Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 1 dicembre 2015, n. 24421
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13621/2014 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocato (OMISSIS), (OMISSIS), che lo rappresentano e difendono unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 444/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/03/2014 R.G.N. 12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) E (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, per ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 21/3/14 la Corte d’Appello di Bologna accoglieva il reclamo proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la pronuncia di prime cure emessa ai sensi della Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 49, con cui il Tribunale della stessa sede aveva accolto il ricorso proposto da (OMISSIS) inteso a conseguire la impugnativa del recesso intimatogli in data 5/4/12 per sopravvenuta inidoneita’ alle mansioni a lui ascritte.
A sostegno del decisum, per cio’ che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale deduceva che gli esiti degli accertamenti peritali espletati in primo grado deponevano nel senso della totale inabilita’ del (OMISSIS) – giornalista sportivo tenuto a redigere articoli su prove di autoveicoli e motoveicoli su strada che egli stesso eseguiva – allo svolgimento dei test su circuiti, e della parziale inidoneita’ a quelli su strada. Aggiungeva che tale sopravvenuta inidoneita’ aveva determinato una scomposizione delle mansioni di “tester” originariamente affidate al lavoratore – che venivano in seguito ascritte a due ulteriori unita’ – che incideva sul costo del lavoro e sulla sua organizzazione, e pertanto non poteva ritenersi esigibile da parte aziendale.
Rimarcava, infine, con riferimento alla collocabilita’ “aliunde”, che sarebbe stata necessaria l’allegazione da parte del lavoratore di quelle mansioni diverse – non legate alla valutazione dei motoveicoli – alle quali poteva essere adibito, sicche’, anche sotto tale profilo, l’atto di recesso doveva ritenersi immune da censure.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, resistiti con controricorso dalla (OMISSIS) s.r.l..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1362 e 1363 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Si lamenta che i giudici del gravame, nella esegesi del contratto di lavoro inter partes, abbiano omesso di indagare sulla comune intenzione delle parti chiaramente evincibile dalle clausole contrattuali che definivano l’oggetto della prestazione lavorativa, con esclusivo riferimento alla redazione di almeno un servizio giornalistico alla settimana riguardante prove e test di autoveicoli e motoveicoli. E che il contratto avesse quale oggetto essenziale lo svolgimento di attivita’ giornalistica risultava evidente dalla sottoposizione del rapporto alla disciplina del contratto di lavoro giornalistico, richiamata nella lettera di assunzione, con asserzione che andava ricompresa nell’ambito di una interpretazione complessiva delle clausole negoziali, predicata dal dettato normativo di cui all’articolo 1363 c.c., e rimasta inosservata da parte della Corte territoriale.
La censura e’ da ritenersi innanzitutto, ammissibile giacche’ reca puntuale indicazione dei canoni ermeneutici che si assumono violati dalla Corte distrettuale nella attivita’ di esegesi dell’assetto negoziale intervenuto fra le parti, cosi’ sottraendosi ai rilievi formulati dalla societa’ controricorrente con riferimento alla genericita’ della doglianza, ritenuta, con approccio privo di pregio, carente di analitico riferimento al vizio che avrebbe inficiato il percorso logico-giuridico dei giudici del gravame.
Essa e’, altresi’, fondata.
Un corretto inquadramento della questione scrutinata, induce a rimarcare che, in tema di interpretazione dei contratti, l’indagine circa la comune volonta’ dei contraenti deve essere condotta sui binari del senso letterale delle espressioni usate e della individuazione della “ratio” del precetto contrattuale, tracciati dall’articolo 1362 c.c..
E’ stato infatti affermato da questa Corte il principio (vedi Cass. 9 dicembre 2014 n. 25840), che va qui ribadito, alla cui stregua detta disposizione codicistica impone all’interprete del contratto di ricostruire in primo luogo la volonta’ delle parti: per far cio’ deve muovere dal testo contrattuale, verificando se questo sia coerente con la causa del contratto, le dichiarate intenzioni delle parti, e le altre parti del testo.
Si tratta di un percorso non semplicemente lineare che muova dal testo per risalire all’intenzione, ma di un percorso circolare, il quale impone all’interprete di compiere l’esegesi del testo; ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti; verificare se l’ipotesi di “comune intenzione” ricostruita in base al testo sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle parti.
(OMISSIS) tali premesse di ordine metodologico, non puo’ prescindersi dal rilievo che, nello specifico, detta regola non risulta rispettata dalla Corte distrettuale la quale, dopo aver meramente richiamato il tenore letterale del contratto, e delineato il comportamento successivo assunto dalle parti – che deponeva nel senso dello svolgimento da parte del (OMISSIS), anche di prove pratiche su strade normalmente aperte al traffico – ha omesso di indagare l’effettivo contenuto delle rispettive intenzioni delle parti trasfuso in quella comune intenzione che realizza la lex contractus, dando per scontato che l’oggetto della prestazione fosse costituito, essenzialmente, dallo svolgimento da parte del (OMISSIS), di prove e test di motoveicoli ed autoveicoli.
Nella operazione ermeneutica svolta dalla Corte distrettuale, s’impone, dunque, l’evidenza della lacunosita’ del tessuto motivazionale che sorregge l’impugnata sentenza, non aderente al sistema delineato dalle norme di interpretazione ricognitiva, ed, in primis, dall’articolo 1362 c.c..
La disposizione, invero, come sottolineato in dottrina, non esclude che nel momento iniziale del procedimento interpretativo debba essere applicato il metodo letterale, e, cioe’, debba essere indagato il significato proprio delle parole, giacche’ questo momento del procedimento non puo’ essere eliminato; la norma impone, invece, di negare valore al brocardo “in claris non fit interpetratio” e di procedere ad un completo esame ermeneutico del comportamento giuridicamente rilevante, senza fermarsi ad una ricognizione prima facie.
A conforto di quanto sinora detto, va evidenziato come da autorevole dottrina sia stato rimarcato che la formula del secondo comma dell’articolo 1362 c.c., sta ad indicare uno stretto collegamento fra testo letterale ed intenzione comune delle parti quale e’ desumibile (anche) dal contegno delle parti stesse ed in particolare, da quel contegno esecutivo (non solo anteriore ma anche) posteriore alla conclusione del negozio.
In tal senso si palesa la carenza di fondo dell’iter argomentativo seguito dai giudici del gravame, i quali non hanno tenuto conto del primo degli elementi che segnano il percorso ermeneutico scandito dalle disposizioni di interpretazione ricognitiva, tralasciando di considerare il momento del procedimento attinente alla verifica del significato proprio del tenore letterale del negozio inter partes.
La Corte distrettuale, come desumibile dalla sintetica esposizione recata dalla parte motivazionale, si e’ infatti limitata ad un mero richiamo al contenuto della pattuizione, laddove sanciva l’impegno assunto dal lavoratore, di “redigere almeno n. 1 articolo alla settimana riguardante: prove e test di autoveicoli e motoveicoli in genere con redazione di resoconti dettagliati”, senza tuttavia procedere alla doverosa integrazione e verifica di coerenza di detto elemento con le parti restanti del contratto e con il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, al fine di determinare – all’esito di una valutazione equilibrata di tutti i fattori costitutivi in cui si sostanzia l’articolato procedimento ermeneutico scandito dalle disposizioni di cui agli articoli 1362 – 1365 e 1369 c.c., – quale fosse stata la comune intenzione delle stesse.
Gli approdi ai quali e’ pervenuta, individuando quale nucleo caratterizzante dell’obbligazione oggetto della prestazione lavorativa, esclusivamente le mansioni relative all’espletamento di prove su strada, per quanto sinora detto, risultano carenti di una approfondita indagine dell’intero contesto dell’accordo intervenuto fra le parti – che comprendeva espressamente come in precedenza osservato, quale precipuo oggetto della obbligazione posta a carico del prestatore, l’impegno di redigere almeno un articolo o servizio settimanale – non palesandosi, pertanto, in alcun modo idonei a correttamente individuare gli scopi da esse avuti di mira.
Dei criteri che presiedono alla esegesi dell’assetto contrattuale – il senso letterale delle espressioni usate e la “ratio” del precetto contrattuale – destinati ad integrarsi a vicenda, la Corte distrettuale ha omesso la doverosa disamina del primo, cosi’ non pervenendo ad una corretta individuazione della effettiva intenzione delle parti.
La rilevanza della riscontrata lacunosita’ della indagine ermeneutica compiuta dalla Corte territoriale, assume conseguente decisivo riverbero anche sugli ulteriori momenti attinenti alla determinazione della sopravvenuta inidoneita’ fisica del ricorrente a svolgere le prestazioni a lui ascritte, e al c.d. principio del “repechage”, la cui valutazione non potra’ prescindere dalla verifica dell’oggetto del contratto e della comune intenzione delle parti come desumibile dal tenore della pattuizione inter partes.
In definitiva, alla luce delle sinora esposte considerazioni il primo motivo di ricorso va accolto con assorbimento delle ulteriori censure.
La sentenza impugnata va cassata in ordine alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze che provvedere anche per la decisione in ordine alle spese del presente giudizio, attenendosi al seguente principio di diritto: “L’interpretazione del contratto sancita dall’articolo 1362 c.c., dal punto di vista logico impone all’interprete di compiere l’esegesi del testo; di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti; di verificare se l’ipotesi di comune intenzione ricostruita in base al testo sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle parti. La disposizione, tuttavia, non esclude che nel momento iniziale del procedimento interpretativo, debba essere applicato il metodo letterale, e, cioe’, debba essere indagato il significato proprio delle parole, giacche’ questo momento del procedimento non puo’ essere eliminato, la norma imponendo esclusivamente di negare valore al brocardo in claris non fit interpetratio”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimita’, alla Corte d’Appello di Firenze.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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