Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 19 dicembre 2017, n. 56451. Integra il delitto di indebita compensazione il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti a seguito del c.d. “accollo fiscale”

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In sintesi, sostiene, anzitutto, la difesa della ricorrente di essere legittimata, quale terza proprietaria dei beni assoggettati a vincolo, a proporre ricorso per cassazione, legittimando l’articolo 325 c.p.p. anche la persona cui le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione; con particolare riferimento, poi, alla doglianza sollevata, la ricorrente sostiene che l’ordinanza impugnata, nell’accogliere l’appello cautelare del PM, avrebbe genericamente disposto il sequestro preventivo per equivalente dei beni mobili ed immobili nella disponibilita’ del (OMISSIS) fino alla concorrenza della somma sopraindicata, senza tuttavia nulla specificare in ordine all’apprensione di beni di terzi da assoggettare al vincolo cautelare e delle relative motivazioni, ne’, del resto, si osserva, il PM aveva ritenuto in sede di riesame di indicare tali beni e le ragioni della loro asserita riconducibilita’ all’indagato (OMISSIS); cio’ renderebbe illegittimo il sequestro disposto dal tribunale, per assoluta carenza di motivazione ed insussistenza del titolo giuridico, incombendo in capo al giudice un dovere specifico di motivazione in ordine all’asserita disponibilita’ da parte dell’indagato di beni formalmente intestati a terzi; a tal fine, onde dimostrare la esclusiva proprieta’ in capo alla stessa dei beni sequestrati, la ricorrente allega al ricorso copia di alcuni documenti attestanti il titolo esclusivo di proprieta’ dei predetti beni (libretti di circolazione delle due autovetture, acquistate in leasing e riscattate dalla ricorrente; attestazione notarile relativa alla compravendita immobiliare 1.04.2015 relativa all’immobile sequestrato), beni che non risultano mai essere stati nella disponibilita’ dell’indagato (OMISSIS), ne’, tantomeno, quanto all’immobile, puo’ ritenersi diversamente per il sol fatto che il medesimo e’ entrato a far parte del fondo patrimoniale costituito a rogito notaio (OMISSIS) in data 4.03.2016, risultando dall’atto di costituzione del fondo che l’immobile restava in proprieta’ esclusiva della ricorrente, come del resto ribadito dalla (OMISSIS) nel verbale di separazione consensuale davanti al tribunale di Milano in data 22.03.2017; quanto sopra, infine, renderebbe oltremodo illegittimo il sequestro disposto anche per l’assenza di qualsiasi motivazione a confutazione della impignorabilita’ di un bene immobile adibito a prima casa Decreto Legge n. 69 del 2013, ex articolo 52, e con vincolo di destinazione ai bisogni di un minore.
4. Contro l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, in secondo luogo, l’indagato (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’albo ex articolo 613 c.p.p., prospettando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater, in merito alla pretesa sussistenza del fumus del predetto reato.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che, essendosi in presenza di un reato proprio, esso puo’ essere commesso esclusivamente da parte del contribuente, alla luce della efficacia interna e non nei confronti del Fisco del rapporto terzo/contribuente (discendente dalla natura del c.d. accollo tributario L. n. 212 del 2000, ex articolo 8, comma 2), con la conseguenza che l’accollante non potrebbe mai assumere la veste di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, non potendo ad esso applicarsi i principi di solidarieta’ tributaria ma semmai la sola veste di obbligato in forza del titolo negoziale sottoscritto solo nei confronti del debitore originario ovvero dell’accollato; si aggiunge che se il legislatore avesse voluto includere ed estendere la responsabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater, a terzi soggetti diversi dal contribuente, lo avrebbe espressamente previsto, cosa che invece non e’ avvenuta laddove ha previsto al Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 17, il contribuente quale soggetto passivo di imposta e non altri; le due figure, dunque, non sarebbero sovrapponibili, con la conseguenza che in capo all’accollante non potrebbe mai essere configurata una responsabilita’ per il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater; infine, si sostiene che erroneo sarebbe il richiamo da parte del tribunale del riesame all’articolo 48 c.p., ossia alla figura del c.d. autore mediato, ipotesi sostenuta in alternativa nell’ordinanza impugnata per individuare la responsabilita’ dell’indagato; il delitto fiscale contestato sarebbe configurabile in ragione del fatto che i crediti vantati in compensazione siano inesistenti, conseguendone pertanto che, al fine di attribuire una responsabilita’ in capo al (OMISSIS), si sarebbe dovuta dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ossia la consapevolezza in capo al (OMISSIS) dell’inesistenza dei crediti; sul punto, si osserva in ricorso, non e’ dato comprendere dalla lettura dell’ordinanza il motivo per cui un mero collaboratore, ed assolutamente ignorante della materia fiscale, quale il (OMISSIS), non possa essere considerato in buona fede e invece considerato come un complice della (OMISSIS), laddove invece egli era un semplice procacciatore di affari (di cui la (OMISSIS) si serviva per aspetti meramente pratici ed esecutivi, oltre che per le molte conoscenze e relazioni personali) il quale si era fidato della (OMISSIS) e che era stato in sostanza dalla stessa ingannato, come sarebbe stato dimostrato anche dal fatto che il (OMISSIS) aveva utilizzato per se’ il meccanismo dell’accollo, cosa che certamente non avrebbe fatto ove avesse saputo che i crediti da compensare erano inesistenti; emergerebbe quindi in capo al (OMISSIS) la mera consapevolezza della legittimita’ dell’accollo tributario ma non della fraudolenza del meccanismo fiscale escogitato, non potendo trarsi argomenti a sostegno della tesi accusatoria dalla cessione di crediti inesistenti da parte delle due societa’ facenti capo al (OMISSIS) medesimo indicate nell’imputazione cautelare, atteso che la loro gestione fiscale e tributaria era nelle mani della (OMISSIS) medesima.
4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), per violazione di legge in relazione agli articoli 321 e 322-ter c.p.p. e L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che l’ordinanza avrebbe omesso di individuare i beni da sequestrare e sarebbe assente la motivazione in ordine all’impossibilita’ di disporre il sequestro diretto del profitto sui beni della societa’ (OMISSIS) s.r.l. (di cui egli era socio e liquidatore), laddove nessun ruolo pacificamente egli aveva assunto nella (OMISSIS) s.r.l.; la motivazione dell’ordinanza impugnata ometterebbe ogni considerazione circa l’effettiva, concreta e circostanziata impossibilita’ di procedere a sequestro diretto del profitto, cosi’ facendo malgoverno dei principi affermati dall’ormai nota sentenza Gubert delle Sezioni Unite; l’impossibilita’ di procedere al sequestro diretto non sarebbe stata nemmeno allegata dal PM ricorrente come fatto processuale desumibile dagli atti.
4.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), per violazione di legge in relazione all’articolo 321 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis. In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che un ulteriore motivo di censura andrebbe rinvenuto nella qualificazione e determinazione del profitto assunto; nella specie, il profitto del reato tributario contestato, sarebbe secondo l’impostazione accusatoria costituito dal risparmio di “spesa” rappresentato dall’ammontare del credito inesistente opposto in compensazione; si afferma che erronea e’ l’affermazione secondo cui il fatto sarebbe imputabile alla persona dell’accollante considerato nel caso di specie debitore solidale; sul punto si sostiene che l’autore della compensazione illecita, comunque soggetto diverso rispetto al contribuente, non potrebbe aver causato alcun danno all’Erario poiche’ non ha estinto alcun debito tributario, essendo rimasto in capo al debitore originario l’obbligo del pagamento del tributo, essendo irrilevante la circostanza del risparmio tributario sul debito originario ottenuta in seguito al contratto di accollo; il profitto, dunque, non deriverebbe dalla compensazione fittizia e, quindi, dal reato tributario, ma dall’uso deviato del contratto di accollo, non avendo conseguito alcun risparmio di spesa l’indagato per la compensazione fittizia attuata con l’accollo, per la semplice ragione che alcuna obbligazione tributaria egli avrebbe assunto verso l’Erario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso del (OMISSIS) e’ infondato, mentre quello della (OMISSIS) e’ meritevole di accoglimento.

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