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3.3. All’interno di questa sequenza non v’è spazio per un esercizio della prelazione che prescinda dalla denuntiatio del proprietario; né v’è possibilità di ipotizzare -come ha fatto la Corte di merito- l’esistenza di un patto di prelazione che consenta di ritenere concluso un preliminare di vendita per effetto della persistenza della decisione di vendere e della manifestazione della volontà di acquistare da parte del prelazionario, sì da poter dare ingresso ad un’azione ex art. 2932 cod. civ..
La Corte ha evidentemente confuso la prelazione legale (di cui si tratta nella presente controversia) con gli effetti di un patto di prelazione, che non è stato mai dedotto in causa e mai è stato riscontrato in fatto, pervenendo erroneamente all’accertamento dell’avvenuta conclusione di un contratto preliminare o, comunque, al riconoscimento della possibilità dello S. di ottenere la tutela in forma specifica di cui all’art. 2932 cod. civ.; il tutto senza considerare che, secondo lo schema tipico della prelazione legale, la conclusione del contratto preliminare avrebbe potuto costituire unicamente lo sbocco dell’avvenuto esercizio della prelazione e non avrebbe potuto prescindere -a monte- dalla denuntiatio del proprietario e dall’offerta, da parte del prelazionario, di condizioni uguali a quelle comunicategli.
Comparando la vicenda all’iter delineato dagli artt. 38 e 39 l. n. 3923/1978, la Corte avrebbe dunque dovuto accertare se -e, in ipotesi, quando- fosse avvenuta la denuntiatio da parte della D. , valutando anche se, in considerazione della peculiarità della vicenda (che ha visto lo S. interagire prevalentemente con i promissari acquirenti e in cui le comunicazioni afferenti l’esercizio della prelazione sono avvenute quasi esclusivamente in ambito giudiziale, anziché in quello stragiudiziale, come prefigurato dal legislatore) fosse comunque risultata integrata una conoscenza delle condizioni della vendita, equipollente a quella retraibile da una denuntiatio del proprietario (cfr. Cass n. 2721/1987, Cass. n. 11552/1998 e Cass. n. 11776/2002, che ammettono, seppure entro limiti rigorosi, la possibilità di “modalità equipollenti”), tale da porre il conduttore in condizione di determinarsi in ordine all’esercizio della prelazione e da far decorrere il relativo termine legale.
Un siffatto accertamento -riservato al giudice di merito- si pone come necessariamente pregiudiziale a ogni altra statuizione, aprendo la strada a esiti processuali diversi o addirittura opposti.
È evidente, infatti, che l’accertamento negativo sull’effettuazione della denuntiatio (o sull’adozione di modalità ad essa equipollenti) comporta che il conduttore non possa essere considerato decaduto dall’esercizio della prelazione e conservi, in caso di vendita a terzi, la possibilità di riscattare l’immobile (non esiste, invece, un “rimedio attuativo” dell’obbligo di preferire” che, in difetto dell’osservanza delle prescrizioni dell’art. 38 l. n. 392/1978, consenta al conduttore un trasferimento diretto, senza dover attendere il momento “sanzionatorio” dell’esercizio del riscatto).
Al contrario, ove sia risultato comunque attivato il meccanismo per l’esercizio della prelazione, dovrà valutarsi se il prelazionario abbia manifestato tempestivamente la propria volontà e, in caso affermativo, se abbia anche provveduto al versamento del prezzo nel termine prescritto: è certo, infatti, che il pagamento non possa essere effettuato -o formalmente offerto, in caso di rifiuto del venditore (cfr., per tutte, Cass. n. 9401/1999)- oltre il termine di trenta giorni successivo alla scadenza del termine assegnato per la manifestazione della volontà di esercitare la prelazione.
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