Non sussiste la condizione di cosiddetta quasi-flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato iniziato” non gia’ a seguito e a causa della “diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria”, bensi’ “per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi
Suprema Corte di Cassazione
sezione I penale
sentenza 23 maggio 2016, n. 21198
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. DI GIURO Gaetan – rel. Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 3806/2014 GIP TRIBUNALE di GROSSETO, del 15/12/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano;
lette le conclusioni del PG Dott. D’AMBROSIO Vito, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari di Grosseto emetteva ordinanza in data 15.12.14, con la quale convalidava l’arresto di (OMISSIS) in relazione ai delitti di tentata rapina e lesioni personali aggravate, per avere il suddetto, incrociando le lame di due grossi coltelli da cucina intorno al collo di (OMISSIS) e muovendole avanti ed indietro, cagionato lesioni a quest’ultimo e nel contempo posto in essere atti idonei in modo non equivoco ad impossessarsi di oggetti appartenenti alla vittima, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volonta’. Detto giudice, ritenendo nella specie non sussistenti i gravi indizi del tentato omicidio per il quale era stato disposto il fermo dalla PG – essendo le lesioni state provocate, secondo la stessa versione della persona offesa (avallata dalla constatazione, da parte del medico del pronto soccorso, della superficialita’ della ferita all’altezza dell’arteria carotide), al fine di minacciare la vittima ed impossessarsi dei suoi oggetti personali piuttosto che di cagionarne la morte – ma quelli della tentata rapina e delle lesioni personali aggravate ai sensi dell’articolo 585 c.p. (dalla connessione teleologica con il delitto di rapina e dall’uso delle armi), per i quali, essendo il minimo edittale inferiore a due anni di reclusione, non era possibile operare il fermo (che era da escludersi per il giudice a quo anche in relazione al paventato pericolo di fuga, attese le modalita’ con cui era avvicinato dai militari l'(OMISSIS), che escludono che lo stesso avesse intenzione di fuggire), riqualificava la misura precautelare disposta dalla PG, ritenendo ricorrenti gli estremi per l’arresto in flagranza. Considerato, da un lato, che per la tentata rapina l’arresto era obbligatorio e per le lesioni era giustificato dalla pericolosita’ dell’indagato, desunta dai suoi precedenti, nonche’ dalla gravita’ complessiva del fatto, e, dall’altro, che ricorreva un’ipotesi di quasi flagranza, essendo avvenuta la ricerca dell’autore nell’immediatezza, senza alcuna soluzione di continuita’, sulla scorta dell’indicazione della vittima.
2. Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta ordinanza di convalida, deducendo la violazione dell’articolo 382 c.p.p., nella parte in cui detto provvedimento ha ritenuto sussistente lo stato di quasi flagranza. Lamentando che l’indirizzo giurisprudenziale invocato dal GIP a fondamento della propria decisione e’ minoritario, contrasta con i principi costituzionali – in particolare l’articolo 13 Cost., che limita ai casi eccezionali di necessita’ e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, i provvedimenti provvisori limitativi della liberta’ adottabili dall’autorita’ di pubblica sicurezza – o comunque posti a fondamento dell’ordinamento processualpenalistico, ed appare recessivo rispetto agli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimita’, che, invece, sembrano orientarsi per una nozione di “inseguimento” piu’ rigorosa e meno ampia di quella adottata dal giudice di Grosseto. Invero, il coinvolgimento dell'(OMISSIS) nella commissione dei reati non era stato percepito dagli operanti, ma era stato ricostruito sulla base di informazioni rese dalla stessa persona offesa e addirittura dall’indagato, mancando nella specie un immediato e univoco collegamento tra la commissione del reato e quest’ultimo.
3. Il Procuratore Generale della Repubblica ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento dell’ordinanza di convalida dell’arresto impugnata, in accoglimento del ricorso, con rinvio ad altro giudice per una nuova valutazione, non potendosi ritenere sussistente il presupposto della quasi flagranza per quanto argomentato dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato, avendo il giudice a quo fatto erronea applicazione dell’articolo 382 c.p.p. nel ritenere sussistente nel caso in esame la cosiddetta quasi flagranza.
2. Secondo quanto accertato in punto di fatto dal suddetto giudice, una pattuglia dei carabinieri nel tardo pomeriggio (alle ore 17.50 circa) del (OMISSIS) incontrava nei pressi della stazione ferroviaria di (OMISSIS) (OMISSIS) che perdeva sangue dal collo, il quale chiedeva aiuto dicendo di essere stato accoltellato da tale (OMISSIS), il “compagno di (OMISSIS) di (OMISSIS)”. Gli operanti, attraverso dette informazioni, risalivano all’odierno indagato, quale compagno di (OMISSIS), abitante presso il residence “(OMISSIS)” della frazione di (OMISSIS), e si ricordavano che poco prima il medesimo era stata contattato da un loro collega per una notifica. Quest’ultimo, dopo vari tentativi di contattare l'(OMISSIS) telefonicamente, lo rintracciava alle ore 18,41 (venendo richiamato dallo stesso indagato) e concordava un incontro col medesimo presso la stazione nella quale erano accaduti i fatti.
3. Soccorre nel caso di specie il principio di diritto fissato dalla giurisprudenza di questa Corte, con prevalente orientamento, tra cui da ultimo la pronuncia di questa sezione, n. 43394 del 3/10/14, Rv. 260527, secondo il quale “non sussiste la condizione di cosiddetta quasi-flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato iniziato” non gia’ a seguito e a causa della “diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria”, bensi’ “per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi” (Sez. 5, n. 19078 del 31/03/2010 – dep. 19/05/2010, Festa, Rv. 247248 e Sez. 3, 13 luglio 2011, dep. il 27 settembre 2011, n. 34918, P. M. in proc. Z., Rv. 250861; et adde Rv. 228180; Sez. 5, n. 3032 del 21/06/1999, dep. 01/09/1999, Carrozzino, Rv. 214473; Sez. 4, n. 17619 del 05/02/2004, dep. 16/04/2004, P.M. in proc. Sakoumi ed altro, Rv. 228180; Sez. 2, n. 7161 del 18/01/2006, dep. 24/02/2006, P.M. in proc. Morelli, Rv. 233345; Sez. 6, n. 20539 del 20/04/2010, dep. 28/05/2010, P.M. in proc. R., Rv. 247379; Sez. 6, n. 19002 del 03/04/2012 – dep. 17/05/2012, Rotolo, Rv. 252872; e, da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 15912 del 07/02/2013 Cc. (dep. 05/04/2013) Rv. 254966).
Non meritano, invece, condivisione gli arresti in senso contrario (Sez. 2, n. 44369, del 10/11/2010, dep. il 16/12/2010, Califano e altro, Rv. 249169 e Sez. 1, n. 23560 del 15/03/2006, dep. 06/07/2006, P.M. in proc. Dottore, Rv. 235259), su cui ha fondato la propria decisione il giudice della convalida, secondo i quali sarebbe ravvisabile la quasi flagranza pur in difetto dei requisiti della diretta percezione della azione delittuosa (da parte degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria o, nel caso previsto dall’articolo 383 c.p.p., comma 1, da parte del privato) e della immediatezza dell’inseguimento.
E cio’ – come analiticamente esaminato dalla sentenza sopra citata di cui in questa sede si ripercorrono le argomentazioni – in quanto la provvisoria privazione del diritto fondamentale della liberta’ personale, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorita’ giudiziaria, rappresenta istituto di carattere affatto eccezionale e in tal senso e’ espressamente connotato dall’articolo 13 Cost., comma 3. Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione (articolo 14 disp. gen., comma 1, approvate con Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262). Ne consegue che la dilatazione della nozione della quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce sul reo rivelatrici della immediata consumazione) ed il successivo intervento di privazione della liberta’ dell’autore del reato, deborda dall’ambito della interpretazione estensiva dell’articolo 382 c.p.p., comma 1. Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l’ipotesi specifica dell’inseguimento (contemplata nella disposizione) e quelle (piu’ generiche e, pertanto, differenti) delle ricerche ovvero, addirittura, delle investigazioni tempestive non si fa che contravvenire al tenore testuale della norma. La quale parlando di inseguimento fa intendere l’azione del “correre dietro chi fugge” e collocando detta azione “subito dopo il reato”, introduce l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, sottolineando la necessita’ della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della liberta’ del reo fuggitivo. Interpretazione, questa, del tutto coerente con la ratio legis e col carattere eccezionale dell’attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato) del potere di privare della liberta’ una persona, che trova giustificazione nella altissima probabilita’ della colpevolezza dell’arrestato, che puo’ essere suffragata soltanto dalla diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano, del tutto differente, degli elementi investigativi assunti (ancorche’ prontamente e magari anche in loco) dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilita’ di previsione (si veda, in proposito, Sez. 1, n. 6642 dell’11/12/1996, dep. 17703/1997, Rv.207085).
4. Nell’azione dei militari (che rintracciavano l’autore dei fatti attraverso le informazioni offerte dalla persona offesa, i contatti telefonici col medesimo e addirittura un incontro concordato) come sopra analiticamente descritta, non puo’ ravvisarsi, come da ordinanza di convalida dell’arresto, un’assenza di “soluzione di continuita’”, essendosi in essa inserita un’attivita’ investigativa estranea alla ratio dell’istituto della quasi flagranza, come appena delineata.
5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
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