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2.2. Nel caso di specie, sia il tribunale sia la corte d’appello aditi anteriormente alla pronuncia di questa corte – che ha disposto la cassazione con rinvio – si sono soffermati su questioni processuali relative a se l’istanza tesa ad ottenere dichiarazione di nullita’ della convenzione fosse o no, in quanto proveniente dalla parte, una domanda nuova inammissibile e se, in relazione al regime giuridico della deduzione, la questione potesse o dovesse essere esaminata anche d’ufficio, in relazione peraltro alla circostanza che fosse stata proposta azione di risoluzione. Ne consegue che nel caso di specie il giudice del rinvio (e cio’ risulta anche espressamente dalla sentenza di questa corte che ha disposto il rinvio) era pienamente facultato a valutare, sulla base degli elementi acquisiti, se sussistessero o no i presupposti per l’applicazione del principio di diritto enunciato, i quali non costituivano antecedente logico della pronuncia di legittimita’ ne’ erano in alcun modo coperti da giudicato interno.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia nullita’ della sentenza e violazione di legge, e in particolare della L. n. 1150 del 1942, della L. n. 457 del 1978, delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico del comune di Castano Primo (articolo 14), dell’articolo 2697 c.c., articoli 101, 112 e 115 c.p.c., articoli 1362 c.c. e saeg., nonche’ vizio di motivazione sul fatto decisivo per il giudizio indicato nella perimetrazione del piano di recupero, cui la proprieta’ (OMISSIS) era estranea. Riferendosi all’argomentazione della corte d’appello per cui sarebbe valida la clausola dell’articolo 4 della convenzione, dispositiva di una distanza di m. 3,10 tra i fabbricati, la ricorrente censura la ritenuta applicabilita’ alla fattispecie dell’articolo 14 delle norme tecniche di attuazione, in quanto:
– al piano di recupero, rimontante al 1984, nella convenzione non vi era alcun riferimento, confondendo la corte d’appello le varianti in corso d’opera per l’esecuzione dei lavori edili su richiesta della (OMISSIS), successive alla scrittura del 1992, come varianti al piano di recupero, da adottarsi secondo le procedure di urbanistica;
– in effetti con ampie contraddittoria da un lato si affermava l’adesione formale della (OMISSIS) al piano di recupero, dall’altro – senza indicare l’atto da cui essa si desumesse – si ricercavano con la sentenza impugnata fatti concludenti, come detto inidonei a far emergere l’interessamento dell’edificio al piano di recupero;
– in ogni caso l’ipotesi della possibilita’ di una adesione implicita o per fatti concludenti a un piano di recupero, di cui alla L. n. 457 del 1978, trovava smentita nella stessa legge, che ancora i piani di recupero ai fondi ricompresi nella relativa perimetrazione, da adottarsi con delibera comunale ai sensi della L. n. 1150 del 1942, seguita da convenzione trascritta nei registri immobiliari, a fronte dell’essere la particella interessata della (OMISSIS) ricompresa, invece, nel centro storico, non inclusa nella perimetrazione (a differenza dell’area della (OMISSIS)) e di pertinenza di soggetto non partecipante alla convenzione; per giunta l’edificazione che aveva invaso totalmente la “corte lombarda”, annullando il bene culturale che lo stesso piano intendeva preservare;
– ove non applicabile il piano di recupero, l’articolo 6 punto 6 delle norme tecniche prevedeva il mantenimento delle distanze esistenti, per cui anche tale norma risultava violata dalla sentenza.
3.1. Il motivo, che peraltro sottopone a questa corte di legittimita’ la questione del regime delle distanze applicabile, sottoposto alla regola iura novit curia opportunamente temperata in relazione alle caratteristiche del giudizio di legittimita’, e’ parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.
3.2. Al riguardo, va tenuto conto che, come sopra riepilogato, la sentenza impugnata (paragrafi 14-16 e 18) procede all’individuazione del regime delle distanze applicabile, ai fini della valutazione della derogabilita’ o meno di esso, predicando l’inapplicabilita’ dell’articolo 6 delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico comunale (che contempla la distanza di m. 10), e l’applicabilita’ invece dell’articolo 14 che, per gli edifici ricadenti nel piano di recupero della zona B1, prevede il mantenimento delle distanze esistenti o per il caso di gruppi di case oggetto di piani esecutivi (che la corte territoriale ritiene sussistere nell’ipotesi di specie) – le distanze previste dallo stesso piano. All’interno di tale ricostruzione giuridica, la corte locale (paragrafo 18) afferma la valenza del corpus normativo individuato anche per i fabbricati “esterni al piano”, facendo parte del procedimento amministrativo di formazione di esso il solo fondo della (OMISSIS), ma avendo la (OMISSIS) “formalmente aderito” al piano (p. 41). Ne discenderebbe (benche’ – e’ opportuno rilevare – nella sentenza non si legga il regime delle distanze previsto dallo stesso piano, che riceverebbe legittimazione da tale ricostruzione) il ricadere della fattispecie, in virtu’ della parificazione (paragrafi 17-18) operata dalla corte milanese del piano di recupero agli strumenti (piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche) menzionati del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 2 (parificazione, questa, su cui non e’ il caso di soffermarsi in questa sede, in quanto non direttamente posta in discussione dalla ricorrente, ma riesaminabile anche d’ufficio, in prosieguo, in quanto riguardante la corretta individuazione della fonte di diritto in tema di distanze), nella deroga che detto secondo comma apporta alle distanze di cui al primo comma in ipotesi, appunto, di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
3.3. La statuizione appena riportata appare in contrasto con le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico del comune di Castano Primo, il cui articolo 14 e’ stato evocato direttamente a base del motivo di ricorso (p. 35), e, per suo tramite, con l’articolo 9 del Decreto Ministeriale citato pure richiamato (p. 46 del ricorso); parimenti, l’iter motivazionale della sentenza circa l’essere ricompresi i fondi nello spettro applicativo del piano si presenta contraddittorio e comunque insufficiente.
3.4. Invero, sull’argomento va data continuita’ all’orientamento della giurisprudenza di questa corte secondo il quale l’ipotesi derogatoria contemplata del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione (“Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”), riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata (cosi’ Cass. Sez. U, n. 1486 del 18/02/1997, ribadita ad es. recentemente da questa Sez. con le nn. 23681 del 21/11/2016 e 9915 del 19/04/2017). Ove le costruzioni non siano comprese nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non e’, quindi, recata del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., bensi’ dal comma 1 dello stesso articolo 9 (“Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: (…)”), quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva (Cass. n. 12424 del 20/05/2010). Come piu’ generalmente affermato da Corte Cost. 23 gennaio 2013, n. 6, del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c., costituisce espressione di una “sintesi normativa”, consentendo che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, pur provvista di “efficacia precettiva e inderogabile”, solo nei limiti ivi indicati, ovvero a condizione che le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici siano “inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio”.
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