Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 13 ottobre 2017, n. 24075. In ordine all’adeguamento personalizzato del risarcimento per il danno non patrimoniale

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Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26972-26975 dell’11.11.2008, formulato nella massima elaborata dal CED della Corte (“Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che e’ inammissibile, perche’ costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale”) non ha inteso, infatti, escludere dalla aestimatio tale componente del danno – ove allegata e dimostrata in relazione alle specifiche circostanze addotte dal danneggiato -, ma ha invece inteso ribadire il fondamentale principio di tendenziale integrale corrispondenza tra entita’ del pregiudizio e liquidazione dell’importo risarcitorio, secondo cui il danneggiato deve essere conseguire tutto quanto sia necessario a reintegrarlo nella situazione ex ante, ma non di piu’ di quanto abbia effettivamente perduto. Pertanto al precipuo scopo di scongiurare il rischio, spesso verificatosi, di effetti duplicatori perversi nella liquidazione del danno, determinati dal cumulo di poste dipendenti esclusivamente dalla mera proliferazione nomenclatoria delle tipologie di lesioni tutte complessivamente riconducibili all’agire unitario quotidiano della persona, le Sezioni Unite hanno posto in rilievo il carattere unitario del danno non patrimoniale, quale categoria giuridica distinta da quella del danno patrimoniale, venendo a ricondurre in essa tutte le diverse “voci” elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) che non richiedono uno specifico ed autonomo statuto risarcitorio (inteso come metolodogia dei criteri liquidatori per equivalente), ma possono – se fondati su circostanze di fatto apprezzabili – venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, laddove il danneggiato abbia allegato e dimostrato aspetti peculiari della fattispecie che impongano nella attivita’ di “aestimatio” di derogare alla applicazione di criteri di liquidazione standard apprestati dalle Tabelle comunemente in uso agli Uffici giudiziari (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24864 del 09/12/2010), venendo a richiedere una “personalizzazione” del risarcimento. Tale e’ infatti la indicazione che si ritrae dalla motivazione delle sentenze delle SS.UU. citate, laddove si afferma che “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla meta’) del primo. Esclusa la praticabilita’ di tale operazione, dovra’ il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Cio’ che deve essere assolutamente evitato, pertanto, e’ la mera applicazione di automatismi liquidatori, privi di qualsiasi attinenza alla situazione concreta in cui versa la persona, tanto piu’ resa peculiare dalle molteplici espressioni che la sofferenza assume in ciascun individuo in relazione alle specifiche contingenze della vita. La liquidazione unitaria del danno non patrimoniale non significa, invece, la esclusione “tout court” della valutazione – che rimane quindi dovuta, e risponde alla esigenza di adeguare il ristoro alle peculiari caratteristiche della situazione e della persona del danneggiato – di quella componente del pregiudizio non patrimoniale consistente nel “turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti” (cfr., in tal senso, Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 687 del 15/01/2014).
Consegue l’affermazione del principio di diritto:
– nell’adeguamento personalizzato del risarcimento per il danno non patrimoniale, il Giudice di merito non potra’ limitarsi a liquidare la componente “sofferenza soggettiva”, cumulativamente al danno cd. biologico, mediante applicazione automatica di una quota proporzionale (di regola pari ad 1/3) del valore del danno biologico; ne’ tanto meno risulta congrua la applicazione, anche questa automatica, di una riduzione dell’importo, come sopra calcolato, corrispondente a quella del danno biologico commisurato alla durata della vita effettiva del danneggiato (anziche’ alla aspettativa di vita rilevata in base agli indicatori demografici elaborati dall’ISTAT ed assunti nel calcolo tabellare del danno biologico), ma dovra’ preliminarmente verificare se e come tale specifica componente del danno non patrimoniale sia stata allegata e provata dal soggetto che ha azionato la pretesa risarcitoria, provvedendo successivamente -in caso di esito positivo della verifica – ad adeguare la misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di “personalizzazione” nella specie adottato, che dovra’ risultare coerente logicamente con gli elementi circostanziali ritenuti rilevanti ad esprimere la intensita’ e la durata della sofferenza psichica.
La statuizione impugnata non e’ conforme ai principi di diritto sopra indicati, e deve pertanto essere cassata, avendo il Giudice di appello escluso la risarcibilita’ della componente del danno non patrimoniale costituita dalla sofferenza soggettiva ed omesso quindi di considerare le circostanze allegate dagli attuali ricorrenti (in seguito al sinistro (OMISSIS) “aveva dovuto sottoporsi a svariati interventi chirurgici ed aveva pressoche’ perso la vista”) al fine di un adeguamento del ristoro del danno subito dal congiunto deceduto successivamente per altra causa.
In conclusione il ricorso trova accoglimento, quanto al primo motivo, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, che uniformandosi all’enunciato principio di diritto, procedera’ a nuovo esame nonche’ alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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