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3.3.1. Al di la’ ed a prescindere dalla condivisibilita’ di alcune affermazioni volte a negare tout court l’autonomia di componente risarcitoria di tale “voce” di danno, si’ come ritenuta foriera di presunte “duplicazioni risarcitorie di incerta classificazione” (Cass. n. 21716/2013; Cass. n. 36/2016), va in questa sede riaffermato, in premessa, che, su di un piano generale (Cass. 4379/2016), il nostro ordinamento positivo conosce e disciplina (soltanto) la fattispecie del danno patrimoniale – nelle due forme (o, se si preferisce, nelle due “categorie descrittive”) del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) – e quella del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.).
3.3.2. La natura unitaria del danno non patrimoniale, espressamente predicata dalle sezioni unite di questa Corte con le cd. sentenze di S. Martino, deve essere intesa, secondo il relativo insegnamento, come unitarieta’ rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica (Cass. S.U. n. 26972/2008).
Natura unitaria sta a significare che non v’e’ alcuna diversita’ nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della liberta’ religiosa o sessuale, della riservatezza, piuttosto che di quella al rapporto parentale.
Natura onnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilita’, onde evitare risarcimenti cd. bagattellari (in tali termini, del tutto condivisibilmente, Cass. 4379/2016).
L’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono, pertanto, questioni concrete e non astratte.
3.4. Ma, se esse non richiedono il ricorso ad astratte tassonomie classificatorie, non possono per altro verso non tener conto della reale fenomenologia del danno alla persona, negando la quale il giudice rischia di incorrere in un errore ancor piu’ grave, e cioe’ quello di sostituire una (meta)realta’ giuridica ad una realta’ fenomenica.
Oggetto della valutazione giudiziaria, quando il giudice e’ chiamato ad occuparsi della persona e dei suoi diritti fondamentali, e’, nel prisma del danno non patrimoniale, la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.
3.5. Le sentenze del 2008 offrono, in proposito, una implicita quanto non equivoca indicazione al giudice di merito nella parte della motivazione ove si discorre di centralita’ della persona e di integralita’ del risarcimento del valore uomo – cosi’ dettando un vero e proprio statuto del danno non patrimoniale sofferto dalla persona per il nuovo millennio.
3.5.1. La stessa (meta)categoria del danno biologico fornisce a sua volta appaganti risposte al quesito circa la “sopravvivenza descrittiva” (come le stesse Sezioni Unite testualmente la definiranno) del cd. danno esistenziale, se e’ vero come e’ vero che “esistenziale” e’ quel danno che, in caso di lesione della stessa salute (ma non solo), si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto, come conseguenza della lesione medicalmente accertabile.
3.5.2. Cosi’ che, se di danno agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenti una lesione della propria salute (articolo 32 Cost.) e’ lecito discorrere con riferimento al danno cd. biologico, quello stesso danno “relazionale” e’ predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati.
3.6. Il danno dinamico-relazionale, dunque (cosi’ rettamente inteso il sintagma “danno esistenziale”), e’ conseguenza omogenea della lesione – di qualsiasi lesione – di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro diritto (rectius, interesse o valore) tutelato dalla Carta fondamentale.
3.7. Queste considerazioni confermano la bonta’ di una lettura delle sentenze del 2008 condotta, prima ancora che secondo una logica interpretativa di tipo formale-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l’onore, la reputazione, la liberta’ religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all’ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di liberta’ religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente inteso, ovvero, se si preferisca un lessico meno equivoco, il danno alla vita di relazione).
3.8. In questa semplice realta’ naturalistica si cela la risposta (e la conseguente, corretta costruzione di categorie che non cancellino la fenomenologia del danno alla persona attraverso sterili formalismi unificanti) all’interrogativo circa la reale natura e la vera, costante essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore, le dinamiche relazionali di una vita che cambia.
3.9. Restano cosi’ efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e percio’ solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, rigorosamente provati caso per caso, al di la’ di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni.
E se e’ lecito ipotizzare, come talvolta si e’ scritto, che la categoria del danno “esistenziale” risulti “indefinita e atipica”, cio’ appare la probabile conseguenza dell’essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta, “indefinita e atipica”.
3.10. Su tali premesse si innesta la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 235/2014, predicativa della legittimita’ costituzionale dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni, la cui (non superficiale o volutamente parziale) lettura conduce a conclusioni non dissimili.
3.10.1. Si legge, difatti, al punto 10.1 di quella pronuncia, che “la norma denunciata non e’ chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilita’ anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice puo’ avvalersi della possibilita’ di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)”.
3.10.2. La limitazione ex lege dell’eventuale liquidazione del danno morale viene cosi’ motivata dal giudice delle leggi:
“In un sistema, come quello vigente, di responsabilita’ civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di Garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi” (punto 10.2.2.).
3.10.3. La Corte prosegue, poi, significativamente, sottolineando come “l’introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno – attinente al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entita’ e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi nove gradi della tabella – lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio risultante dall’applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino a un quinto in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato”.
3.10.4. La motivazione della Corte non sembra prestarsi ad equivoci. Il danno biologico da micro-permanenti, definito dall’articolo 139 C.d.A. come “lesione temporanea o permanente all’integrita’ psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attivita’ quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”, puo’ essere “aumentato in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato” secondo la testuale disposizione della norma: e il giudice delle leggi ha voluto esplicitare una volonta’ legislativa che, alla luce delle considerazioni svolte, limitava la risarcibilita’ del danno biologico da micro permanente ai valori tabellari stabiliti ex lege, contestualmente circoscrivendo l’aumento del quantum risarcitorio in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato – e cioe’ attraverso la personalizzazione del danno, senza che “la norma denunciata sia chiusa al risarcimento anche del danno morale” – al 20% di quanto riconosciuto per il danno biologico.
3.11. Viene cosi’ definitivamente sconfessata, al massimo livello interpretativo, la tesi predicativa di una pretesa “unitarieta’ del danno biologico”. Anche all’interno del sotto-sistema delle micro-permanenti, resta ferma (ne’ avrebbe potuto essere altrimenti, non potendo le sovrastrutture giuridiche sovrapporsi alla fenomenologia del danno alla persona) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto.
3.12. Tante dispute sarebbero forse state evitate ad una piu’ attenta lettura della definizione di “danno biologico”, identica nella formulazione dell’articolo 139 come del 138 del codice delle assicurazioni nel suo aspetto morfologico (una lesione medicalmente accertabile), ma diversa in quello funzionale, discorrendo la seconda delle norme citate di lesione “che esplica un’incidenza negativa sulla attivita’ quotidiana e sugli aspetti dinamico relazionali del danneggiato”.
3.12.1. Una dimensione, dunque, dinamica della lesione, una proiezione tutta (e solo) esterna al soggetto, un vulnus a tutto cio’ che e’ “altro da se” rispetto all’essenza interiore della persona.
3.12.2. La distinzione dal danno morale si fa dunque ancor piu’ cristallina ad una (altrettanto attenta) lettura dell’articolo 138 (nel testo previgente alla novella del 2017, della quale di qui a breve si dira’), che testualmente la Corte costituzionale esclude dalla portata precettiva del proprio decisum in punto di limitazione ex lege della liquidazione del danno morale.
3.12.2. Il meccanismo standard di quantificazione del danno attiene, difatti, “al solo, specifico, limitato settore delle lesioni di lieve entita’” dell’articolo 139 (e non sembra casuale che il giudice delle leggi abbia voluto rafforzare il gia’ chiaro concetto con l’aggiunta di ben tre diversi aggettivi).
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