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Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’articolo 2059 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il Giudice di appello erroneamente aveva negato del tutto la risarcibilita’ del “danno morale soggettivo” confermando la pronuncia del Tribunale che aveva liquidato il solo “danno biologico” non ritenendo autonomamente liquidabile il danno da sofferenza psichica transeunte.
I ricorrenti richiamano la giurisprudenza formatasi – anche – successivamente alle sentenze SS.UU. nn. 26972 – 26975 dell’11.11.2008, che ha riconosciuto alla “sofferenza morale” (non trasmodante in patologia psichica e dunque in una lesione del diritto alla salute), un ambito ontologico separato tanto dal “danno biologico” che incide sulla integrita’ psicofisica del soggetto cagionando una invalidita’ temporanea o permanente (e che ha ricevuto il crisma legislativo nella disposizione del Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articolo 138, comma 2, lettera a)) quanto dal danno “relazionale” (o “esistenziale”), evidenziando come le sentenze delle SS.UU. del 2008, richiamate dallo stesso Giudice di appello, non avevano affatto affermato la inesistenza o soppressione della voce di danni consistente nella sofferenza interiore, ma avevano piuttosto unificato la nozione di “danno non patrimoniale” come onnicomprensiva delle conseguenze pregiudizievoli della lesione di interessi della persona, giuridicamente rilevanti ed insuscettibili di una esatta valutazione patrimoniale, aventi copertura costituzionale (diritti fondamentali e diritti inviolabili della persona).
Il motivo e’ fondato.
La Corte d’appello, dopo aver rilevato che il Giudice di prime cure aveva liquidato l’importo complessivo di Euro 38.650,11 a titolo di “danno non patrimoniale” in base alle Tabelle in uso presso gli Uffici giudiziari di Roma, ha poi statuito che correttamente il “danno biologico” era stato commisurato, non alla durata probabile della vita del defunto ma alla sua durata effettiva ( (OMISSIS) aveva anni 53 al momento del sinistro e per un soggetto di tale eta’ la previsione di vita della Tabella era pari ad anni 83), pur dovendosi tenere conto del fatto che la intensita’ del paterna d’animo – non integrante piu’ una distinta categoria di danno, essendo riconducibile anche il “danno morale soggettivo” alla unitaria categoria del danno non patrimoniale – e’ massima nel periodo prossimo all’evento lesivo, decrescendo poi progressivamente, richiamando al riguardo il precedente di questa Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2297 del 31/01/2011. Ha quindi rigettato il motivo di appello affermando che “il criterio utilizzato dal giudice di primo grado e’ corretto in considerazione anche del fatto che non sussiste piu’ una categoria a se’ stante di danno morale…..(Cass. sezioni unite n. 26972 del 11.11.2008)”.
La esclusione della sofferenza psichica transeunte (sofferenza interiore della persona) dalla “aestimatio” del pregiudizio patito dal danneggiato, in quanto voce di danno non piu’ “autonomamente” valutabile, contrasta con i principi di diritto affermati da questa Corte e che il Collegio condivide, secondo cui nel caso di lesioni di non lieve entita’ e, dunque, al di fuori dell’ambito applicativo delle lesioni cd. micro permanenti di cui al Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209, articolo 139 il danno morale costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, da tenere distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico relazionali presi in considerazione dal menzionato Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articolo 138 con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove provato, senza che cio’ comporti alcuna duplicazione risarcitoria (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11851 del 09/06/2015), considerato che tale “voce”, integrante la piu’ ampia categoria del danno non patrimoniale, trova rinnovata espressione in recenti interventi normativi (e, segnatamente, nel Decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2009, n. 37 e nel Decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2009, n. 181), che distinguono, concettualmente, ancor prima che giuridicamente, tra la “voce” di danno cd. biologico, da un canto, e la “voce” di danno morale, dall’altro, con la conseguenza che di siffatta distinzione, in quanto recata da fonte abilitata a produrre diritto, il giudice del merito non puo’ prescindere nella liquidazione del danno non patrimoniale (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18641 del 12/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 20292 del 20/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 22585 del 03/10/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 7766 del 20/04/2016).
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