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Ne consegue, che in presenza della sua allegazione della destinazione delle somme prelevate a fini aziendali, la sentenza impugnata avrebbe dovuto accertare se gli altri elementi acquisiti nell’istruttoria confermassero o meno tale affermazione, non potendosi ritenere raggiunta la prova della distrazione sulla base della mera presunzione che le somme non erano state rinvenute al momento del fallimento.
2.2. Con il secondo motivo e’ stata violazione di legge in relazione alla L. Fall., articolo 216, comma 2 e articolo 223.
Lamenta il ricorrente che i prelevamenti dal conto corrente intestato alla societa’ furono eseguiti negli anni 1999 e 2000 in un periodo in cui non era ravvisabile alcuna difficolta’ economica della societa’ tanto da farne prefigurare il possibile dissesto.
Anche l’ultimo bilancio redatto dal (OMISSIS) prima delle sue dimissioni dalla carica di amministratore rappresentava l’esistenza di un patrimonio netto di segno positivo ed una situazione patrimoniale attiva che neanche lontanamente poteva lasciar ipotizzare un dissesto della societa’.
L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i prelievi effettuati dal (OMISSIS) avevano determinato la situazione di dissesto per il fatto che la societa’ era rimasta inattiva, era stata smentita dagli atti del processo, come il bilancio depositato, da cui emergevano versamenti del (OMISSIS) a titolo di futuro aumento di capitale per Euro 382.023,00, e dagli estratti di conto corrente, da cui emergeva che il prevenuto aveva versato nel conto corrente della societa’ la somma di Lire 122.307.600,00.
2.3. Con il terzo motivo e’ stata dedotta violazione di legge in relazione all’insussistenza dell’elemento materiale del delitto di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 2.
Lamenta il ricorrente che, come evidenziato a pag. 6, 7, 10, 11 dell’atto di appello, l’asserita distrazione era stata annullata da una documentata attivita’ di reintegrazione successiva, come sopra menzionata, precedente al fallimento.
Il ricorrente aveva quindi reintegrato il patrimonio della societa’ annullando gli effetti dei precedenti prelevamenti, versando nelle casse sociali la somma complessiva di Euro 445.189,60. Era stata quindi integrata la fattispecie della c.d. bancarotta riparata.
In ogni caso, i prelevamenti non avevano avuto alcuna incidenza sulle garanzie per i creditori.
2.4. Con il quarto motivo e’ stato dedotta la manifesta illogicita’ della motivazione risultante dagli altri atti del processo e violazione di legge in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 111 Cost., comma 6.
L’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui la societa’ non aveva mai effettivamente operato ed era stata costituita per fruire di un finanziamento pubblico, costituiva un travisamento della prova, emergendo l’operativita’ dai numerosi documenti riversati in atti, quali i regolari depositi dei bilanci fino al 2005, gli assegni comprovanti i pagamenti in favore di altre ditte, l’istanza di fallimento avanzata da una lavoratrice.
2.5. Con il quinto motivo e’ stata dedotta violazione di altre norme di legge di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione agli articoli 2220 e 2555 cod. civ., articolo 111 Cost. e L. Fall., articolo 87.
Ribadisce che la dimostrazione richiesta circa la concreta destinazione dei beni a finalita’ sociali era, per le peculiarita’ che contraddistinguevano tale caso, impossibile e non richiedibile.
2.6. Con il sesto motivo e’ stata dedotta mancanza di motivazione e violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 111 Cost..
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata non aveva dato alcuna risposta alle doglianze esplicate nell’atto di appello, non esaminando nessuna delle eccezioni difensive, con riferimento alla paternita’ dei prelievi (effettuati con sottoscrizione illeggibile), alla giustificazione comunque data sulla destinazione delle somme prelevate, alla solidita’ dell’azienda.
2.7. Con il settimo motivo e’ stata dedotta la contraddittorieta’ della motivazione in punto pena nonche’ violazione di legge in relazione agli articoli 125, 192, 546 c.p.p., articoli 62 bis, 114, 132, 133 c.p., L. Fall., articolo 219.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale, pur dando atto che il giudice di primo grado, nonostante avesse riconosciuto le attenuanti generiche, non aveva applicato la diminuzione di pena, aveva comunque inflitto la pena di 3 anni di reclusione, che aveva finito per svilire l’accoglimento della doglianza svolta in appello.
Era stata infatti effettuata dal giudice d’appello la diminuzione di pena per le attenuanti partendo dalla pena indicata nel dispositivo di primo grado e non da quella di cui in motivazione, nonostante che questa fosse prevalente.
2.8 Con l’ottavo motivo e’ stata dedotta omessa motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante del danno di speciale tenuita’ e in ordine all’illegittimo giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche ed una aggravante mai contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo ed il quinto, che per comodita’ espositiva possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Va preliminarmente osservato che e’ orientamento consolidato di questa Corte che ove l’atto distrattivo consista nell’occultamento di beni sociali, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni che in epoca anteriore o prossima al fallimento erano nella disponibilita’ della societa’ dichiarata fallita, puo’ essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti al soddisfacimento delle esigenze della societa’ o al perseguimento dei relativi fini (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015 – dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710; Cass., sez. 5, 17/04/2013, n. 22894, rv. 255385; Cass., sez. 5, 08/03/2013, n. 23749).
L’imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell’amministratore si giustifica a tutela del ceto creditorio perche’ e’ l’amministratore responsabile della gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso puo’ chiarire, proprio in quanto artefice della gestione, quale destinazione effettiva hanno avuto i beni sociali (Cass. 26 gennaio 2011, n. 7588, id., Rep. 2011, voce cit., n. 64, in motivazione).
Nel caso di specie, il ricorrente non contesta i prelievi dalle casse sociali, che gli sono stati contestati, limitandosi ad affermare genericamente che le somme prelevate sono state destinate a finalita’ sociali. Inoltre, rileva di non essere in grado di documentare il proprio assunto sul rilievo che non e’ in possesso delle scritture contabili della fallita per causa allo stesso non imputabile, avendo dismesso la carica di amministratore circa tre anni prima della dichiarazione di fallimento, e non essendo tali scritture ne’ state rinvenute dal curatore presso la sede della societa’, ne’ consegnate a quest’ultimo dall’amministratore in carica sig. (OMISSIS), di talche’ la prova liberatoria richiestagli avrebbe natura diabolica.
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