 febbraio 2012, Arras ed altri contro Italia; sentenza 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia; sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia; sentenza 10 giugno 2008 Bortesi ed altri contro Italia) che, con specifico riferimento alle norme nazionali interpretative, la Corte costituzionale, gia’ con la sentenza n. 1 del 2011, ha affermato che possono essere identificati, tra l’altro, nella necessita’ di “ristabilire un’interpretazione piu’ aderente all’originaria volonta’ del legislatore”, al fine di “porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata” (in tal senso vedi le pronunce della Corte EDU: sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito; sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Bianche de Castille e altri contro Francia).
Nella specie – stante la riscontrata ambiguita’ di formulazione del testo della norma interpretata, che ha dato luogo a contrasti tra gli operatori del settore, la giurisprudenza di merito e quella di legittimita’ (specialmente per l’inciso “anche se…”) – la finalita’ della disposizione retroattiva in oggetto e’ stata proprio quella di restaurare e ribadire l’intento iniziale del legislatore, rimasto, nella sostanza, inattuato per le molteplici discordanti interpretazioni formulate dalla giurisprudenza e dalle Amministrazioni del settore (in tal senso: Corte EDU, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Bianche de Castille e altri contro Francia).
Cio’ ne giustifica l’emanazione, anche per i positivi riflessi deflattivi sul contenzioso pendente, essendo da escludere che essa abbia inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una univoca giurisprudenza.
Ne’ va omesso di rilevare che la norma retroattiva in oggetto produce effetti favorevoli sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori (il cui carico fiscale e contributivo viene alleggerito, peraltro in conformita’ con gli indirizzi espressi dalle Amministrazioni interessate); sicche’ puo’ dirsi che essa realizza una maggiore tutela dei diritti fondamentali dei privati, che e’ il principale obiettivo del sistema della CEDU, come interpretato dalla relativa giurisprudenza.
In conformita’ con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non appare sostenibile, dunque, che l’articolo 7-quinquies cit. abbia comportato una illecita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia finalizzata ad influenzare la risoluzione di controversie.
Con tale disposizione, in realta’, il legislatore, nell’esercizio del proprio potere discrezionale – nel quale non e’ dato ravvisare profili di irragionevolezza – ha inteso superare un conclamato contrasto interpretativo, perseguendo un obiettivo d’indubbio interesse generale qual e’ la certezza del diritto, che e’ ragione idonea a giustificare l’intervento retroattivo in argomento.
29. Va osservato, conclusivamente, che la norma, nella formulazione risultante dall’intervento retroattivo, potra’ anche agevolare i controlli ispettivi e l’irrogazione delle sanzioni, con l’obiettivo di conciliare la forma contrattuale con l’effettiva realta’ del rapporto di lavoro.
In coerenza con il suddetto obiettivo, appare evidente che il regime contributivo (cosi’ come quello fiscale) devono comunque essere parametrati alla effettiva realta’ del rapporto, non potendosi ipotizzare, ad esempio, che, in presenza dell’effettivo svolgimento di un’attivita’ lavorativa che richiede la continua mobilita’ da parte del dipendente, la mancata indicazione della sede di lavoro, nel contratto o nella lettera di assunzione, possa servire come facile strumento per aggirare la normativa.
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