Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2401. In tema di rifiuti, lo svolgimento di attività di gestione in forma semplificata

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La Corte d’appello, sul punto, confuta la analoga censura prospettata in quella sede di merito a pag. 19 della sentenza impugnata, chiarendo non soltanto come l’eccezione non fosse tempestiva in quanto non dedotta alle udienze del 17.12.2015 e del 12.02.2016, ma precisando anche come il difensore fosse intervenuto piu’ volte nel corso dell’esame diretto del giudice, esplicando l’attivita’ di intervento in maniera non qualificabile come incidentale. A cio’, infine, va aggiunto, ad escludere qualsivoglia incidenza della pretesa violazione delle regole processuali in materia, che la violazione delle regole sull’assunzione delle prove testimoniali non determina certamente la inutilizzabilita’ della prova dichiarativa assunta. Questa Corte ha infatti piu’ volte affermato che in tema di esame del testimone, l’eventuale intervento del giudice prima della conclusione dell’esame e del con-troesame ad opera delle parti non configura un’ipotesi di inutilizzabilita’ della testimonianza, verificandosi questa solo laddove la prova venga assunta in presenza di un divieto e non anche quando la stessa, pur consentita, sia effettuata in violazione delle regole previste per l’assunzione (Sez. 3, n. 27068 del 20/05/2008 – dep. 04/07/2008, B., Rv. 240262).
7. Puo’ quindi procedersi all’esame del terzo, piu’ articolato motivo, attraverso il quale vengono svolte censure di violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 184-ter e articolo 256, comma 1, lettera a) e comma 3, e correlati vizi di omessa valutazione del secondo motivo di appello ed erronea interpretazione della normativa inerente l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti, di contraddittorieta’ rispetto alle risultanze istruttorie dell’affermazione secondo cui il ricorrente non avrebbe sollecitato la Provincia ad indicare l’area ove proseguire l’attivita’ di cava, di scorretta interpretazione della normativa inerente la qualificazione di un materiale come rifiuto ed erronea definizione quale discarica delle aree di cui al capo e), con conseguente illegittimita’ della disposta confisca.
Anche tale motivo e’ manifestamente infondato, oltre che generico per le ragioni di cui si dira’ oltre.
Quanto alla questione secondo cui egli avrebbe operato legittimamente per aver provveduto alla presentazione dell’istanza di rinnovo entro i cinque anni dalla scadenza dell’autorizzazione alla gestione dei rifiuti in forma semplificata, non essendo intervenuto alcun diniego entro il termine di novanta giorni previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 216, (“….l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti puo’ essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attivita’ alla provincia territorialmente competente…”), la spiegazione e’ stata fornita dal primo giudice e correttamente richiamata dalla Corte d’appello alla pag. 19 della sentenza impugnata. Sul punto, in particolare, la Corte d’appello, nel confutare “il primo punto del secondo motivo di appello”, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado, mostra di condividere la soluzione cui era pervenuto il primo giudice, sottolineando come la normativa in materia “…non puo’ tutelare i comportamenti illeciti posti in essere oltre i 90 giorni dai controlli prefettizi, ma esige che tutte le attivita’ legate ai rifiuti siano svolte nel rispetto della normativa e laddove esulino dall’autorizzazione, integrino attivita’ abusiva di gestione. Non basta il possesso dell’autorizzazione se le attivita’ poste in essere non siano in esse ricomprese perche’ in tal caso si versa appieno nella condotta contestata”.
La censura, a fronte della confutazione dell’identico motivo di appello con argomenti logici ed immuni dai denunciati vizi, e’ dunque generica per aspecificita’, donde la stessa dev’essere anzitutto dichiarata inammissibile. Va, infatti, ribadito che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
La doglianza, peraltro, si appalesa anche manifestamente infondata, in quanto, quand’anche si ritenesse valido l’assunto difensivo circa la liceita’ della prosecuzione dell’attivita’ a seguito dell’applicazione del principio del c.d. silenzio – assenso, cio’ non equivarrebbe a rendere non configurabile il reato contestato, posto che la gestione dei rifiuti in forma semplificata presuppone pur sempre che le attivita’ ad essa riconducibili vengano scrupolosamente osservate, soprattutto in casi, come quello in esame, dove al regime autorizzatorio si sostituisce quello delle comunicazioni. Con la conseguenza che lo svolgimento di attivita’ di gestione di rifiuti in forma semplificata, al di fuori delle condizioni prescritte all’atto della richiesta iniziale o nella richiesta di rinnovo, fa insorgere il pericolo, che il legislatore ha voluto prevenire, richiedendo l’assoggettamento dell’attivita’ ad un controllo della Pubblica Amministrazione, divenendo conseguentemente illegale ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), la prosecuzione in difformita’ dal titolo o dalle condizioni indicate nella richiesta, di rinnovo o di rilascio iniziale. Solo l’osservanza delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione amministrativa elimina i pericoli insiti nel fatto di esercitare un’attivita’ di gestione dei rifiuti senza il rispetto delle regole etero-imposte dall’autorita’ competente (o, come prevede il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 216, richiamato ed applicabile alla fattispecie qui esaminata, senza il rispetto delle “…norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3”): superati i limiti e le prescrizioni amministrative, la gestione dei rifiuti svincolata dall’osservanza di ogni obbligo (e, dunque, per tale ragione definibile come “abusiva”), fa risorgere il pericolo che il legislatore ha voluto prevenire e diviene conseguentemente illegale ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), con la conseguenza che il trasgressore dell’autorizzazione amministrativa (o delle norme tecniche e prescrizioni specifiche, per quanto concerne le operazioni di recupero ex articolo 216 citato, oggetto della comunicazione), pertanto risponde della contravvenzione contestata, cio’ che si desume indirettamente dalla stessa previsione dell’articolo 216 citato, comma 7, secondo cui “7. Alle attivita’ di cui al presente articolo si applicano integralmente le norme ordinarie per il recupero e lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo al recupero”.
Quanto sopra esposto, dunque, priva di qualsiasi spessore argomentativo le deduzioni critiche svolte dalla difesa del ricorrente ai punti 2.3 e 2.3.1. della illustrazione del relativo terzo motivo (v. supra).
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di rifiuti, lo svolgimento di attivita’ di gestione in forma semplificata, al di fuori delle condizioni prescritte all’atto della richiesta iniziale o nella richiesta di rinnovo, fa insorgere il pericolo, che il legislatore ha voluto prevenire, richiedendo l’assoggettamento dell’attivita’ ad un controllo della Pubblica Amministrazione, divenendo conseguentemente illegale ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), la prosecuzione in difformita’ dal titolo o dalle condizioni indicate nella richiesta, di rinnovo o di rilascio iniziale”.
8. Quanto all’ulteriore profilo di doglianza contenuto nel terzo motivo in esame (v. e punto 2.3.2., supra), e vertente sulla corretta qualificazione di rifiuto non pericoloso del materiale rinvenuto, lo stesso si rivela manifestamente infondato.
Ed invero, sulla tesi sostenuta dal ricorrente circa la qualificazione del materiale rinvenuto come M.P.S. in ragione del test di cessione e delle analisi granulometriche anche con l’apporto di due esperti, la Corte d’appello si sofferma a pag. 20 della sentenza impugnata, richiamando quanto argomentato dal primo giudice che, alle pagg.9/15 della sentenza di primo grado, criticava le modalita’ attraverso cui erano state dedotte le doglianze difensive.
Sul punto, osserva il Collegio, come del resto sinteticamente richiamato alle pagg. 7/8 della sentenza impugnata che richiamava a sua volta quanto esposto dal primo giudice, il ricorrente nell’articolata strutturazione di tale terzo motivo di ricorso si diffonde in argomenti tendenti a sminuire il valore probatorio delle dichiarazioni dei testi (OMISSIS) ed (OMISSIS), in ordine alla qualificazione o meno dei predetti materiali come terre e rocce da scavo, dimenticando tuttavia che quanto dal medesimo ricorrente documentato non era comunque sufficiente a far ritenere detti materiali come M.P.S., atteso che – come bene evidenziato dal primo giudice – non si trattava solo di terre e rocce da scavo, ma anche di materiale proveniente da demolizioni. Dunque, alla luce di cio’, non poteva certamente ritenersi esclusa la loro natura di rifiuti, essendo le M.P.S. o le terre e rocce da scavo ontologicamente diversi dai materiali di demolizione. Questa Corte ha infatti piu’ volte ribadito che in tema di gestione dei rifiuti, ai fini dell’applicabilita’ del regime in deroga previsto dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 186, le terre e rocce da scavo devono essere distinte dai materiali di risulta da demolizione, in quanto mentre lo scavo ha per oggetto il terreno, la demolizione ha per oggetto un edificio o, comunque, un manufatto costruito dall’uomo (Sez. 3, n. 37280 del 12/06/2008 – dep. 01/10/2008, Picchioni, Rv. 241088).
A cio’, inoltre, va aggiunto che al fine di stabilire se una determinata sostanza rientri nella categoria delle materie prime secondarie, la valutazione deve essere compiuta con riferimento alla attuale, effettiva destinazione finale alla produzione. Il relativo apprezzamento, attinendo al fatto, e’ incensurabile in Cassazione, se sorretto da adeguata motivazione (Sez. 3, n. 8429 del 05/07/1991 – dep. 30/07/1991, Jieanmonod, Rv. 188792). Ne consegue, pertanto, anche l’irrilevanza delle censure difensive circa l’individuazione dei soggetti gravati degli oneri di esecuzione delle attivita’ di accertamento analitico, ed i pretesi riflessi sulla configurabilita’ del reato di discarica abusiva.
9. Non miglior sorte merita il quarto motivo di ricorso, con cui la difesa del ricorrente svolge censure di violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) e comma 3, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b), attesa la genericita’ del criterio utilizzato per quantificare il materiale contenuto nei cumuli di terra di cui ai capi a), d) ed e) della rubrica, e correlato vizio di motivazione contraddittoria rispetto alla memoria difensiva e di motivazione illogica nella parte in cui richiama la prima sentenza, con conseguente illegittimita’ della disposta confisca.
Il motivo presta il fianco al giudizio di manifesta infondatezza.

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