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2. Il secondo motivo di ricorso e’ fondato. Successivamente alla sentenza impugnata, che e’ stata emessa il 3-2-2014, la Corte costituzionale, con sentenza 12-2-2014, n. 32, ha infatti dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, per violazione dell’articolo 77 Cost., comma 2, del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articolo 4 – bis e articolo 4 vicies ter, come conv., con modif., dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 1, cosi’ rimuovendo le modifiche apportate, con le norme dichiarate illegittime, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 13 e 14, e determinando il ripristino della normativa abrogata, in forza della quale le condotte inerenti alle sostanze di cui alla tabelle 1 e 3 erano punite con la reclusione da otto a venti anni e la multa da 25.822 a 258.228 Euro; le condotte inerenti alle sostanze stupefacenti di cui alla tabelle 2 e 4, come quelle relative al caso in esame, erano punite con la reclusione da due a sei anni e la multa da 5.146 a 77.468 Euro. Come si vede, dunque, uno scenario normativo radicalmente nuovo, la cui profonda alterita’ rispetto a quello inerente all’epoca del commesso reato e dell’emanazione della sentenza impugnata impone una rivalutazione, da parte del giudice di merito, del trattamento sanzionatorio da applicarsi al caso in disamina.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato. Occorre, in primo luogo, osservare come difetti il presupposto di fatto della questione di legittimita’ costituzionale prospettata, non risultando dalla motivazione della sentenza impugnata che sia stata raggiunta la prova della finalita’ di consumo personale della condotta di coltivazione. Ed, anzi, va rilevato come tale prospettazione collida con quanto ritenuto dalla Corte d’appello circa la finalita’ di cessione a terzi del quantitativo di stupefacente rinvenuto in possesso dell’imputato. Ad ogni modo, la questione, gia’ sollevata nei medesimi termini, e’ stata respinta dalla Corte costituzionale, la quale ha osservato come, nel caso della coltivazione, manchi il nesso di immediatezza con l’uso personale e cio’ giustifichi un atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalita’ del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti, per uso personale. Si tenga anche conto – ha precisato il giudice delle leggi – che, nel caso della coltivazione, non e’ apprezzabile ex ante, con sufficiente grado di certezza, la quantita’ di prodotto ricavabile dal ciclo della coltivazione, sicche’ anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili e cio’ ridonda in maggiore pericolosita’ della condotta. Si consideri poi che l’attivita’ produttiva e’ destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialita’ diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili (Corte cost., sent. 247-1995, n. 360; ord. n. 109 del 2016). Le considerazioni del ricorrente sono inidonee ad infirmare la validita’ di quest’impianto argomentativo o comunque ad introdurre elementi di novita’, tanto piu’ che anche le Sezioni unite si sono espresse nel senso che la coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti costituisce reato indipendentemente dalla circostanza che il prodotto della coltivazione sia destinato o meno ad uso esclusivamente personale (Sez. U., n. 28605 del 24-4-2008), essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, la distinzione fra coltivazione tecnico -agraria e coltivazione domestica. La questione di legittimita’ costituzionale prospettata va pertanto dichiarata manifestamente infondata. Anche perche’, sotto il profilo dell’offensivita’, il giudice a quo, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha evidenziato che si trattava di ben otto piantine, tutte dotate del potere drogante e idonee a produrre ulteriormente sostanza stupefacente, nel protrarsi dell’attivita’ di coltivazione.
4. L’ultimo motivo di ricorso e’ fondato. La sentenza emanata e’ infatti antecedente alle modifiche apportate alla L. n. 79 del 2014, articolo 73, comma 5. E’ ben vero che il reato di coltivazione, in relazione al quale e’ stata riconosciuta l’ipotesi della lieve entita’, e’ stato inquadrato come reato-satellite, nell’ambito della continuazione ravvisata dal giudice di secondo grado, in esito alla condanna per la detenzione di hashish e marijuana, e ha dunque perso la propria autonomia. Tuttavia, la diversita’ della cornice edittale introdotta dalla L. n. 79 del 2014, per il reato di cui alla L.Stup., articolo 73, comma 5, che prevede oggi la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro 1032 a Euro 10.329., non puo’ non rientrare nelle valutazioni del giudice di merito, anche in sede di quantificazione dell’aumento ex articolo 81 cpv. c.p.. Anche su questo punto si impone pertanto un pronunciamento rescindente.
5. La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente al punto concernente il trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia. Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente il trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso.

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