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Ed invero, la Corte d’appello risponde sul punto sinteticamente ma con argomentazione immune da vizi, a pag. 21 della sentenza impugnata, richiamando quanto gia’ esposto dal primo giudice in relazione alle risultanze della documentazione fotografica e delle deposizioni testimoniali (si veda, inoltre, quanto argomentato alle pagg. 8/9 della sentenza impugnata in cui si sintetizza il ragionamento del primo giudice). Si legge, in particolare, con riferimento alla contestazione relativa alla presenza di 70 cumuli di rifiuti speciali, che l’imputato aveva censurato la valutazione eseguita “a spanne” e che non era stata eseguita alcuna analisi sulla loro composizione; il giudice di primo grado aveva ritenuto l’assunto infondato (poiche’, secondo la tesi difensiva, si trattava di un deposito temporaneo) atteso che lo stesso imputato aveva movimentato i cumuli in violazione del provvedimento provinciale che subordina la prosecuzione dell’attivita’ al rigoroso rispetto delle prescrizioni.
Sempre il primo giudice aveva aggiunto che era davvero difficile ipotizzare che fossero stati posizionati per errore 70 cumuli, apparendo detto errore inescusabile in quanto non solo colposamente commesso in forma generica, ma anche in violazione di precise prescrizioni impartite dalla Provincia.
Trattasi, all’evidenza, di una censura inammissibile.
Questa Corte ha gia’ del resto avuto modo di pronunciarsi sull’utilizzo del c.d. metodo spannometrico affermando (Sez. 3, sentenza n. 40109 del 2015, ud. 4/06/2015 – dep. 6/10/2015, Silvestri, non massimata). A tal proposito, si era gia’ ritenuto analogo motivo inammissibile, posto che attraverso il medesimo il ricorrente, piu’ che censurare un preteso vizio della motivazione, svolge doglianze che si risolvono in una manifestazione di dissenso rispetto alla valutazione della prova operata dai giudici di appello, sostanzialmente invocando un terzo grado di merito, operazione, com’e’ noto, del tutto inibita davanti a questa Corte di legittimita’. Che questa sia la finalita’ ultima della censura, del resto, discende dallo stesso tenore dell’impugnazione, ponendo in discussione il ricorrente i pretesi errori valutazione della documentazione fotografica e la inattendibilita’ delle deposizioni testimoniali, giungendo quindi ad affermare che i giudici di appello non avrebbero spiegato e giustificato in concreto come e perche’ e sulla scorta di quali concreti parametri di valutazione abbiano ritenuto e valutato che il materiale in questione superasse quel quantitativo massimo.
In realta’, dalla lettura della sentenza impugnata e di quella di primo grado (si ricordi che in caso di “doppia conforme” e’ consentita la vicendevole integrazione delle motivazioni delle sentenze di primo grado e di appello: v., tra le tante, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), emerge che il calcolo era stato operato proprio attraverso il c.d. metodo spannometrico. I giudici di appello, come gia’ il primo giudice, avevano operato una descrizione basandosi sul materiale fotografico in atti e sulle deposizioni testimoniali, eseguendo dunque una valutazione, tipicamente di merito, che sfugge al sindacato di questa Corte, cui non e’ possibile chiedere lo svolgimento di calcoli o accertamenti che imporrebbero un apprezzamento di fatto, si ribadisce – come purtroppo troppo spesso accade nei ricorsi promossi davanti a questa Corte – del tutto inammissibile in questa sede di legittimita’.
La Corte di Cassazione, lo si ribadisce una volta per tutte, e’ giudice del fatto nei limitati casi in cui si eccepisca un vizio di violazione di legge processuale (articolo 606 c.p.p., lettera c), che impone un accesso agli atti processuali. Sul punto, e’ sufficiente in questa sede richiamare l’autorevole arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite che hanno affermato come in tema di impugnazioni, allorche’ sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la Corte di cassazione e’ giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, puo’ accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lettera e) del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicita’ della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 – dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092).
Nel caso in esame, la valutazione operata dai giudici di merito e risoltasi, da un lato, nella convalida del c.d. metodo spannometrico e, dall’altro, nella conferma del dato quantitativo sulla base di una valutazione fattuale (comparazione fotografica e rilievo attribuito alle fonti dichiarative) operata dal primo giudice e dalla Corte d’appello per giungere all’accertamento del quantitativo di materiale, si sottrae alle censure di legittimita’ in quanto immune dai prospettati vizi motivazionali. Va qui ribadito che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (per tutte: Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).
10. Parimenti esposto al giudizio di inammissibilita’ e’ il quinto motivo di ricorso, con cui il ricorrente svolge censure di violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) (capo b), sotto il profilo della mancanza della motivazione in ordine alla qualificazione dei fusti contenenti emulsione acida come rifiuto e della contraddittorieta’ della motivazione con quanto emerso in sede istruttoria, ossia che i fusti risultavano funzionali all’attivita’ di asfaltatura delle strade e quanto all’asserita assenza di pavimentazione con la deposizione del teste (OMISSIS).
La Corte d’appello, sulla questione, motiva a pag. 21 richiamando quanto argomentato dal primo giudice, il quale aveva descritto le modalita’ di stoccaggio di tali fusti e attribuendo agli stessi logicamente la natura di “rifiuto”, in quanto proma-nanti dall’attivita’ produttiva della ditta dell’imputato, avente ad oggetto il recupero di rifiuti per la formazione di materiale utilizzato per il rifacimento del manto stradale. A fronte delle argomentazioni svolte dalle sentenze di merito, quindi, le censure difensive non hanno pregio ma, anzi, si risolvono in un’involontaria conferma della bonta’ delle argomentazioni dei giudici di merito, atteso che proprio il riferimento alla circostanza che le sostanze contenute nei fusti fossero contabilizzate in un apposito registro di carico e scarico e fossero “smaltite” presso ditte autorizzate, dimostra esattamente il contrario di quanto la difesa tende a provare con tale richiamo, ovvero che si trattasse di veri e propri “rifiuti” di cui la stessa ditta intendeva “disfarsi”, come comprovato proprio dalla destinazione allo “smaltimento” dei fusti medesimi.
Del resto, e conclusivamente, la natura di “rifiuto” di una determinata sostanza o materiale, comporta un apprezzamento che, attenendo al fatto, e’ incensurabile in Cassazione, se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata motivazione (Sez. 3, n. 8429 del 05/07/1991 – dep. 30/07/1991, Jieanmonod, Rv. 188792).
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