Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 26 ottobre 2017, n. 49242. Va accolta la richiesta di revoca anticipata della misura di sicurezza dell’espulsione in attesa della protezione sussidiaria

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4.3 Va ancora, indicato che la giurisprudenza interna, specie in sede civile, ha piu’ volte affermato principi che ricadono sul tema qui trattato:
– secondo l’arresto rappresentato da Sez. Un. civ. n. 5059 del 28.2.2017 la condizione giuridica soggettiva dello straniero, in tema di accesso alla protezione internazionale, ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dall’articolo 2 Cost. e 3 Conv. Eur., il che determina da parte della autorita’ destinataria delle domande l’esercizio di una mera discrezionalita’ tecnica;
– secondo quanto affermato da Sez. 6 – 1 civ., sent. n. 2830 del 12.2.2015 in tema di protezione internazionale, il cittadino straniero che e’ imputato di un delitto comune (nella specie, omicidio durante una rissa), punito nel Paese di origine con la pena di morte, non ha diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico poiche’ gli atti previsti dal Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251, articolo 7, non sono collegati a motivi di persecuzione inerenti alla razza, alla religione, alla nazionalita’, al particolare gruppo sociale o all’opinione politica, ma unicamente alla protezione sussidiaria riconosciuta dal Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 2, lettera g), del qualora il giudice di merito – anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui al Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, articolo 8, comma 3, – abbia fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d’origine, correrebbe un effettivo rischio di subire un grave danno;
– in punto di ricognizione della diversa natura del rischio, Sez. 6 – 1 civ., sent. 6503 del 20.3.2014 ha affermato che l’esame comparativo dei requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato politico ovvero per il riconoscimento della protezione sussidiaria evidenzia un diverso grado di personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, atteso che nella protezione sussidiaria si coglie, rispetto al rifugio politico, una attenuazione del nesso causale tra la vicenda individuale ed il rischio rappresentato, sicche’, in relazione alle ipotesi descritte al Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251, articolo 14, lettera a) e b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado di individualizzazione, non deve avere i caratteri piu’ rigorosi del fumus persecutionis, mentre, con riferimento all’ipotesi indicata nella lettera c) del medesimo articolo, la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel paese di ritorno puo’ giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo a fini di ammissione alla protezione sussidiaria;
– in punto di irrilevanza della gravita’ del reato commesso nel paese ospitante, li’ dove sussista come condizione ostativa alla espulsione, il serio rischio di inflizione della pena di morte, tortura o trattamenti inumani o degradanti, si e’ espressa Sez. 6-1 civ., ord. n. 21667 del 20.9.2013 nel senso che: in tema di protezione internazionale, l’espulsione coatta dello straniero costituisce violazione dell’articolo 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, ogni qualvolta egli, a causa del pericolo di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti che lo minaccino, non possa restare nello stesso e debba, pertanto, indirizzarsi verso altro Paese che lo possa ospitare. Ne consegue che sono irrilevanti sia la gravita’ del reato al quale lo straniero sia stato condannato (nella specie, associazione con finalita’ terroristica ex articolo 270 bis c.p.), sia la circostanza che egli non voglia rivelare il luogo della sua dimora in pendenza del procedimento, non potendo il riconoscimento della protezione internazionale fondarsi sul rispetto di un presunto vincolo fiduciario con lo Stato, ne’ esistendo alcun obbligo di collaborazione o reciprocita’ a carico del richiedente asilo. In tale decisione, peraltro, si evidenzia come secondo le numerose decisioni emesse, anche nei confronti dell’Italia, dalla Corte Edu (a partire dal noto caso Saadi contro Italia, sent. del 28.2.2008) l’espulsione coatta dello straniero da parte di uno stato membo verso lo stato di appartenenza costituisce violazione dell’articolo 3 Cedu, ove sia verosimile che il soggetto espulso sia sottoposto in quel paese a trattamenti contrari all’articolo 3 Cedu; ai fini di tale valutazione la Corte Edu ha ribadito che e’ ininfluente il tipo di reato di cui e’ ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiche’ dal carattere assoluto del principio affermato dall’articolo 3 deriva l’impossibilita’ di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti e il motivo invocato per l’espulsione. Tali principi sono stati, peraltro di recente ribaditi dalla Corte Edu in ulteriori casi riguardanti l’Italia (v. Corte Edu, sez. 2, sent. 5.4.2011, Toumi c. Italia);
– quanto al riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria, Sez. 6 civ., sent. n. 16100 del 29.7.2015 ha affermato che puo’ essere condizione ostativa il reato grave commesso al di fuori del territorio nazionale, ma non assumono rilievo alcuno i reati, anche gravi, commessi dal richiedente in Italia (proprio in ragione del rapporto tra le ipotesi di protezione sussidiaria e i contenuti dell’articolo 3 Conv. Eur.).
5. La ragione per cui in numerosi arresti di questa Corte relativi alla interpretazione del divieto di respingimento (si veda, in campo penale – oltre la decisione citata in apertura-quanto affermato da Sez. 6 sent. n. 54467 del 15.11.2016 con cui si e’ affermata l’insussistenza delle condizioni per concedere una estradizione richiesta dalla Turchia, in rapporto al rischio concreto di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti) si e’ data diretta attuazione ai principi espressi dalle fonti sovranazionali (per lo piu’ ai contenuti dell’articolo 3 Conv. Eur.) e’ da ricercarsi – a parere del Collegio – nel deficit di chiarezza e completezza della normativa interna, frazionata in piu’ testi di legge non sufficientemente coordinati.
In particolare:
– per quanto riguarda la disposizione qui in rilevo – Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86 – la stessa in origine prevedeva l’espulsione dello straniero a pena espiata, quale misura di sicurezza, in ipotesi di condanna per i reati previsti dal Testo Unico in tema di stupefacenti, senza alcuna indicazione della verifica in concreto della pericolosita’ sociale (aspetto emendato da Corte Cost. n. 58 del 1995) e, comunque – a tutt’oggi – senza riferimento espresso a cause ostative correlate alla necessita’ di fornire tutela a diritti fondamentali riconosciuti in sede sovranazionale. L’opera interpretativa realizzata da questa Corte ha portato a ritenere applicabile a tutte le espulsioni giudiziali – ivi compresa quella in trattazione – la previsione ostativa di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19 (sez. 6 sent. n. 3516 del 12.1.2012, rv 251580; v. anche Sez. 4 n. 50379 del 25.11.2014, rv 261378);
– tuttavia, va rilevato che il contenuto del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19, al momento della presente decisione non conteneva riferimento alcuno alle condizioni legittimanti l’accesso alla protezione sussidiaria, ma soltanto a quelle relative all’ottenimento dello status di rifugiato (al comma 1, ove si compie riferimento alle ipotesi di persecuzione). Come si e’ anticipato, soltanto con l’emissione della L. 14 luglio 2017, n. 110 (legge introduttiva del reato di tortura nel sistema interno), di cui si da atto qui in motivazione trattandosi di momento posteriore alla decisione, il legislatore ha colmato tale lacuna, attraverso la previsione aggiuntiva, nell’ambito delle condizioni ostative alla espulsione, contenuta nell’attuale comma 1.1 “non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”;
– tornando al momento della decisione qui esplicativa, va ritenuto – in ogni caso astrattamente applicabile alla ipotesi in esame il contenuto della previsione di legge di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 20, di attuazione (sul punto del divieto di respingimento) della direttiva 2004/83/CE prima sinteticamente illustrata, con le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 21 febbraio 2014, n. 18 (a sua volta di attuazione della direttiva 2011/95/UE).

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