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7. Ebbene, va subito detto che il caso di cui ci si occupa non trova collocazione in alcuna delle ipotesi tipiche elencate nel primo comma del novellato articolo 18 ai fini dell’applicabilita’ della tutela reale piena, rappresentando queste ultime delle specifiche ipotesi di nullita’ o inefficacia espressamente prefigurate dalla stessa norma. Non va, infatti, sottaciuto che nel caso di specie il licenziamento venne intimato il 18.2.2013 a (OMISSIS) per il fatto che nel periodo (OMISSIS), in qualita’ di preposto alla “linea family”, aveva consentito o, comunque, favorito (coinvolgendo il personale di sportello) la negoziazione di n. 37 assegni bancari per complessivi Euro 455.383,11 in violazione della relativa normativa, permettendo cosi’ ai clienti e non della filiale di incassare (per lo piu’ in contanti) il retratto di numerosi titoli tratti su banche corrispondenti, spesso fuori piazza. E’, pertanto, evidente che la motivazione del licenziamento intimato a Cimino esula dai casi previsti dall’articolo 18, comma 1 ai fini della dichiarazione di illiceita’ o inefficacia per i quali opera la tutela reintegratoria piena. Ne’, tantomeno, puo’ sostenersi che il rilevante ritardo di due anni nella contestazione dell’addebito disciplinare rispetto ai fatti in precedenza accertati possa integrare una causa di nullita’ o inefficacia del licenziamento sanzionabile con l’ordine di reintegra di cui al primo comma del novellato L. n. 300 del 1970, articolo 18 sia perche’ l’ipotesi in esame non e’ contemplata tra le possibili cause di nullita’ o inefficacia espressamente previste dal citato primo comma ai fini della predetta reintegra, sia perche’ si e’ in presenza di un vizio che si concretizza, in realta’, in una forma di inadempimento della parte datoriale ai generali doveri di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori che attiene propriamente alla fase successiva ed attuativa della comunicazione del provvedimento espulsivo, senza alcun concorso alla formazione della causa che ha dato origine al recesso datoriale. In definitiva puo’ ritenersi che si e’ in presenza di un vizio funzionale e non genetico della fattispecie sanzionatoria, per cui nemmeno e’ condivisibile l’orientamento (Cass. sez. lav. n. 2513 del 31.1.2017) secondo cui il fatto non tempestivamente contestato dal datore di lavoro dovrebbe essere considerato insussistente, con violazione radicale dell’articolo 7 dello statuto dei lavoratori che impedirebbe al giudice di valutare la commissione effettiva dello stesso fatto anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Al contrario, il fatto oggetto di addebito disciplinare e’ pur sempre valutabile dal giudicante, il quale dovra’ solo verificare se l’inadempienza al generale principio dell’immediatezza della contestazione finisca per inficiare la validita’ del licenziamento, per individuare poi il tipo di tutela applicabile.
8. Per quel che riguarda, invece, il regime della tutela reintegratoria attenuata l’articolo 18, comma 4 nel testo introdotto dalla L. n. 92 del 2012, stabilisce che il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche’ il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al comma 1 e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita’ lavorative, nonche’ quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennita’ risarcitoria non puo’ essere superiore a dodici mensilita’ della retribuzione globale di fatto. Orbene, il caso in esame non e’ riconducibile a tale previsione normativa per la semplice ragione che quest’ultima presuppone che la mancanza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa sia dovuta alla insussistenza del fatto contestato ovvero alla sua ascrivibilita’ alle condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili, mentre nella fattispecie in esame il fatto posto a base dell’addebito era stato accertato prima che lo stesso venisse contestato, seppur con notevole ritardo, al lavoratore, ne’ emerge che fosse riconducibile ad una previsione collettiva di applicazione di sanzione conservativa. Tra l’altro, e’ interessante notare che l’articolo 18, comma 7 prevede che il giudice applichi la medesima disciplina di cui al comma 4 nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, articolo 4, comma 4, e articolo 10, comma 3, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore, ovvero nel caso che il licenziamento sia stato intimato in violazione dell’articolo 2110 c.c., comma 2, (recesso per decorrenza dei termini stabiliti dalla legge o dagli usi o secondo equita’ nei casi di sospensione del rapporto di lavoro per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio), stabilendo, nel contempo, che il giudice puo’ applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
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