Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 19 dicembre 2017, n. 56451. Integra il delitto di indebita compensazione il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti a seguito del c.d. “accollo fiscale”

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Dunque, non essendo tale modalita’ consentita dalla legge, l’operazione e’ illecita e, nei casi come quello qui esaminato, assume anche rilevanza penale, atteso che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’istituto dell’abuso del diritto di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10-bis, che, per effetto della modifica introdotta dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, articolo 1, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, cosicche’ esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (v., sul punto: Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 – dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264950; Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017 – dep. 31/07/2017, Ferrari, Rv. 270550).
11. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“Integra il delitto di indebita compensazione di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-quater, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti a seguito del c.d. “accollo fiscale” (nella specie, commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale), in quanto il Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 17 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti”.
12. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, deve pertanto respingersi il motivo di ricorso che ruota attorno alla presunta estraneita’ del (OMISSIS) rispetto ai fatti contestati, essendo evidente per le ragioni esplicitate quindi che la responsabilita’ del medesimo discenda proprio dall’attivita’ concorsuale svolta nell’operazione di accollo fiscale illecito posta in essere, dovendosi differenziare l’ascrivibilita’ a titolo diretto o per effetto del disposto dell’articolo 48 c.p. a seconda che il debitore sia o meno consapevole dell’inesistenza del credito da compensare; nel primo caso, infatti, come evidenziato nell’ordinanza, e’ il soggetto agente che assomma in se’ la figura di debitore coobbligato e creditore, dunque non e’ necessario il ricorso al c.d. autore mediato (come, ad esempio, avvenuto in base alle risultanze investigative, nel caso del (OMISSIS), debitore iscritto nel registro degli indagati per cui e’ stato ritenuto ipotizzabile il concorso, insieme al (OMISSIS) ed alla (OMISSIS)); diversamente, ove il debitore sia inconsapevole, trova applicazione l’articolo 48 c.p., in quanto, in quest’ultimo caso, l’accollante stipula il contratto con il debitore accollato ingannandolo sull’esistenza dei crediti, con cio’ inducendolo in errore circa la liceita’ dell’operazione; in tal modo, agendo attraverso l’apporto del debitore inconsapevole della fraudolenza del meccanismo – essendo stato appositamente ingannato attraverso una vera attivita’ truffaldina basata su documentazione falsa – questi pone in essere la condotta di indebita compensazione quale autore mediato, in quanto il debitore originario opera la compensazione perche’ ingannato dal suo coobbligato/accollante circa l’esistenza dei crediti, condotta di cui deve rispondere ex articolo 48 c.p. colui che l’ha indotto in errore.
Nessun pregio ha quindi la censura del (OMISSIS), dunque, laddove contesta il richiamo all’articolo 48 c.p., asserendo che in capo al medesimo vi fosse stata la sola consapevolezza circa la legittimita’ dell’accollo tributario ma non quella della fraudolenza del meccanismo fiscale posto in essere, trattandosi di affermazione in fatto, smentita come gia’ visto dalle risultanze del compendio indiziario, soprattutto intercettativo richiamato, ma soprattutto laddove si consideri l’assoluta correttezza giuridica dell’argomentazione svolta dal tribunale nell’ordinanza impugnata, essendo infatti giustificabile il richiamo “alternativo” operato dal tribunale alla responsabilita’ diretta o per effetto dell’articolo 48 c.p., operando quest’ultima previsione con riferimento ai debitori non iscritti nel registro degli indagati essendo stati ritenuti inconsapevoli dell’inesistenza dei crediti.
13. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alle censure esposte nel secondo motivo, con cui il ricorrente si duole, da un lato, della mancata individuazione dei beni da sequestrare e, dall’altro, dell’assenza di motivazione in ordine all’impossibilita’ di disporre il sequestro diretto del profitto del reato.
Quanto al primo motivo, lo stesso e’ manifestamente infondato, atteso che e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo e’ tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro e’ riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero (Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015 – dep. 09/09/2015, Armeli e altro, Rv. 265058; Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014 – dep. 16/09/2014, Chidichimo, Rv. 260148; Sez. 3, n. 10567 del 12/07/2012 – dep. 07/03/2013, Falchero, Rv. 254918).

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