Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 16 aprile 2018, n. 9258.
Nel caso d’infruttuosita’ della domanda trascritta l’ordine di cancellazione e’ apposto d’ufficio dal giudice, senza che occorra espressa domanda, negli altri casi, invece, una volta che la determinazione sia divenuta irrevocabile, su specifica richiesta della parte interessata, ove ne ricorrano i presupposti, il giudice ordina la cancellazione. Perche’, tuttavia, il conservatore possa far luogo alla cancellazione, e’ necessario che gli si produca, in ogni caso, il titolo irrevocabile che dispone la cancellazione.
Sentenza 16 aprile 2018, n. 9258
Data udienza 8 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25927-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1267/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2017 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega orale dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 4/10/2012, confermo’ quella emessa dal Tribunale di Prato in data 24/7/2006, con la quale era stata respinta la domanda, avanzata da (OMISSIS) (quale erede di (OMISSIS)) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), con la quale aveva chiesto la risoluzione del contratto di compravendita d’un immobile, stipulato il (OMISSIS), per colpa degli acquirenti e conseguente condanna di quest’ultimi a risarcire il danno e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, aveva condannato il (OMISSIS) alla consegna dell’immobile, previo pagamento del residuo prezzo da parte degli acquirenti, nonche’ a risarcire il danno procurato a quest’ultimi, quantificato in 8.263,31 Euro.
2. Questo, in sintesi, il tema della contesa. I Giudici del merito ritengono legittimo il rifiuto di parte acquirente di pagare il saldo del prezzo, ammontante a Lire 130.000.000, nel convenuto termine, in quanto, a sua volta, la parte venditrice non aveva provveduto a far luogo alla cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica, gravante sul bene alienato, ne’ aveva messo il notaio in condizione di far luogo alle attivita’ occorrenti alla cancellazione, nonostante gli acquirenti avessero anche fatto offerta reale del saldo, condizionata all’adempimento di cui s’e’ detto.
Avverso quest’ultima sentenza (OMISSIS) ricorre per cassazione, svolgendo tre motivi di censura.
Resister/Con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS). L’intimato Alessandro (OMISSIS), non costituitosi nel giudizio di merito, non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 1366, 1218, 1455 e 1375 cod. civ., articolo 116 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Secondo la prospettazione impugnatoria il riportato testo della clausola contrattuale, che assegna dieci giorni alla parte venditrice per produrre “tutte le necessarie rinunce onde consentire l’estinzione del procedimento ed ottenere l’ordine di cancellazione” avrebbe dovuto essere interpretato nel senso che l’alienante si era obbligato a mettere a disposizione della controparte la documentazione attraverso la quale poter effettuare la cancellazione e non gia’ procedere, peraltro, nell’incongruo termine di dieci giorni alla cancellazione; cioe’ si trattava di fornire “la cartacea dimostrazione agli acquirenti che nessun pregiudizio poteva ormai loro derivare dalla domanda giudiziale” trascritta.
L’approssimazione con la quale il notaio rogante aveva confezionato la clausola non giustificava la semplicistica lettura della Corte d’appello: era stata prodotta la copia della sentenza del Tribunale di Prato la quale aveva disposto la cancellazione e ove gli acquirenti avessero agito secondo buona fede non avrebbero dovuto remorare dal versare il saldo, stante che ai medesimi nessun pregiudizio poteva derivare dalla trascrizione di una domanda giudiziale ormai irreversibilmente abbandonata. Peraltro, soggiunge il ricorrente, nell’ipotesi di trascrizione di una domanda ex articolo 2932 cod. civ., come nel caso di specie, non era occorrente che la sentenza liberatoria fosse passata in giudicato.
Con il secondo motivo viene denunziata la violazione degli articoli 1455, 1460, 1455 e 1375 cod. civ., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Si osserva che la Corte d’appello aveva erroneamente affermato, nel bilanciare le reciproche posizioni, che la maggior lesione al sinallagma lo aveva procurato l’alienante (madre dell’odierno ricorrente) e non invece gli acquirenti. Quest’ultimi, senza che potessero ricevere nocumento di sorta dal permanere dell’innocua trascrizione, si erano rifiutati di versare il cospicuo residuo prezzo.
Entrambe le censure, unitariamente scrutinabili per ragioni di connessione, risultano infondate.
Con la prima di esse, in definitiva, il ricorrente propugna una interpretazione dei patti negoziali diversa rispetto a quella adottata dalla Corte di merito. La vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come piu’ volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualita’, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realta’ storica ed obiettiva, qual e’ la volonta’ delle parti espressa nel contratto, e’ tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articoli 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, oramai sotto il regime dell’articolo 360 cod. proc. civ., nuovo testo n. 5 e in ipotesi in cui sia stata denunziata omessa motivazione, che qui non ricorre), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non puo’ essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’ (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013).
Il secondo motivo, con maggiore evidenza, propone la rivisitazione del tipico giudizio di merito finalizzato a stimare l’importanza dei reciproci inadempimenti. L’enunciazione degli articoli 1455, 1460 e 1375 cod. civ., lungi dall’apparire pertinente, costituisce un mero escamotage per tentare di accedere ad una diversa valutazione di merito: invero, la Corte d’appello, proprio tenendo conto del contenuto precettivo delle invocate norme ha valutato legittimo l’esercizio del diritto a non adempiere (articolo 1460 cod. civ.) da parte degli acquirenti in presenza dell’inadempimento del ricorrente, giudicato importante e prevalente (articolo 1455 cod. civ.); una tale valutazione ha, ovviamente, escluso che la condotta di autotutela negoziale degli acquirenti potesse considerarsi contraria a buona fede (articolo 1375 cod. civ.).
Con il terzo motivo il ricorrente allega la violazione dell’articolo 2652 c.c., comma 1, n. 2, articolo 2668 c.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Deduce il (OMISSIS) che la trascrizione della domanda giudiziale ha l’esclusivo scopo di rendere opponibile ai terzi la sentenza la cui domanda viene trascritta. Poiche’ nel caso di specie la sentenza del Tribunale di Prato aveva dichiarato cessata la materia del contendere e ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda nessun nocumento poteva derivare agli odierni resistenti. “Invero”, soggiunge il ricorso, “la cancellazione della trascrizione della domanda ex articolo 2932 c.c. (cosi’ come la sua trascrizione) non svolge alcuna funzione in sede circolatoria dei diritti reali o di quelli equiparati, e configura una sorta di “pubblicita’ negativa” volta a rendere pubblico che una determinata formalita’ deve considerarsi giuridicamente non esistente (…) La trascrizione della domanda giudiziale ex articolo 2932 c.c. garantisce dunque al trascrivente una (sicura) condizione di inopponibilita’ – a se’ – degli atti trascritti successivamente in favore di ipotetici terzi acquirenti”. Pertanto, “la regola della continuita’ delle trascrizioni (articoli 2650 e 2644 c.c.) non vale in relazione alle domande giudiziali”. Inoltre, soggiunge, il (OMISSIS), dal coordinato disposto dall’articolo 2652 c.c., comma 1, n. 2 e articolo 2668 c.c., commi 1 e 2, si trae che la cancellazione della domanda giudiziale non richiede il passaggio in giudicato della sentenza che la dispone.
Gli enunciati giuridici riportati non hanno logica pertinenza con la questione controversa; pertanto, anche quest’ultimo motivo deve essere disatteso.
In primo luogo devesi evidenziare che il ricorrente non ha specificamente censurato, come era suo onere, l’affermazione della sentenza impugnata (pag. 4), secondo la quale non risultava essere stata prodotta la “copia autentica” della sentenza che, secondo l’assunto, aveva dichiarato la “cessazione della materia del contendere”. Costituiva, invero, solo una considerazione meramente aggiuntiva l’asserzione del Giudice d’appello secondo la quale, al fine di poter cancellare la trascrizione della domanda, era occorrente che l’ordine di cancellazione fosse contenuto in una sentenza passata in giudicato.
Peraltro, se e’ pur vero che la trascrizione della domanda giudiziale ha il solo scopo di salvaguardare i diritti del trascrivente nei confronti degli aventi causa dall’altro litigante non e’ seriamente dubitabile che, nel caso qui in esame, l’acquirente dell’immobile (e per essa i suoi aventi causa) conservava il diritto a non veder sopraffatto l’acquisto dall’accoglimento della domanda ex articolo 2932 cod. civ., trascritta. Quale, poi, sia da considerare l’incidenza concreta di un tale rischio, tenuto conto delle complessive circostanze accertate in corso di causa, costituisce verifica fattuale, come gia’ si e’ detto, qui non ripetibile.
La circostanza, inoltre, che la cancellazione della trascrizione della domanda, effettuata ai sensi degli articoli 2652 e 2653 cod. civ., deve essere ordinata dal giudice di merito, anche d’ufficio, con la pronuncia di rigetto della domanda medesima o di estinzione del processo per rinunzia o inattivita’ (articolo 2668 c.c., comma 2), non essendo richiesto che la sentenza sia passata in giudicato, come invece previsto in generale dall’articolo 2668 cit., comma 1 non assume rilievo di sorta per quel che qui si dibatte. Invero, la norma invocata assegna al giudice, nel caso in cui l’epilogo sia di rigetto della domanda trascritta o, comunque, d’improcedibilita’ della stessa, di ordinare con la sentenza la cancellazione della trascrizione. Ordine che, negli altri casi, puo’ essere emanato solo dopo il passaggio in giudicato della statuizione (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 23929, 19/11/2007, Rv. 600374). Per essere piu’ chiari: nel caso d’infruttuosita’ della domanda trascritta l’ordine di cancellazione e’ apposto d’ufficio dal giudice, senza che occorra espressa domanda, negli altri casi, invece, una volta che la determinazione sia divenuta irrevocabile, su specifica richiesta della parte interessata, ove ne ricorrano i presupposti, il giudice ordina la cancellazione. Perche’, tuttavia, il conservatore possa far luogo alla cancellazione, e’ necessario che gli si produca, in ogni caso, il titolo irrevocabile che dispone la cancellazione.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ espletate.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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