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A ben vedere il fondamento logico-giuridico della regola generale della tempestivita’ della contestazione disciplinare non soddisfa solo l’esigenza di assicurare al lavoratore incolpato l’agevole esercizio del diritto di difesa, quando questo possa essere compromesso dal trascorrere di un lasso di tempo eccessivo rispetto all’epoca di accertamento del fatto oggetto di addebito, ma appaga anche l’esigenza di impedire che l’indugio del datore di lavoro possa avere effetti intimidatori, nonche’ quella di tutelare l’affidamento che il dipendente deve poter fare sulla rinuncia dello stesso datore di lavoro a sanzionare una mancanza disciplinare allorquando questi manifesti, attraverso la propria inerzia protratta nel tempo, un comportamento in tal senso concludente.
10. In definitiva, la violazione della procedura di cui all’articolo 7 Statuto dei lavoratori, alla quale il novellato articolo 18, comma 6 riconduce l’applicabilita’ della tutela indennitaria debole unitamente ai casi di violazione della procedura di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 7 e di inefficacia per violazione del requisito della motivazione di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 2, comma 2, e’ da intendere, ai fini sanzionatori che qui rilevano, come violazione delle regole che scandiscono le modalita’ di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi, mentre la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestivita’ della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato e’ idoneo a determinare un affievolimento della garanzia per il dipendente incolpato di espletare in modo pieno una difesa effettiva nell’ambito del procedimento disciplinare, garanzia, quest’ultima, che non puo’ certamente essere vanificata da un comportamento del datore di lavoro non improntato al rispetto dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c..
In effetti, la mancanza di tempestivita’ della contestazione disciplinare puo’ indurre nelle suddette ipotesi a ritenere, fino a quando la stessa non venga eseguita, che il datore di lavoro voglia soprassedere al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore, con la precisazione che detto requisito va inteso in senso relativo, come costantemente affermato in diversi precedenti di legittimita’, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, piu’ o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo.
Quindi, la violazione derivante dalla tardivita’ notevole e ingiustificata della contestazione disciplinare e’ sanzionabile alla stregua del citato articolo 18, comma 5 da ritenersi espressione della volonta’ del legislatore di attribuire alla c.d. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale, secondo il quale il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianita’ del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attivita’ economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
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