Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 marzo 2018, n. 10418. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.

Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.
Solo se il profitto del reato, come sopra precisato, non sia piu’ rinvenibile nelle casse della societa’, correttamente possono essere sottoposti a vincolo i beni dell’amministratore.

Sentenza 7 marzo 2018, n. 10418
Data udienza 24 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza dell’8/9/2017 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI BRINDISI;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;

sentite le conclusioni del PG Dott.ssa CARDIA Delia che ha chiesto annullarsi senza rinvio il provvedimento impugnato relativamente agli anni 2008 e 2009 e rigettarsi il ricorso nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 21/3/2016 riformava solo parzialmente il decreto di sequestro preventivo emesso dal locale GIP il 18/2/2016 a carico di (OMISSIS), indagato in relazione alla violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 (nonche’, sebbene non espressamente indicato, in relazione alla violazione dell’articolo 8 del medesimo testo di legge), per avere, in qualita’ di amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l., per un verso emesso fatture relative ad operazioni inesistenti in favore di societa’ che gestivano impianti di depurazione per conto della Regione Campania e per altro verso, per essersi avvalso, a sua volta, di fatture di acquisto fittizie, relative ai medesimi ed altri beni, al fine di abbattere i propri costi di gestione; in particolare il Tribunale del riesame, accogliendo parzialmente il ricorso del (OMISSIS), ha rilevato che la somma indicata dal Pm, nella misura di Euro 423.682,20, quale profitto del reato in questione in capo alla (OMISSIS) s.r.l., importo quindi pari alle imposte sottratte all’accertamento fiscale, doveva intendersi errata per eccesso, essendo la stessa da ridimensionarsi entro il limite di Euro 388.165,54 e, pertanto, e’ entro questo limite quantitativo che il Tribunale ha ritenuto possibile eseguire e mantenere il sequestro.

Il Tribunale, con quella prima ordinanza del 2016, disponeva altresi’ l’annullamento del decreto impugnato nella parte in cui lo stesso aveva consentito la sottoposizione a sequestro anche dei beni intestati non al (OMISSIS) ma alla (OMISSIS) S.r.l.; osservava in prto il Tribunale che, non sussistendo elementi per ritenere che la (OMISSIS) fosse una societa’ meramente apparente nella quale il (OMISSIS) aveva fatto confluire i propri beni, questa non era suscettibile di essere attinta dal disposto sequestro per equivalente.

2. Avverso il predetto provvedimento il (OMISSIS) ebbe a presentare un primo ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, e la Terza Sezione Penale di questa Corte di legittimita’, con la sentenza 30661/2017 in data 18/10/2016, annullo’ l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi.

Rilevarono nell’occasione i giudici di legittimita’ che:

1. agli atti risulta pacificamente che il provvedimento cautelare oggetto di sindacato di fronte al Tribunale del riesame di Brindisi sia un sequestro per equivalente emesso a carico di (OMISSIS), amministratore di fatto della (OMISSIS) S.r.l., il quale e’ indagato per avere, secondo quanto risulta dal non chiarissimo tenore testuale della ordinanza impugnata, sia emesso fatture relative ad operazioni inesistenti aventi ad oggetto, al fine di consentire loro un indebito risparmio fiscale, la simulazione di cessioni di prodotti chimici ad imprese impegnate nell’attivita’ di gestione di impianti di depurazione per conto della Regione Campania, prodotti che, in realta’, erano direttamente ceduti dalle imprese produttrici a quelle utilizzatrici, senza la intermediazione della (OMISSIS) – sia utilizzato, onde abbattere i redditi imponibili della compagine sociale a lui facente capo, vuoi ai fini della determinazione dell’IVA da riversare o compensare vuoi ai fini delle imposte dirette, altre fatture sempre relative ad operazioni inesistenti.

2. nella ordinanza impugnata il Tribunale di Brindisi prendeva specificamente posizione in relazione alla censura mossa dal ricorrente avverso il provvedimento di sequestro riguardo al fatto che non si fosse preventivamente proceduto al sequestro diretto del profitto del reato ipotizzato; sul punto il giudice del riesame aveva osservato che la individuazione dei beni da sottoporre alla misura cautelare e’ problematica che attiene alla esecuzione della misura reale, per la quale e’ competente il Pm e quindi, a tale riguardo, nulla il Gip avrebbe potuto dire.

3. nel caso in questione il Tribunale pareva avere irrimediabilmente confuso il piano della esecuzione del provvedimento cautelare con il piano del suo contenuto, rendendo in tale modo incomprensibili le ragioni del rigetto della richiesta di riesame. Infatti nel provvedimento impugnato, a fronte di una censura avente ad oggetto la identita’ del soggetto attinto dalla misura cautelare reale, se cioe’ esso debba essere, nel caso di scissione fra chi abbia commesso il reato e chi abbia beneficiato direttamente del profitto dal medesimo derivato, in prima battuta, il primo ovvero il secondo dei soggetti menzionati, il Tribunale osserva che si tratta di questione inerente alla materiale esecuzione del provvedimento (come tale posta sotto la direzione del Pm e non del Gip), proseguendo con la osservazione che, essendo il danaro riconducibile alla persona del (OMISSIS) non sufficiente a coprire l’importo del profitto conseguito attraverso la commissione del reato in provvisoria contestazione, bene avrebbero fatto gli agenti operanti ad estendere il provvedimento cautelare anche alle proprieta’ immobiliari del (OMISSIS).

Le conclusioni cui perveniva la precedente pronuncia di legittimita’ erano che non vi fosse chi non vedesse come tale tipo di rilievo esulasse del tutto rispetto alla problematica sollevata dal ricorrente con la sua impugnazione, la quale, invece, concerneva la possibilita’ che, in assenza di una preventiva verifica sulla entita’ e disponibilita’ del patrimonio di chi direttamente avesse profittato del reato in ipotesi commesso, si procedesse direttamente nella forma del sequestro per equivalente in danno di chi risultasse essere indagato per il reato in questione. E si riteneva che bel caso in questione non risultasse affatto che una tale verifica fosse stata compiuta, risultando, semmai, il contrario, nel senso che tanto parrebbe che il patrimonio della (OMISSIS) s.r.l., beneficiaria dell’illecito risparmio fiscale, avesse una sua consistenza quanto era stato possibile apprenderne taluni beni. Anzi a tale proposito apparirebbe inspiegabile, o quanto meno frutto del travisamento del precedente giurisprudenziale richiamato, l’avvenuto annullamento del provvedimento di sequestro preventivo nella parte in cui lo stesso e’ stato eseguito a carico della (OMISSIS). Infatti, il principio sancito dalla sentenza n. 10561 del 2014 delle Sezioni unite di questa Corte, espressamente richiamato dalla impugnata ordinanza del Tribunale i Brindisi, vale laddove ci si trovi di fronte alla esecuzione di un sequestro per equivalente in danno della persona giuridica rappresentata dal soggetto che materialmente avrebbe realizzato l’illecito. Nel quale caso la incidenza del provvedimento cautelare su beni ontologicamente diversi da quello che puo’ ritenersi rappresentare il profitto conseguito attraverso la attivita’ criminosa potrebbe giustificarsi solo nel caso in cui il dualismo soggettivo fra materiale esecutore del reato e soggetto beneficiario del conseguente profitto sia solo apparente e non reale, costituendo, pertanto, la compagine sociale di cui si tratta un mero schermo sul quale e’, in realta’, proiettata la stessa immagine dell’indagato unico vero personaggio della vicenda andata in scena.

Cio’, pero’, non vale in un caso come il presente nel quale, secondo quanto risulta, il sequestro eseguito in danno della (OMISSIS) aveva i connotati del sequestro diretto, andando immediatamente a colpire, ancorche’ ne potesse essere stata mutata la natura materiale attraverso la loro conversione in altri diversi beni, i profitti conseguiti dalla predetta Societa’ a cagione dell’illecito tributario in ipotesi perpetrato.

Ritenevano percio’ i giudici della Terza Sezione Penale di questa Corte che, per effetto delle considerazioni che precedono l’ordinanza impugnata dovesse essere annullata, in accoglimento del primo motivo di impugnazione presentato dal (OMISSIS), rimanendo assorbiti i restanti, con rinvio al Tribunale di Brindisi, Sezione del riesame, che, in altra composizione, avrebbe dovuto procedere alla verifica della avvenuta esecuzione da parte del PM procedente alla preventiva indagine sullo stato patrimoniale della (OMISSIS) S.r.l., prima di avere richiesto, in luogo del sequestro diretto del profitto dell’illecito tributario in provvisoria contestazione, il sequestro per equivalente in danno del (OMISSIS).

Ebbene, pronunciando in sede di rinvio, in data 8/9/2017, il Tribunale di Brindisi, ha rigettato la richiesta di riesame.

3. Ricorre nuovamente a questa Corte il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un primo motivo di deduce la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 321 cod. proc. pen., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12bis (gia’ articolo 322ter cod. pen.), articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a).

Il ricorrente, ricordato lo sviluppo della procedura di cui si e’ appena detto, evidenzia che presupposto della rimessione disposta dalla precedente pronuncia di legittimita’ era la qualificazione come (esclusivo) sequestro per equivalente della misura cautelare imposta con il Decreto del GIP.

A seguito di detto annullamento, rileva, invece, che il giudice del rinvio ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS), senza uniformarsi alle considerazioni della Suprema Corte e a quanto da essa disposto, e incorrendo comunque in un evidente abbaglio nella lettura e interpretazione del decreto di sequestro oggetto di riesame.

Nell’ordinanza impugnata – si ricorda ancora in ricorso – il Tribunale del Riesame premette “che il sequestro richiesto e disposto a carico dell’ (OMISSIS) da qualificarsi come diretto” ma ritiene “che nella vicenda in esame l’Autorita’ procedente abbia correttamente attuato la sequenza procedimentale richiesta per disporre in via residuale il sequestro finalizzato alla confisca di valore”.

A dire del tribunale brindisino “il vincolo reale era stato innanzitutto applicato – in via diretta – sui beni immobili di proprieta’ della societa’ e su di un conto corrente intestato al medesimo ente il che evidentemente sottintende una previa verifica delle disponibilita’ patrimoniali della societa’ amministrata dall’indagato” salvo poi sostenere che “non ricorrevano elementi intesi ad affermare la natura di “profitto diretto” dei due beni immobili della (OMISSIS) s.r.l., dall’esame degli atti trasmessi dal PM infatti si evince che i due beni immobili furono acquistati con atti pubblici stipulati nel 2013 e nel 2014, ossia in epoca successiva ai periodi di imposta in cui si sarebbe verificato l’artificioso abbattimento dell’imponibile per effetto dell’esposizione in dichiarazione di costi fittizi (fino al 2012). A tanto si aggiunga che, essendo la societa’ realmente operante, non emerge alcuna evidenza idonea a sostenere che i ridetti immobili fossero stati acquistati unicamente con le somme sottratte al Fisco secondo la contestazione”.

Da tanto il tribunale della cautela – ci si duole – trae come conseguenza che “la sottoposizione a vincolo dei cespiti intestati e/o nella disponibilita’ dell’amministratore di fatto dell’ente si giustifica quindi per il fatto che il “profitto” diretto rappresentato dalle somme di denaro appostate sul c/c della societa’ (Euro 19.747,62) non coprissero l’importo dell’imposta evasa” e che corretta fosse risultata l’esecuzione del sequestro a carico del (OMISSIS), “delle somme di denaro presenti sui c/c a lui intestati o nella sua materiale disponibilita’”, che pure qualifica come sequestro “diretto”; “dei beni immobili dell’indagato” che qualifica invece come sequestro per equivalente.

Dunque, ad avviso del ricorrente, il giudice del rinvio, per un verso, avrebbe ritenuto – errando – che il decreto di sequestro impugnato autorizzasse in prima battuta il sequestro diretto dei beni della (OMISSIS) s.r.l. quale soggetto che aveva beneficiato direttamente del profitto dell’ipotizzato reato (del che, invece, a suo dire, non vi sarebbe traccia nel provvedimento del GIP e nemmeno nella richiesta del P.M. procedente) e che solo in via residuale avesse disposto il sequestro per equivalente in danno di (OMISSIS), indagato per il reato in questione, e, per altro verso, si sarebbe sottratto al compito devolutogli dalla Corte di Cassazione ossia di verificare se il P.M., prima ancora di richiedere il sequestro per equivalente avesse preso in esame anche solo allo stato degli atti il patrimonio dell’ente che aveva tratto vantaggio dalla commissione del reato tributano al fine di poter apprendere il profitto dell’evasione fiscale. Cio’ in quanto il tribunale del riesame, come detto, deduce che sia stata compiuta “una previa verifica delle disponibilita’ patrimoniali della societa’ amministrata dall’indagato” dalla sola circostanza che, in sede di esecuzione, “il vincolo reale fosse stato applicato – in via diretta – su beni immobili di proprieta’ della societa’ e su di un conto corrente intestato al medesimo ente”, ancora una volta irrimediabilmente confondendo il piano della esecuzione del provvedimento cautelare con il suo contenuto e con gli accertamenti ad esso prodromici.

Ed invece, dall’ordinanza impugnata e dai suoi motivi, come pure dal decreto di sequestro oggetto di riesame, non emergerebbe affatto quale verifica il P.M. abbia compiuto per accertare quale fosse, allo stato degli atti, il patrimonio della (OMISSIS) S.r.L. e se fosse possibile – come lo era – sottoporre a vincolo il profitto dell’ipotizzato reato, prima ancora di richiedere (e, soprattutto, prima di porre in esecuzione) il sequestro per equivalente in danno di (OMISSIS).

La questione posta con la richiesta di riesame concerneva, infatti, il difetto di motivazione del decreto di sequestro, ossia la totale assenza, in quest’ultimo, di qualsivoglia accenno ad un accertamento che avesse escluso, anche transitoriamente, la praticabilita’ del sequestro dei beni che costituivano il profitto diretto del reato stesso, indicazione necessaria alfine di indagare sulla legittimita’ della misura ablativa eseguita nei confronti dell’odierno ricorrente alla luce di quanto stabilito, da ultimo, dalla decisione n. 35330 del 23.8.2016 della Terza Sezione di questa Corte espressamente richiamata nella sentenza di rinvio (conformi tra le altre, le sentenze 41073/2015 e 1738/2015, nonche’ Sez. Un 10561/2014).

Con tale pronuncia, ricorda il ricorrente. questa Corte ha chiaramente sancito che, in tema di reati tributari, il Pubblico Ministero e’ legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma “per equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio di chi abbia tratto vantaggio dalla commissione del reato, valutazione di cui deve dare conto nella richiesta della misura reale. Di piu’, nella parte motiva la medesima sentenza ha pure precisato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando l’impossibilita’ del reperimento del profitto diretto – anche solo transitoria e reversibile – sia sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura.

Da tanto conseguirebbe che, nel caso in specie, condizione essenziale per poter procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti del (OMISSIS) sarebbe stata la preventiva verifica dell’impossibilita’, anche transitoria e reversibile, di poter apprendere il profitto diretto tra i beni di chi avesse tratto vantaggio dalla commissione del reato; di tale accertamento, invece, non v’e’ traccia non solo nel provvedimento di sequestro (come de; resto riconosce la stessa sentenza di rinvio della Cassazione, che a pag. 5 osserva: “Nel caso in questione non risulta affatto che una tale verifica sia stata compiuta, risultando, semmai il contrario”), ma nemmeno nella relativa richiesta avanzata dal Pubblico Ministero.

Invero l’impossibilita’ di procedere al sequestro diretto non sarebbe stata neppure allegata dal Pubblico Ministero.

Viene ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile ovvero quando gli stessi non siano aggredibili e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilita’ (cosi’ ancora, in motivazione, Sez. 3 n. 41073 del 30.9.2015). Quindi il Pubblico Ministero procedente – prosegue ancora il ricorrente- non aveva libera scelta tra sequestro diretto e quello per equivalente ne’ tantomeno poteva chiederli entrambi e confusamente, prescindendo da una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio di chi aveva tratto vantaggio dalla commissione del reato, rimettendo alla fase di sua esecuzione gli accertamenti sulla consistenza patrimoniale del beneficiano dell’illecito (come ritiene il tribunale del Riesame); egli, invece, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, poteva chiedere al giudice il sequestro preventivo in danno di (OMISSIS) nella forma per equivalente in luogo del sequestro diretto (nei confronti della (OMISSIS) s.r.l.) del profitto dell’illecito in contestazione purche’ (e solo a condizione che) avesse gia’ preventivamente svolto indagini sullo stato patrimoniale di detto ente.

Nel caso in esame si lamenta invece che il decreto di sequestro preventivo per equivalente sia stato invece richiesto ed emesso senza che fosse sommariamente verificata l’impossibilita’ di procedere al sequestro diretto e senza alcuna motivazione circa l’esistenza ex actis ditale impossibilita’; come del resto gia’ evidenziato dalla precedente sentenza di rinvio.

L’assenza di una sia pur minima attivita’ di verifica da parte del Pubblico Ministero prima e del GIP poi emergerebbe per il ricorrente con tutta evidenza ove si consideri che agli atti risultano acquisite e indagini finanziarie svolte nei confronti della ” (OMISSIS) s.r.l. “da parte della Guardia di Finanza (allegati 55, 56, 57, 58 e 59 al PVC) da cui risulta la consistenza economico-patrimoniale della societa’ e la possibilita’ di rinvenire presso di essa il profitto dell’ipotizzato reato.

Ciononostante, il Tribunale della cautela avrebbe confermato il sequestro preventivo per equivalente autorizzato nei confronti di (OMISSIS) ritenendo erroneamente che tali indicazioni e la relativa motivazione potessero essere elusi con evidente inosservanza o comunque in violazione ed erronea applicazione dell’articolo 322ter c.p. (ora integralmente riprodotto nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12bis) e mancando altresi’ di uniformarsi alla sentenza di annullamento in violazione anche dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a).

Peraltro, come risulta dalle visure catastali presenti negli atti di indagine, i beni immobili di proprieta’ di (OMISSIS) sottoposti a sequestro dalla P.G. sono stati tutti acquistati dal 2004 al 2005, ossia in epoca ben antecedente ai periodi di imposta oggetto di contestazione; sicche’, anche a voler aderire alla tesi secondo cui nel reato tributario il profitto del reato e’ qualificabile come risparmio di spesa, detto risparmio doveva ovviamente maturarsi nel periodo di commissione del reato contestato.

Nel caso in specie quanto appena riportato non avrebbe trovato attuazione, in ulteriore palese violazione di legge.

Con un secondo profilo di doglianza si lamenta violazione dell’articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 125 c.p.p., comma 3 nonche’ mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione.

Il ricorrente rileva che con la precedente sentenza di annullamento la Terza Sezione di questa Corte ha ritenuto di annullare l’ordinanza impugnata “in accoglimento del primo motivo di impugnazione (…) rimanendo assorbiti i restanti”.

Ma il giudice di rinvio avrebbe frainteso la portata di tale assorbimento, in quanto dalla lettura della sentenza emergerebbe con tutta evidenza che i giudici di legittimita’ hanno ritenuto fondato gia’ il primo motivo del ricorso e conseguentemente hanno annullato l’ordinanza, senza nemmeno esaminare i successivi motivi di doglianza, la cui delibazione e’ stata evidentemente rimessa al giudice del rinvio.

Di contro ci si duole che il Tribunale di Brindisi, nell’ordinanza impugnata, abbia ritenuto che “la limitazione dello scrutinio, affidato a questo Tribunale, circa la verifica delle condizioni per attivare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex articolo 322 ter c.p., comma 2, presuppone(sse), all’evidenza, l’avvenuto superamento da parte del giudice di legittimita’ di una serie di questioni pure proposte nel ricorso per cassazione (carenza e/o illogicita’ della motivazione cima la sussistenza del fumus commissi delicti assenza di una valutazione autonoma sul compendio indiziario da parte del GIP); si tratta, invero, di questioni che, nella valutazione complessiva dei motivi del gravame, hanno necessariamente costituito un prius rispetto all’unico profilo censurato” (si vedano le pagg. 6 e 7 dell’impugnata Ordinanza).

Di conseguenza, si lamenta che il giudice del rinvio si sia limitato alla sola verifica (invero, neanche a quella) delle condizioni legittimanti la richiesta di sequestro per equivalente ed abbia omesso del tutto di esaminare gli altri motivi che la Terza Sezione Penale di questa Corte non aveva deciso per averli ritenuti assorbiti nel primo.

Al riguardo il ricorrente osserva che i motivi riguardanti la carenza e/o illogicita’ della motivazione circa la sussistenza del fumus commissi delicti e l’assenza di una valutazione autonoma sul compendio indiziario da parte del Gip non costituivano affatto un prius rispetto al profilo censurato in via principale e accolto dalla Cassazione, come erroneamente ritenuto dal tribunale del rinvio, ma integravano e integrano motivi autonomi e distinti non m connessione essenziale con il punto investito dall’annullamento, ne’ da esso necessariamente dipendenti dal punto di vista logico-giuridico. Sicche’ l’ordinanza impugnata difetterebbe del tutto non solo della motivazione ma anche dell’esame e della decisione delle altre questioni prospettate dalla difesa con il ricorso di legittimita’.

In sede di riesame – ricorda il ricorso – (OMISSIS) aveva infatti dedotto la violazione da parte del GIP anche dell’articolo 292 cod. proc. pen. in relazione alla mancanza nella motivazione del decreto di sequestro di una sua propria ed autonoma valutazione rispetto ai motivi addotti dal Pubblico Ministero con la relativa richiesta. Nella medesima sede era stato posto in evidenza come il GIP si fosse limitato a condividere le argomentazioni dell’inquirente senza addurre altre e diverse considerazioni che avrebbero consentito di ritenere l’impugnato provvedimento frutto anche di una sua autonoma valutazione.

Il giudice del riesame, invece, errando, avrebbe omesso del tutto di delibare la censura, seppur evidentemente fondata.

Il raffronto del decreto di sequestro con la relativa richiesta del Pubblico Ministero consentiva, secondo la tesi sostenuta in ricorso, ove si evidenziano gli specifici punti, di rilevare che il GIP si e’ invece appiattito sul punto di vista del Pubblico Ministero, utilizzando le stesse acquisizioni e le medesime considerazioni svolte dall’organo della Pubblica accusa, mutuandone persino le incongruenze e le parti inconferenti, i difetti motivazionali, nonche’ gli errori di calcolo, senza un personale, concreto e specifico apprezzamento del materiale indiziario a carico di (OMISSIS) e delle esigenze cautelari a lui riferibili.

Osserva il ricorrente come, tra l’altro, come gia’ evidenziato dalla difesa in sede di riesame, essendo mancata nel decreto di sequestro la specificazione dell’importo delle singole fatture e dell’eventuale superamento del limite soglia previsto dalla legge per il pagamento in contanti, la mera generica indicazione da parte del GIP del pagamento in contanti di numerose fatture non costituiva affatto indizio della illiceita’ delle modalita’ del pagamento stesso o della inesistenza delle transazioni sottesevi, basti riguardo considerare che le soglie limite per il pagamento in contanti sono variate nel tempo e che negli anni 2009-2012 la (OMISSIS) s.r.l. ha emesso nei confronti della ” (OMISSIS) s.r.l.” ben 249 fatture (come risulta dal capo di incolpazione), per un valore medio di Euro 3.614,46, che ben avrebbe potuto umanamente e legittimamente pagarsi in contanti; il che avrebbe reso irrilevante – ai fini del fumus di colpevolezza – anche la pretesa mancanza (addotta nel decreto di sequestro) di documentazione attestante l’effettivo pagamento della merce, come evidenziato in sede di riesame.

Peraltro, il ricorrente ricorda di avere osservato che il decreto di sequestro si sofferma unicamente sulle circostanze di fatto ritenute indizianti dell’inesistenza delle operazioni sottese alle fatture in questione, ma non specifica alcun elemento o circostanza da cui possa desumersi che i corrispondenti elementi fittizi siano stati inseriti nelle dichiarazioni d’imposta IRES ed IVA; la registrazione in contabilita’ delle false fatture o la loro conservazione a fini di prova non sono infatti sufficienti ad integrare il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, per il quale occorre anche e congiuntamente detto inserimento (Sez. 3, n. 14855 del 19.12.2011).

Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi dianzi illustrati sono fondati, nei limiti che si andranno a specificare, e pertanto l’impugnato provvedimento va annullato con rinvio al tribunale di per un nuovo esame.

2. Va ricordato che l’articolo 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha, tuttavia, piu’ volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093).

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