Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 10 marzo 2015, n. 10106
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo A. – Presidente
Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. LIGNOLA Ferdinando – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 44/2014 TRIB. LIBERTA’ di GENOVA, del 17/06/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MICCOLI GRAZIA;
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. GALLI Massimo, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente, l’avv. (OMISSIS) ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Con il Decreto del 6 maggio 2014 il G.I.P. aveva disposto il sequestro preventivo delle somme di denaro giacenti su conti correnti tenuti in vari istituti bancari, riconducibili allo (OMISSIS) e, secondo l’ipotesi accusatoria, da lui utilizzati per movimentare la provvista derivante dalla percezione del profitto del reato come ascritto (per complessivi euro 717.878,12, in termini compatibili con il tenore dell’accusa), sia il sequestro in se’ dei medesimi conti correnti, qualificati come “cose pertinenti al reato”, perche’ integranti gli strumenti destinati dallo stesso (OMISSIS) alla consumazione del concorso nel reato in esame.
2. Con atto redatto dai suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione lo (OMISSIS), deducendo con un unico motivo la violazione di legge in relazione all’articolo 240 c.p., comma 1 e articolo 321 c.p.p..
Viene rappresentato in fatto che l’operazione di cessione delle quote fu oggetto di azione revocatoria esperita dalla curatela del fallimento. Nell’incidente cautelare davanti al giudice civile, cosi’ come gia’ dedotto e provato in sede di istanza di riesame, il Tribunale annullo’ il sequestro conservativo per difetto in capo allo (OMISSIS) della conoscenza dello stato di decozione. La causa venne in seguito definita con una transazione, per cui, sempre come documentato in sede di istanza di riesame, la curatela rinunzio’ ad ogni pretesa a fronte dell’impegno dello (OMISSIS) di corrispondere un importo pari a euro 550.000, con pagamento rateale in corso. L’istanza di riesame si concluse con il rigetto della richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.
Rileva il ricorrente che il Tribunale del riesame ha ritenuto di disattendere il rilievo secondo il quale erano insussistenti i presupposti del sequestro per difetto di quelli per la confisca ad esito del giudizio.
La motivazione dell’ordinanza impugnata -deduce il ricorrente- nulla osserva in merito alla confiscabilita’ della somma di denaro all’esito del giudizio, limitandosi ad osservare, a fronte dell’obiezione secondo la quale il maltolto e’ stato oggetto di transazione, nella quale e’ stato quantificato, ed e’ in corso la sua restituzione, che “la somma convenuta non risulta ancora corrisposta e pertanto permane il problema del soddisfacimento dei creditori….”.
E’ evidente – secondo il ricorrente- come il Tribunale abbia confuso la natura e lo scopo del sequestro finalizzato alla confisca con la natura e lo scopo del sequestro conservativo.
L’avvenuta transazione con la persona offesa dal reato e l’inizio del pagamento dell’importo convenuto ha del tutto escluso la possibilita’, anche teorica, che la libera disponibilita’ della cosa possa comunque aggravare o protrarre le conseguenze del reato.
Non essendo pertanto ipotizzabile la confiscabilita’ del profitto del reato ad esito del processo, il decreto doveva essere annullato.
3. In data 15 ottobre 2014 e’ stata depositata dal nuovo difensore dello (OMISSIS) una memoria contenente motivi aggiunti ex articolo 325 c.p.p., comma 3.
E’ stata in via principale dedotta l’omessa motivazione e violazione di legge in punto di fumus commissi delicti. La motivazione del Tribunale sarebbe affetta dal duplice vizio argomentativo consistente nell’assoluta mancanza della motivazione su un punto che aveva formato oggetto del ricorso per riesame, che diffusamente trattava anche dell’insussistenza del fumus commissi delicti, nonche’ dalla violazione di legge in ordine ai presupposti applicativi della misura cautelare reale.
1. In primo luogo si deve rilevare l’inammissibilita’ dei motivi di ricorso attinenti il vizio di motivazione (dedotto anche nella memoria contenente motivi aggiunti), tenuto conto dei limiti posti dall’articolo 325 c.p.p., alla ricorribilita’ delle ordinanze in materia cautelare reale, ammessa solo per violazione di legge ovvero per censurare “errores in iudicando” o “errores in procedendo” (articolo 606 c.p.p., lettera b e c).
E perche’ effettivamente ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) (in relazione all’articolo 125, comma 3) e’ necessario che l’apparato giustificativo di quest’ultimo risulti o del tutto mancante o, quanto meno, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. n. 25932 del 29 maggio 2008, Ivanov, rv 239692; Sez. Un. n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; si vedano anche Sez. 6 , n. 6589 del 10/01/2013 – dep. 11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5 , n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093).
In sostanza, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento.
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, e’ esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita’ l’ipotesi dell’illogicita’ manifesta di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e).
Nel caso in esame, il ricorrente ha censurato solo la mera incompletezza o illogicita’ della motivazione dell’ordinanza del Tribunale, che, di contro, in merito ad alcune doglianze avanzate con l’impugnazione ha reso un articolato apparato giustificativo attraverso cui ha effettivamente confutato le argomentazioni svolte con l’istanza di riesame.
2. Vanno quindi prese in considerazione solo le doglianze del ricorrente in ordine alla violazione di legge sostanziale o processuale.
Nel ricorso e’ stata dedotta la violazione di legge in relazione all’articolo 240 c.p., comma 1 e articolo 321 c.p.p..
Si sostiene che nel caso di specie sarebbero insussistenti i presupposti del sequestro per difetto di quelli per la confisca ad esito del giudizio.
In punto di diritto, si rileva che l’articolo 240 c.p. prevede la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato e i requisiti perche’ si possa disporre la stessa confisca sono:
a) l’accertamento in ordine alla responsabilita’ per il reato;
b) un rapporto di pertinenzialita’ fra il reato e cosa da confiscare;
c) il bene da confiscare deve appartenere al soggetto che ha commesso il reato, non potendosi estendere la confisca a terzi estranei.
Nel caso in esame i suddetti requisiti non sono in discussione.
Il ricorrente invece deduce che il Tribunale del Riesame avrebbe errato nel ritenere confiscabile la somma di denaro all’esito del giudizio, limitandosi ad osservare, a fronte dell’obiezione secondo la quale il maltolto era stato oggetto di transazione, che “la somma convenuta non risulta ancora corrisposta e pertanto permane il problema del soddisfacimento dei creditori: donde il periculum insito nel lasciare all’indagato la disponibilita’ delle somme cosi’ acquisite dall’incasso degli assegni provenienti dalla societa’ fallita, che potrebbero essere facilmente disperse, con irrimediabile danno per i creditori”.
Sostiene il ricorrente che l’avvenuta transazione con la persona offesa dal reato ha del tutto escluso la possibilita’, anche teorica, che la libera disponibilita’ della cosa possa comunque aggravare o protrarre le conseguenze del reato.
Le censure sono infondate.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto che sia assolutamente irrilevante la transazione con pagamento rateizzato avvenuta in sede civile ai fini della legittimita’ del sequestro preventivo in esame, tenuto conto della finalita’ di tale misura cautelare che -come e’ noto- e’ principalmente quella di sottrarre all’indagato la disponibilita’ del patrimonio.
Peraltro, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in tema di bancarotta fraudolenta, sia legittimo il sequestro preventivo sulle giacenze di conto corrente acceso dall’indagato presso una banca, quando si sospetti che siffatta ricchezza costituisca il provento di distrazioni fraudolente commesse in pregiudizio di societa’ fallite; ne’, a tal fine, rileva la confusione con il personale patrimonio qualora il cespite sequestrato rappresenti il prodotto o il profitto del reato della distrazione fraudolenta in pregiudizio della fallita societa’, quale risultato della condotta criminosa, con la conseguenza che esso mantiene una sua intrinseca pericolosita’ che non si esaurisce nella confusione patrimoniale (Sez. 5 , n. 42235 del 30/09/2010 – dep. 29/11/2010, Montagna, Rv. 248888).
In tema di bancarotta fraudolenta, e’ legittimo il sequestro preventivo di conti correnti e depositi di titoli, pertinenti alle vicende di una societa’ dichiarata fallita, quando il pericolo derivante dalla libera disponibilita’ delle cose sottratte o delle risorse economiche frutto della loro alienazione, presenti i requisiti della concretezza e della attualita’, nel senso che in seguito alla consumazione del reato possano prodursi conseguenze ulteriori, connotate in termini di antigiuridicita’, in quanto consistenti nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto, in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita perseguita; e’, pertanto, legittimo il sequestro preventivo preordinato all’esigenza di fermare la circolazione del denaro e dei beni fungibili che siano acquisiti dagli indagati in condizioni di presunta antigiuridicita’, anche per consentire, nell’ambito del procedimento penale per bancarotta, la verifica definitiva della riferibilita’ delle somme sequestrate all’attivita’ di sottrazione di beni e risorse della societa’ fallita. (Sez. 5 , n. 8468 del 24/01/2005 – dep. 04/03/2005, Lange’ ed altri, Rv. 231176).
Sotto altro profilo, non va trascurato che nel caso in esame il sequestro preventivo e’ stato disposto ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, in relazione al quale non e’ necessario il requisito del periculum (richiesto invece per il sequestro di cui all’articolo 321, comma 1), in quanto la particolarita’ della misura consiste nel fatto che per la legittimita’ di essa non occorre necessariamente la presenza dei presupposti di applicabilita’ previsti per il sequestro preventivo “tipico” (pericolo che la libera disponibilita’ della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati), ma basta il presupposto che si tratti di sequestro di cose di cui e’ consentita la confisca a tenore del codice penale o delle leggi speciali.
In altri termini, il sequestro preventivo delle cose di cui e’ consentita la confisca non presuppone alcuna prognosi di pericolosita’ connessa alla libera disponibilita’ delle cose medesime, le quali, proprio perche’ confiscabili, sono di per se’ oggettivamente pericolose, indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca facoltativa o obbligatoria (si veda, tra le piu’ recenti e per il caso specifico di cui all’articolo 321, comma 2 bis, Sez. 2 , n. 31229 del 26/06/2014 – dep. 16/07/2014, Borda, Rv. 260367.
Ne consegue che compito del giudice, nel disporre il sequestro ex articolo 321 comma 2 (come anche ex articolo 321, comma 2 bis), consiste solo nel verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca: il che puo’ avvenire, secondo la disciplina sostanziale del diritto penale, tanto nei casi di confisca facoltativa quanto nei casi di confisca obbligatoria (Cass. 3343/1992 Rv. 192862; Cass. 4114/1994 Rv. 200854; Cass. 17439/2005 Rv. 231516; Cass. 9829/2006 Rv. 233373; Cass. 4100/2007 Rv. 238554; Cass. 43945/2013 Rv. 257418).
E’ pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 c.p.p., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di nascondere con il piu’ semplice degli artifizi (Sez. 6 , n. 23773 del 25/03/2003, Madaffari, Rv. 225757).
Infatti, in tema di sequestro preventivo, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilita’ che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attivita’ criminosa (Sez. 2 , n. 45389 del 06/11/2008, Perino, Rv. 241973).
La trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non e’ quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben puo’ avere ad oggetto il bene di investimento cosi’ acquisito. Il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca, e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, il suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilita’ per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresi’ di ogni altra utilita’ che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attivita’ criminosa. (Sez. 6 , n. 4114 del 21/10/1994, dep. 1995, Giacalone, Rv. 200855; si veda in motivazione la recente Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258646).
3. Come si e’ detto, in data 15 ottobre 2014 e’ stata depositata dal nuovo difensore dello (OMISSIS) una memoria contenente motivi aggiunti ex articolo 325 c.p.p., comma 3, che richiama l’articolo 311 c.p.p.. E’ stata dedotta in effetti una nuova censura ovvero l’omessa motivazione e violazione di legge in punto di fumus commissi delicti.
In quanto motivo del tutto nuovo, ovvero non riconducibile al motivo dedotto con il ricorso, deve ritenersi inammissibile.
Invero, come e’ stato piu’ volte affermato, in tema di ricorso per cassazione contro provvedimenti emessi dal giudice del riesame, i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., lettera a); l’articolo 311 c.p.p., comma 4, non introduce alcuna deroga al principio generale della necessaria connessione tra i motivi originariamente dedotti nel ricorso principale e quelli nuovi, ma modifica soltanto il termine per la presentazione di questi ultimi, che non e’ piu’ quello generale di quindici giorni prima dell’udienza ma e’ spostato all’inizio della discussione (Sez. 1 , n. 46711 del 14/07/2011 – dep. 19/12/2011, Colitti, Rv. 251412; Sez. 3 , n. 2023 del 13/11/2007 – dep. 15/01/2008, Picone, Rv. 238527; Sez. 5 , n. 45725 del 22/09/2005 – dep. 16/12/2005, Capacchione, Rv. 233210).
Leave a Reply