Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 26 ottobre 2017, n. 25415. La denuntiatio di cui all’art. 38 l. n. 392/1978

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La Corte di Appello di Catania ha riformato la sentenza, trasferendo l’immobile allo S. e condizionando il trasferimento al pagamento del prezzo in favore della D. , da effettuarsi entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza; ha rigettato ogni altra domanda, nonché gli appelli incidentali proposti dalla D. (che aveva insistito nell’eccezione di nullità del preliminare) e dai coniugi Ma. -M. (che si erano doluti del mancato accoglimento della domanda di risarcimento danni proposta nei confronti della venditrice).
Hanno proposto ricorso per cassazione la Ma. e il M. , affidandosi a cinque articolati motivi; hanno resistito sia la D. che lo S. , con distinti controricorsi; hanno depositato memoria i ricorrenti e la D. .

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione degli artt. 38 l. 392/78 e degli artt. 36, 99, 167 e 269 c.p.c. in combinato disposto”), i ricorrenti rilevano che la “Corte territoriale ha finito per accogliere la domanda di trasferimento coattivo dell’immobile in questione, proposta con formale domanda riconvenzionale dal convenuto S. nei confronti dell’altra convenuta D.R. , semplicemente notificata alla stessa e riproposta con l’appello incidentale”, evidenziando come tale domanda riconvenzionale fosse “palesemente inammissibile, perché proposta al di fuori dei casi di cui all’art. 36 c.p.c. ed in particolare nei confronti di un’altra convenuta e non degli attori”; assumono infatti che, “qualora un convenuto intenda proporre una domanda nei confronti di un altro convenuto, per un titolo diretto, seppur riferito a quello dedotto dall’attore, non può svolgere una domanda riconvenzionale nei confronti dello stesso, essendo limitata tale facoltà del convenuto soltanto nei confronti dell’attore, ma deve procedere ad una formale vocatio in jus o autonomamente o sotto forma di chiamata di terzo, unica possibilità di allargare il contraddittorio a tale nuova domanda”; tanto premesso, rilevano che lo S. si era “limitato a notificare la comparsa di risposta all’altra convenuta D.R. , senza le formalità di cui all’art. 269 cpc (…) previste a pena di decadenza della possibilità di proporre domande nei confronti di un terzo in un giudizio già pendente” e che a nulla rilevava la circostanza che tale terzo fosse già in giudizio in quanto convenuto dall’attore; escludono, inoltre, che ricorresse un’ipotesi di connessione con la domanda con cui gli attori avevano chiesto la dichiarazione di decadenza dello S. dall’esercizio della prelazione; concludono pertanto che la Corte non avrebbe potuto esaminare la domanda dello S. volta ad ottenere l’intestazione coattiva dell’immobile della D. .
1.1. La censura è infondata alla luce dei consolidati orientamenti di legittimità che consentono al convenuto di proporre, con la comparsa di costituzione in giudizio, una domanda nei confronti di altro convenuto (c.d. domanda trasversale).
Tale indirizzo, affermato già da Cass. n. 9/1969 e da Cass. n. 894/1971, è stato ribadito da Cass. n. 2848/1980 e da Cass. n. 577/1984 (che hanno sottolineato come lo stesso costituisca espressione dei “principi di economia dei giudizi e di concentrazione processuale”) e, più recentemente, da Cass. 12558/1999 e da Cass. n. 6846/2017, che hanno precisato che tale domanda “va qualificata come domanda riconvenzionale e può essere proposta negli stessi limiti di quest’ultima”.
Atteso che tali limiti risultano rispettati nel caso di specie, deve ritenersi che la domanda dello S. sia stata ritualmente proposta a mezzo della comparsa notificata alla D. nel febbraio 2006.
Né può ritenersi che la domanda dello S. dovesse essere preceduta dalla chiamata in causa della D. (ex art. 269 cod. proc. civ.), dal momento quest’ultima era già presente in giudizio per effetto della citazione compiuta dai coniugi Ma. -M. .
Va escluso, da ultimo, che i ricorrenti (pur interessati a far dichiarare l’inammissibilità della domanda trasversale in quanto esitata in una pronuncia che li pregiudica) siano legittimati a far valere una “violazione del principio del contraddittorio” (dedotta a pag. 14 del ricorso, ma non meglio precisata) che, in ogni caso, avrebbe riguardato la sola D. .

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