Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 marzo 2018, n. 10418. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.

segue pagina antecedente
[…]

Ancora piu’ di recente e’ stato precisato che e’ ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (cosi’ Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli articoli 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarita’ amministrative,).

Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.

Deve rilevarsi, ancora, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, puo’ essere pacificamente disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato (Sez. 3, n. 23108 del 23/4/2013, Nacci, Rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’articolo 322 ter cod. pen. dalla L. n. 190 del 2012; conf. Sez. 3 n. 35807 del 7/7/2010, Bellonzi e altri, Rv. 248618; Sez. 3 n. 25890 del 26/5/2010, Molon, Rv. 248058).

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (articolo 322-ter cod. pen.) puo’ essere applicato ai beni anche nella sola disponibilita’ dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorche’ il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (Sez. 3, n. 15210 dell’8/3/2012).

Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non e’ rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui e’ inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, n. 26654 del 2/7/2008, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri).

In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 19) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta nell’articolo 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’articolo 240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite n. 1811 del 24/2/1993, Bissoli e n. 9149 del 17.10.1996, Chabni Samir).

Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (cosi’ questa sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849). In particolare, va sottolineato che l’IVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato (sez. 3 n. 25890/2010; Sez. Unite 38691/2009).

Va peraltro ricordato che in tema di misure cautelari reali, il Tribunale del riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalita’, l’esatta corrispondenza tra profitto del reato e “quantum” sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito (sez. 3, n. 39091 del 23.4.2013, Cianfrone, rv. 257284).

Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri, essa e’ insindacabile in sede di legittimita’. Il provvedimento del tribunale del riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente puo’ essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati; valutazione necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalita’ tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l’adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca (ex multis, sez. 3, 7 ottobre 2010, n. 41731).

3. Cio’ premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, come si andra’ a specificare, si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l’errata applicazione di norme di diritto in relazione alla corretta individuazione del profitto del reato.

Va subito chiarito un punto.

Il decreto di sequestro preventivo del 17/2/2016 recita, nella parte dispositiva, che viene ordinato “il sequestro preventivo dei beni mobili, dei crediti, degli immobili, dei mobili registrati, delle azioni, delle quote sociali e degli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico che saranno rinvenuti nella disponibilita’ di (OMISSIS), anche tramite l’interposta persona giuridica (OMISSIS) s.r.l.. E questa Corte in proposito, con la sentenza 30661/17 ha gia’ chiarito – ed a tale interpretazione il giudice del rinvio era astretto – che “risulta pacificamente” che si tratta di un decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso a carico di (OMISSIS), amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. (cfr. pag. 3 della precedente sentenza di legittimita’).

Ebbene, nel provvedimento oggi impugnato, il tribunale brindisino confonde nuovamente il piano dell’esecuzione del provvedimento cautelare con quello del suo contenuto.

Nel provvedimento del GIP – e prima ancora nella richiesta del PM – non pare esservi, come fondatamente lamenta il ricorrente e come invece ritiene il provvedimento imputato, autorizzazione in prima battuta al sequestro diretto dei beni della (OMISSIS) s.r.l. quale soggetto che aveva beneficiato direttamente del profitto dell’ipotizzato reato e solo in via residuale disposizione del sequestro per equivalente in danno di (OMISSIS), indagato per il reato in questione.

Il tribunale brindisino, pertanto, effettivamente si e’ sottratto, in sede di rinvio, al compito devolutogli dalla Terza Sezione Penale di verificare se il P.M., prima ancora di richiedere il sequestro per equivalente avesse preso in esame anche solo allo stato degli atti il patrimonio dell’ente che aveva tratto vantaggio dalla commissione del reato tributano al fine di poter apprendere il profitto dell’evasione fiscale.

Ed invero tale “previa verifica delle disponibilita’ patrimoniali della societa’ amministrata dall’indagato” non poteva essere dedotta dalla sola circostanza che, in sede di esecuzione, “il vincolo reale fosse stato applicato – in via diretta – su beni immobili di proprieta’ della societa’ e su di un conto corrente intestato al medesimo ente”, ancora una volta, altrimenti, irrimediabilmente confondendendosi il piano della esecuzione del provvedimento cautelare con il suo contenuto e con gli accertamenti ad esso prodromici.

La Terza Sezione Penale di questa Corte aveva chiesto al giudice del rinvio – e allo stato non risulta ancora fatto – di procedere alla verifica della avvenuta esecuzione da parte del PM procedente alla preventiva indagine sullo stato patrimoniale della (OMISSIS) S.r.l., prima di avere richiesto, in luogo del sequestro diretto del profitto dell’illecito tributario in provvisoria contestazione, il sequestro per equivalente in danno del (OMISSIS).

Cio’ in quanto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile ovvero quando gli stessi non siano aggredibili e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilita’ (cosi’ Sez. 3 n. 41073 del 30.9.2015, Scognamiglio, Rv. 265028 richiamata dal ricorrente).

Il pubblico ministero e’ legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato (e percio’ nella ricordata sentenza 41073/2015 la Corte ha escluso la legittimita’ dell’emissione di un decreto di sequestro per equivalente in difetto di una verifica, sommaria e allo stato degli atti, dell’impossibilita’ di procedere al sequestro di somme di denaro, costituendo quest’ultimo un sequestro in forma “diretta”).

4. Occorre – e’ stato chiarito in una successiva pronuncia – una verifica della capienza patrimoniale dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, dovendosi escludere, peraltro, che in tale valutazione possano rientrare considerazioni di “prudenza investigativa” estranee alla concrete difficolta’ di accertamento del patrimonio dell’ente beneficiato (Sez. 3, n. 35330 del 21/6/2016, Nardelli, Rv. 267649). E’ stato pero’ anche precisato che non e’ necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della societa’ o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014 dep. il 2015, Bartolini, Rv. 261929).

Il PM procedente, in altri termini, non ha libera scelta tra sequestro diretto e quello per equivalente ne’ tantomeno poteva chiederli entrambi e confusamente, prescindendo da una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio di chi aveva tratto vantaggio dalla commissione del reato, rimettendo alla fase di sua esecuzione gli accertamenti sulla consistenza patrimoniale del beneficiano dell’illecito (come ritiene il tribunale del Riesame); egli, invece, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, poteva chiedere al giudice il sequestro preventivo in danno di (OMISSIS) nella forma per equivalente in luogo del sequestro diretto (nei confronti della (OMISSIS) s.r.l.) del profitto dell’illecito in contestazione purche’ (e solo a condizione che) avesse gia’ preventivamente svolto indagini sullo stato patrimoniale di detto ente.

segue pagina successiva in calce all’articolo
[…]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *