Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 28 dicembre 2015, n. 50743
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 10/10/2014, il Tribunale di Campobasso ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato U. D.G. alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, avendolo ritenuto responsabile dei reato di Ingiuria, per avere pronunciato all’indirizzo di S. S. l’epiteto “pezzente”.
Il Tribunale ha ritenuto che non vi fosse alcun collegamento tra una prima fase dell’episodio, nella quale Il S. aveva cercato di intervistare il Presidente della Giunta regionale, M.T., sui criteri di attribuzione dei primariati presso l’ospedale di Isernia – fase conclusasi con l’intervento di due agenti della Digos che avevano allontanato l’uomo dall’autovettura sulla quale si trovava lo T. – e una seconda fase, iniziata quando li S. si trovava discosto, mentre la polizia controllava i suoi documenti, e scaturita dall’iniziativa dei D.G., all’epoca Assessore alla Sanità, il quale, dopo aver rilevato che le persone che mettevano le mani addosso ad altri, prima o poi, le avrebbero ricevute, aveva apostrofato il S. come “pezzente”. Il giudice di appello ha, in definitiva, escluso sia la sussistenza della reciprocità che della provocazione. 2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando: a) che la distinzione dell’episodio in due fasi prescindeva dalla deposizione di alcuni testi sentiti e dal video acquisito agli atti, che dimostrava io svolgimento contestuale dell’intera vicenda, e travisava il contenuto della deposizione dei consigliere B. e dell’agente della Digos Sullo; b) che la sentenza impugnata neppure aveva valutato, prima, quanto si era verificato nell’aula dei consiglio regionale, dove l’ingresso dei S. aveva creato un momento di forte tensione, e successivamente, la condotta di quest’ultimo, peraltro non iscritto all’albo professionale dei giornalisti, il quale aveva impedito al Presidente T. di allontanarsi con la propria autovettura, giungendo a strattonare Il M., ossia l’autista di quest’ultimo; c) che la , Corte territoriale, nell’affermare l’assenza di reciprocità tra la condotta dei S. e quella dell’imputato, non aveva considerato che il primo, mentre veniva allontanato dagli agenti della Digos dall’autovettura dello T., aveva pronunciato la frase “pensavo che fossero gli scagnozzi dello T.”, mentre erano presenti l’imputato, l’assessore V. e il consigliere B. e che questi ultimi due si erano lamentati con il S., ritenendo che la frase fosse loro rivolta; d) che su tale fatto la Corte d’appello aveva travisato il contenuto della deposizione dei B., che aveva confermato come la frase dei S. lo avesse irritato e che riteneva che anche il D.G. si fosse irritato; e) che anche il teste P., riferendo che l’epiteto “scagnozzi” era stato indirizzato “anche” ad un poliziotto aveva evidentemente correlato l’offesa ad una platea più ampia di quella individuata dal giudice di secondo grado; f) che, del resto, a fronte dell’aggressiva insistenza del S., il quale, per intervistare io T. era giunto ad inserirsi con il busto nell’auto e a spostare l’autista M., che cercava di allontanarlo, le frasi dell’imputato, pronunciate meno di un minuto dopo rispetto all’intervento degli agenti della Digos, erano dirette a rimproverare questi ultimi, per avere tardato ad intervenire.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato, in relazione ad entrambe le articolazioni prospettate, con riferimento all’art. 599, commi primo e secondo, cod. pen. Si osserva, al riguardo, che il frazionamento dell’episodio operato dalla sentenza impugnata, che vi ha coito due fasi distinte, interrotte dall’intervento degli agenti della Digos che avevano allontanato il S. dal veicolo sul quale si trovava lo T., si fonda sulle dichiarazioni degli operanti, secondo i quali era stato proprio l’imputato “ad innescare una nuova situazione di tensione”, “quando Il giornalista si trovava distante dall’autovettura del Presidente della Regione”. Ora, tale valutazione, razionale se rapportata alla percezione degli agenti della Digos, che, dopo aver sedato le manifestazioni esteriori di contrasto, si erano trovati ad affrontare un nuovo focolaio di tensione, non è sufficiente, alla luce degli altri elementi risultali dalla medesima sentenza Impugnata, a giustificare la conclusione dell’insussistenza delle cause di non punibilità invocate dall’imputato. In linea di principio, va, infatti, osservato: a) quanto ali’esimente della reciprocità di cui al primo comma dell’art. 599 cod. pen.i che non è necessario un rapporto di immediatezza delle accuse, pur essendo richiesto che tra le stesse intercorra un evidente nesso di dipendenza nel senso che li secondo offensore offende solo perché il primo ha precedentemente offeso (Sez. 4, n. 1177 dei 13/01/2000, Pizzocaro S, Rv. 215665); b) quanto alla esimente della provocazione, che il dato temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea, fermo restando che l’immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende più evidente la sussistenza dei presupposti di taie circostanza attenuante, mentre Il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza ai fine di escludere Il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore a lungo provato (Sez. 1, n. 16790 dei 08/04/2008, D’Amico, Rv. 240283; v. anche Sez. 5, n. 29384 del 06/06/2006, Pitti, Rv. 235005). In tale cornice di riferimento, il mero intervento degli agenti della Digos e l’allontanamento dell’autovettura che trasportava il Presidente della Regione non valgono, sul piano logico, ad Interrompere, In sé considerate, Il nesso tra le condotte dei S. e quelle dell’imputato e ciò non solo in ragione del contenutissimo arco temporale in cui entrambe sono state poste in essere, ma soprattutto perché dei tutto ragionevolmente la calma percepita dai medesimi agenti era soltanto quella esteriore, derivante dalla forzata Interruzione dell’azione del S..
Ciò premesso, va poi aggiunto, quanto all’operatività dell’art. 599, comma primo, cod. pen., che le conclusioni dei Tribunale, secondo Il quale non vi è alcun elemento che possa ricollegare l’espressione “scagnozzi di Iorio” pronunciata dal S. “agii esponenti politici della corrente di Iorio”, tra i quali appunto l’imputato, in primo luogo, muovono dalla premessa che la frase sia stata pronunciata (talché dei tutto irrilevanti sono le considerazioni dedicate al testimoni che non hanno ricordato di averla sentita) e, in secondo luogo, assumono che sarebbe stata diretta nel confronti degli agenti della Digos che stavano intervenendo, confusi dal S. per addetti alla sicurezza dei Presidente Iorio.
E, tuttavia, tale valutazione riposa sulle dichiarazioni dei teste P. che, nella stessa sentenza Impugnata, vengono riportate in questi termini: “se non ricordo male, era riferita anche ad un addetto alla polizia”, laddove la congiunzione “anche” esprime esattamente un riferimento ad altri destinatari dell’espressione, che, nella deposizione del teste B., quale riportata in ricorso, appaiono essere proprio gli esponenti politici che si trovavano vicini al Presidente.
Tali emergenze probatorie avrebbero richiesto un approfondimento argomentativo finalizzato ad escludere con sicurezza, anche alla luce della concitazione dei momento, la possibilità che l’espressione adoperata dal S. potesse, nello specifico contesto del quale si discute, essere indirizzata o percepita come Indirizzata anche agli esponenti politici vicini allo Iorio. Ma anche con riferimento alla provocazione, è evidente che non è in discussione il tentativo di operare un intervista in relazione ad un fatto di evidente rilevanza pubblica, certo Insuscettibile di essere qualificato come fatto Ingiusto, ma piuttosto il modo con il quale, nonostante l’evidente rifiuto dello Iorio di rispondere, il giornalista ha insistito nella sua condotta, attraverso la violenza fisica, secondo quanto emerge dal brano della deposizione dei teste Sullo riportato in ricorso (“si, lo sposta e si inserisce all’interno” dell’autovettura, riferendosi all’autista M., spinto via, per allontanarlo dalia portiera che cercava di chiudere).
Del resto, va aggiunto, se la condotta dei S. fosse rimasta nei binari dell’energico e legittimo esercizio del diritto di acquisire informazioni di rilievo pubblico, non si comprenderebbero le ragioni dell’intervento degli agenti della Digos.
Sotto tale profila si impone un adeguato approfondimento motivazionale e ciò anche in ragione dell’esplicito nesso fra tale condotta e il successivo intervento dell’imputato, che ai S., In definitiva, rimproverava proprio Il fatta di “mettere le mani addosso alla gente”.
2. In conseguenza, la sentenza impugnata va annullata con rinvio, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., al Tribunale di Campobasso in diversa composizione, Il quale provvederà alla regolazione delle spese tra le parti private, anche In relazione ai giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza Impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 599, c.p., con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Campobasso.
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