Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 marzo 2018, n. 10418. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.

segue pagina antecedente
[…]

Nel caso in esame pare fondata la doglianza che il decreto di sequestro preventivo per equivalente possa essere stato invece richiesto ed emesso senza che fosse sommariamente verificata l’impossibilita’ di procedere al sequestro diretto e senza alcuna motivazione circa l’esistenza ex actis di tale impossibilita’; come del resto gia’ evidenziato dalla precedente sentenza di rinvio. Di tale indagine doveva dare conto il giudice del rinvio nel provvedimento oggi impugnato. Ma non l’ha fatto. In particolare, avrebbe dovuto rispondere al rilievo difensivo circa il fatto che l’assenza di una sia pur minima attivita’ di verifica da parte del Pubblico Ministero prima e del GIP poi emergerebbe con tutta evidenza dal fatto che agli atti risultano acquisite le indagini finanziarie svolte nei confronti della ” (OMISSIS) s.r.l. “da parte della Guardia di Finanza (allegati 55, 56, 57, 58 e 59 al PVC) da cui risulta la consistenza economico-patrimoniale della societa’ e la possibilita’ di rinvenire presso di essa il profitto dell’ipotizzato reato.

5. Ritiene il Collegio che, a ben guardare, si tratta dei principi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato con la nota sentenza Gubert (Sez. Un. n. 10561 del 30/1/2014, Gubert, Rv. 258648 e ss.) il cui condivisibile dictum va qui ribadito.

Nel solco di tale orientamento si ebbe gia’ modo di ricordare (cfr. Sez. 3, n. 22127 del 30/4/2015, Giussani ed altro, non mass.) che questa Corte di legittimita’ ha gia’ in piu’ occasioni chiarito il principio – che va qui ribadito – secondo cui in tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non e’ subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilita’ dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (cfr. Sez. 2, n. 21228 del 29/4/2014, Riva Fire spa, rv. 259717, fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una societa’, responsabile per illecito amministrativo ex L. 231 del 2001).

Esplicito sul punto e’ anche l’arresto giurisprudenziale costituito dalla sentenza n. 37846/2014, Aiello, non mass., che, peraltro, si e’ collocato nel solco costituito dalla pronuncia delle Sez. Unite n. 29951 del 24/5/2004, C. fall. in proc. Foscarelli, Rv. 228166.

In tale ultima occasione le SS.UU. esaminarono proprio la questione dei limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono “profitto del reato”. E affermarono, condivisibilmente, che tale sequestro deve ritenersi sicuramente ammissibile sia allorquando la somma si identifichi proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia ogni qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di occultare (Sez. 6, n. 23773 del 25/3/2003, Madaffari), rilevando essere evidente, a tal proposito, che la fungibilita’ del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purche’ sia attribuibile all’indagato (Sez. 6, n. 4289 del 1/2/1995, Carullo).

E’ vero che nell’occasione le SS.UU. precisarono che deve pur sempre sussistere, comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilita’ creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa) e, in particolare, in relazione agli illeciti fiscali, che devono escludersi collegamenti esclusivamente congetturali, che potrebbero condurre all’aberrante conclusione di ritenere in ogni caso e comunque legittimo il sequestro del patrimonio di qualsiasi soggetto venga indiziato di illeciti tributari.

Ma sul punto ritiene il Collegio che occorre essere chiari.

Di fronte ad un reato, come quello che ci occupa, la cui condotta si sostanzi nell’omissione di un versamento di una somma di danaro all’Erario, ad un Ente Previdenziale o a chicchessia, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. E se nelle casse di colui (persona fisica o societa’) su cui gravava l’obbligo di versamento viene rinvenuto del danaro, trattasi di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato. E cio’ vale sia se si voglia aderire all’orientamento giurisprudenziale per cui trattasi di sequestro diretto che se si opini che si tratti di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

Reiteratamene, sul punto, questa Corte ha affermato che la nozione di profitto confiscabile va individuata nel vantaggio patrimoniale di diretta derivazione dal reato (cfr. Sez. 6, n. 37556 del 27/9/2007, De Petro Mazarino, Rv. 238033). E le Sezioni Unite hanno ribadito il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato e puo’ dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. un., n. 18734 del 31/1/2013, Adami, Rv. 255036).

Ma vi e’ di piu’. Non e’ necessario che il danaro rinvenuto sia liquido.

Questa Corte, condivisibilmente, ha precisato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’articolo 322 ter cod. pen., costituiscono “profitto” del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo e’ trasformato, in quanto tali attivita’ di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione cio’ che rappresenta l’obiettivo del reato posto in essere (Sez. 6, n. 11918 del 14/11/2013 dep. il 2014, Rossi, Rv. 262613). E, ancora, e’ stato ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, puo’ colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (sez. 2, n. 14600 del 12.3.2014, Ber Banca spa, fattispecie relativa al sequestro preventivo di denaro, titoli, valori, beni mobili, immobili ed altre utilita’ nella disponibilita’ di una banca, corrispondenti al prezzo del reato di “market abuse”, commesso dai legali rappresentati della banca medesima).

6. Cosi’ delineati i principi relativi al concetto di profitto e di riconducibilita’ a quello del danaro o dei diretti investimenti di quello rinvenuti nel possesso del soggetto nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario, il giudice di rinvio potra’ fare corretta applicazione dei principi di diritto piu’ volte richiamati di cui alla sentenza delle SS.UU. n. 10561/2014, Gubert, che giovera’ ricordare: 1. E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica. 2. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. 3. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. 4. La impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato.

E’ dunque consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca d denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica.

Tuttavia la stessa sentenza Gubert, dopo avere precisato che l’impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato stesso, afferma anche il principio che non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio (e non e’ il caso che ci occupa).

Solo se il profitto del reato, come sopra precisato, non sia piu’ rinvenibile nelle casse della societa’, correttamente possono essere sottoposti a vincolo i beni dell’amministratore.

7. Fondato appare anche il secondo motivo di ricorso.

Fin da epoca risalente, con giurisprudenza mai mutata, questa Corte ha precisato che il giudice di rinvio e’ vincolato, ai sensi dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, alla decisione della corte di cassazione limitatamente a cio’ che concerne le questioni di diritto decise, ma non in ordine a questioni che la Corte non ha deciso, dichiarando i relativi motivi assorbiti in quello accolto con la pronunzia di annullamento (Sez. 2, n. 2812 del 25/10/1991 dep. il 1992, Mastroleo, Rv. 189311 in cui la Corte ebbe ad evidenziare che alla dichiarazione di assorbimento del motivo – non prevista dal codice tra le statuizioni del giudice – deve attribuirsi il significato che la questione – formante oggetto del motivo – non e’ stata decisa ma demandata, senza alcun vincolo, all’esame del giudice di rinvio; conf. Sez. 4, n. 2476 del 28/10/1985 – dep. 26/03/1986, Barbagallo, Rv. 172246)).

Ancora recentemente, e’ stato ribadito che nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, il giudice del rinvio e’ tenuto a riesaminare e a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi assorbiti, purche’ queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello (Sez. 5, n. 39786 del 11/7/2017, Zordan, Rv. 271074).

Condivisibilmente, nella sentenza 39786/2017, si e’ ribadito che incorre in un grave vizio logico e violi le regole processuali il giudice di appello che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della cassazione, equipari le eccezioni ritenute assorbite dalla corte in sede di annullamento con rinvio (perche’ secondarie rispetto ad un macroscopico ed assorbente vizio logico della motivazione che ne aveva travolto la validita’ rendendo superfluo l’esame degli aspetti secondari), al rigetto delle medesime doglianze e, partendo da tale errato assunto, si esima in sede di rinvio dal prendere in considerazione e dal motivare adeguatamente sul loro rigetto (Sez. 5, n. 2638 del 21/01/1997, Ficarra F, Rv. 207892).

Alla dichiarazione di assorbimento del motivo – non prevista dal codice tra le statuizioni del giudice – deve, pertanto, attribuirsi il significato che la questione – formante oggetto del motivo – non e’ stata decisa ma demandata, senza alcun vincolo, all’esame del giudice di rinvio, il quale e’ tenuto a pronunciarsi sulla stessa, sempre che abbia formato oggetto anche dei motivi di appello.

Erra, nel caso che ci occupa, il giudice del rinvio a ritenere che “il perimetro del nuovo accertamento devoluto espressamente dalla Corte regolatrice (…) e’, dunque, circoscritto alla verifica dei presupposti per accedere al sequestro per equivalente in danno dell’amministratore di fatto della societa’ beneficiaria dell’illecito risparmio di imposta ipotizzato dal P.M.” il che “presuppone, all’evidenza, l’avvenuto superamento da parte del giudice di legittimita’ di una serie di questioni pure proposte nel ricorso per cassazione (carenza e/o illogicita’ della motivazione circa la sussistenza del fumus commissi delicti, assenza di una valutazione autonoma sul compendio indiziario da patte del GIP)”.

Apodittica e incomprensibile e’ l’affermazione che si legge nel provvedimento impugnato secondo cui “si tratta, invero, di questioni che, nella valutazione complessiva dei motivi di gravame, hanno necessariamente costituito un prius rispetto all’unico profilo censurato”.

Del resto, se cosi’ si ritenesse, occorrerebbe desumersi che nella sentenza 30661/2017 si sia risposto agli articolati motivi di cui al ricorso del 6/4/2016 in forma implicita, senza avere speso neanche un rigo di motivazione.

Alla stregua di tale indiscussa interpretazione, occorre prendere atto che il giudice del rinvio censurato e’ venuto meno al proprio inderogabile e specifico compito di riesaminare le questioni, che egli stesso ha ricordato, relative, in particolare, alla carenza e/o illogicita’ della motivazione circa la sussistenza del fumus commissi delicti e all’assenza di una valutazione autonoma sul compendio indiziario da patte del GIP, doglianze cui, in uno con quella esaminata in precedenza, andra’ fornita una risposta dal nuovo giudice del rinvio.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Brindisi.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *