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4.1 In breve, va evidenziato che, sul piano delle fonti sovranazionali:
a) la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, con successivo Protocollo adottato a New York il 31 gennaio 1967 (trattati resi esecutivi in Italia, rispettivamente con L. 24 luglio 1954, n. 722 e con L. 28 marzo 1970, n. 95) individua e descrive la condizione di rifugiato nel senso di riconoscerla a chiunque sia portatore del giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, o per opinioni politiche e si trovi fuori dello stato di cui possiede la cittadinanza e non puo’ o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto stato (estendendo la condizione all’apolide, in riferimento allo stato di domicilio). Risultano ostative, in tale Convenzione, alla tutela del rifugiato talune circostanze di fatto (serio motivo di sospettare che la persona abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanita’, o ancora un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesso come rifugiato o atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite);
b) la stessa Convenzione di Ginevra esprime il principio del divieto di espulsione e di rinvio al confine (articolo 33) nel senso che “nessuno stato contraente espellera’ o respingera’, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sia liberta’ sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Tale divieto subisce deroga, al successivo comma, nel caso in cui il rifugiato per “motivi seri” debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettivita’ di detto paese;
c) le esigenze di solidarieta’ umana, contrasto alla discriminazione, affermazione della democrazia e tutela dei diritti fondamentali (vita, liberta’, integrita’ fisica, opinione) della persona, sottese a tale assetto, hanno di seguito trovato ampia regolamentazione, come si e’ detto, in sede Europea, attraverso le disposizioni della Convenzione del 1950 (in particolare l’articolo 3, per come interpretato dalla Corte Edu anche in chiave di divieto di respingimento verso paesi in cui il soggetto si troverebbe esposto a rischio di morte, tortura o trattamenti inumani o degradanti) e i successivi interventi dell’Unione;
d) in particolare, giova evidenziare che – oltre al ricordato articolo 19, comma 2 della Carta di Nizza del 2000, norma che recepisce i contenuti elaborati dalla Corte Edu sul fronte del divieto, anche mediato, di tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti – le previsioni regolatrici contenute nelle direttive del 2004 e del 2011 esprimono in modo compiuto la condizione di soggetto titolare dello status di rifugiato o ammesso a forme sussidiarie di protezione internazionale;
e) gia’ la direttiva del 2004 (2004/83/CE del Consiglio) prevede, oltre alla condizione di rifugiato (ricalcata sul testo della Convenzione di Ginevra) la categoria aggiuntiva della âEuroËœpersona ammissibile alla protezione sussidiaria’: cittadino di paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti: 1) sussistono fondati motivi per ritenere che, se tornasse nel paese di origine (o per l’apolide in quello di dimora abituale) correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal successivo articolo 15 (- condanna alla pena di morte, tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale..), 2) e al quale non si applica l’articolo 17 par. 1 e 2 (non puo’ essere attribuita la protezione per chi ha commesso un crimine contro l’umanita’, crimine di guerra, reato grave prima dell’ammissione o anche non grave punibile con reclusione nello stato di rifugio – li’ dove l’allontanamento sia strumentale ad evitare la sanzione, atti contrari alle finalita’ o ai principi delle nazioni unite, nonche’ rappresenti un pericolo per la comunita’ o la sicurezza dello Stato in cui si trova..) e il quale non puo’ o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese. Dunque viene introdotto e regolamentato, sin dal 2004, un sistema piu’ complesso di “protezione internazionale” che va a ricomprendere non soltanto l’obbligo di fornire rifugio al soggetto perseguitato (con attribuzione dello status di rifugiato) ma anche quello, in date condizioni, di accogliere la persona ammissibile alla protezione sussidiaria in quanto esposta, nel paese di origine, a rischi di incolumita’ o diminuzioni gravi di dignita’, correlati a condizioni oggettive (stato di guerra) o a condizioni inaccettabili del sistema repressivo di quel paese (rischio di condanna a morte, tortura, trattamento degradante). Si tende, pertanto, a completare un sistema di tutela della persona umana, sia pure con talune riserve correlate alla necessita’ di protezione dell’ordine pubblico interno (si prevede il rilascio di permesso di soggiorno triennale al rifugiato e annuale al bisognoso di protezione sussidiaria purche’ non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico). Viene altresi’ ribadito il divieto di respingimento (non refoulement) con deroghe, espresse nel caso del rifugiato, per l’ipotesi – tra l’altro – di intervenuta condanna per un reato di particolare gravita’, tale da comportare una considerazione di elevata pericolosita’ per la comunita’ dello stato ospitante;
f) la direttiva del 2011 (2011/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, con termine di recepimento fissato al 21.12.2013) stabilizza ulteriormente il suddetto quadro di tutela, con il dichiarato obiettivo di realizzare una politica comune in tema di diritto di asilo all’interno dell’Unione, con adozione di livelli di protezione piu’ elevati a favore di quanti “spinti dalle circostanze” cerchino legittimamente protezione nell’Unione. Viene precisato che il riconoscimento dello status di rifugiato e’ atto meramente ricognitivo, e che la protezione sussidiaria ha carattere complementare e supplementare rispetto alla protezione derivante dalla convenzione di Ginevra sui rifugiati; inoltre si precisa che resta estranea all’ambito della direttiva la condizione di chi non rientra nelle due categorie della protezione internazionale ma e’ ammesso a forme di assistenza caritatevole o umanitaria su base discrezionale, il che rafforza la natura di “diritto” attribuibile ai titolari di condizioni che rientrano nelle categorie della protezione internazionale in senso proprio, con vincolo per gli Stati membri di attenersi agli strumenti di cui sono parti. Quanto ai contenuti, non si registrano innovazioni sotto il profilo della descrizione dei presupposti delle due categorie soggettive della protezione internazionale, rispetto alla precedente direttiva. Anche la ammissione alla protezione sussidiaria viene considerata come uno status. Nella disciplina dello status di rifugiato: viene ampliata la descrizione degli atti di persecuzione (art.9) e dei motivi di persecuzione (articolo 10), nonche’ ulteriormente precisate le ipotesi di esclusione dallo status (articolo 12) tra cui l’esistenza di fondati motivi per ritenere che il soggetto abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza e prima dell’ammissione un “reato grave di diritto comune”; la condanna definitiva per reato di particolare gravita’, tale da determinare una valutazione di “pericolo per la comunita’” puo’ comportare la revoca dello status (articolo 14). Nella disciplina dello status di soggetto titolare della protezione sussidiaria si ribadiscono i motivi di esclusione (articolo 17), tra cui il fondato motivo di ritenere che abbia commesso un reato grave o rappresenti un pericolo per la comunita’ o la sicurezza dello Stato in cui si trova. Per quanto qui rileva, inoltre, va richiamata la norma sul divieto di respingimento (articolo 21). La norma, nel prendere in esame le deroghe, compie riferimento al solo “rifugiato” (e non anche al titolare della protezione sussidiaria) consentendone il respingimento nell’ipotesi di “ragionevoli motivi per considerare che rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova” o quando “essendo stato condannato con sentenza definitiva per reato di particolare gravita’ costituisce un pericolo per la comunita’ di tale Stato membro”.
4.2 Ora, al termine di tale breve ricognizione e prima ancora di analizzare le modalita’ di recepimento nella normativa interna di dette disposizioni sovranazionali, appare necessario evidenziare come la previsione relativa al divieto di respingimento contenuta nell’articolo 19, comma 2 della Carta di Nizza sia espressa con assoluta nettezza e senza riferimento alcuno a deroghe (nessuno puo’ essere allontanato, espulso, estradato..), ed identifichi la condizione ostativa al refoulement proprio in alcune delle ragioni che legittimano l’ammissione alla “protezione sussidiaria” (.. rischio serio di sottoposizione alla pena di morte, tortura o altre pene o trattamenti inumani o degradanti).
Dunque va ritenuto esistente un margine irrinunziabile di protezione, anche in via mediata (attraverso il divieto di respingimento), dei valori qui considerati (rifiuto della pena di morte, tortura e trattamento inumano o degradante sul soggetto ristretto) che appare porsi come condizione ostativa – anche in tema di espulsione – con carattere assoluto e preminente anche rispetto ad una condizione di constatata pericolosita’ sociale” del destinatario (previo apprezzamento in concreto della “serieta’” del paventato rischio), e cio’ nell’ambito di una disposizione sovraordinata rispetto alle stesse Direttive dell’Unione (si veda quanto affermato, nel caso del rilevato contrasto, dalla Grande Sezione CGUE in data 8.4.2014 nel caso relativo al contenzioso promosso dalla societa’ (OMISSIS), con avvenuta invalidazione della direttiva 2006/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione) certamente applicabile in ogni Stato dell’Unione. Tale aspetto, consente di affermare – nel caso in esame – la assoluta doverosita’ della verifica in fatto di quanto dedotto dall’attuale ricorrente.
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