Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 13 maggio 2015, n. 19761
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 161/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA, del 04/06/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
sentite le conclusioni del PG Dott. POLICASTRO Aldo che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che chiede l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di riesame avanzata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti del decreto di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto terreni e beni della (OMISSIS) s.r.l., nonche’ degli stessi (OMISSIS). Tale provvedimento cautelare era stato emesso dal G.i.p. perche’ i ricorrenti erano accusati di avere posto in essere, in concorso tra loro e con altri soggetti, condotte riconducibili a truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, consistenti, tra l’altro, nella creazione cartolare e contabile di ingenti quantitativi di gasolio agricolo e nella vendita del prodotto agevolato a soggetti non titolati, il tutto in evasione delle accise dovute, emettendo fatture per operazioni mai avvenute, con l’aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7.
2. Osservavano i ricorrenti che il Tribunale non aveva operato alcun approfondimento in ordine al fumus, con particolare riferimento al rapporto di specialita’ tra le violazioni finanziarie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000 e l’ipotizzata truffa aggravata ai danni dello Stato.
3. La Corte di Cassazione, con sentenza del 16/5/2013, riteneva fondato il ricorso e annullava l’ordinanza impugnata. Osservava che il sequestro dei beni della societa’ non poteva avvenire al di fuori dei casi previsti dalla Legge n. 231 del 2011, articoli 24 e ss., i quali non prevedono tra le fattispecie i reati fiscali, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. Rilevava che tali problematiche non erano state affrontate dal provvedimento impugnato.
4. Il giudice del rinvio, con ordinanza del 4/6/2014, riteneva la sussistenza dei requisiti per l’emissione del sequestro con riferimento ai reati contestati, riqualificato quello sub a) nella fattispecie di cui all’articolo 640 c.p., comma 2.
5. In particolare ravvisava il fumus dei suddetti reati, poiche’ la Guardia di Finanza aveva accertato che l’attivita’ truffaldina ascritta agli indagati era finalizzata all’evasione dell’imposta, in quanto consentiva loro di scontare l’IVA e l’accisa sul gasolio, creando un’ingente quantita’ di prodotto petrolifero sottoposto a regime agevolato da porre in commercio, evadendo gli oneri fiscali.
6. Quanto al periculum, lo stesso era ritenuto connesso alla stessa confiscabilita’ del bene.
7. In ordine al precedente annullamento, rilevava che la critica della Corte di Cassazione riguardava l’omesso esame della questione della confiscabilita’ dei beni in sequestro, poiche’ appartenenti non alle persone fisiche, ma ad una societa’ di cui le medesime possedevano esclusivamente una quota. Osservava in proposito che l’analisi della composizione delle societa’ del gruppo e dei rapporti di reciproco controllo consentiva di affermare che si trattava di persone giuridiche riconducibili agli indagati e ai loro congiunti e prive di reale autonomia rispetto ai medesimi.
8. Con ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deducono, con unico motivo, violazione dell’articolo 627, comma 3 e articolo 606, comma 1, lettera B), C) ed E), in relazione all’articolo 125 c.p.p., articolo 640 c.p., comma 2, n. 1, Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, articolo 40, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 4 e 8, per avere l’ordinanza impugnata affermato l’operativita’ della confisca per equivalente di cui all’articolo 322 ter e 640 quater c.p. nonostante il principio di diritto fissato dalla sentenza di annullamento; violazione dell’articolo 627, comma 3 e articolo 606, comma 1, lettera B), C) ed E) in relazione all’articolo 125 c.p.p. e all’articolo 321 c.p.p. e articolo 322 ter c.p. e alla Legge 8 giugno 2011, n. 231, articoli 19 e 24, per avere l’ordinanza gravata di ricorso, nonostante le chiare indicazioni di diritto rivenienti dalla sentenza di annullamento, mediante argomentare mancante e illogico, indicato solo apparentemente gli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la motivazione e, comunque, operato una ricostruzione dei fatti frammentaria e parziale, che non tiene conto delle considerazioni svolte dalla sentenza della Cassazione. Osservano che il principio di diritto fissato nella sentenza di annullamento stabilisce che la confisca per equivalente opera per il reato speciale, ma il sequestro di beni della societa’ non puo’ avvenire al di fuori dei reati previsti dalla Legge n. 231 del 2001, articolo 24, che non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, con l’esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato per commettere illeciti. Osservano che, a fronte di tali chiare indicazioni, il Tribunale si era limitato ad affermare la natura meramente strumentale della societa’, dell’attivita’ svolta dalla medesima, della composizione e ripartizione delle quote. Su tali problematiche il giudizio del Tribunale del riesame, ritenuto affrettato e sommario dalla Cassazione, non era stato sufficientemente arricchito di elementi a sostegno delle valutazioni espresse. Rilevano che la societa’ in questione, proprio perche’ riferibile non solo agli indagati, ma anche ai loro stretti congiunti, estranei ai fatti, non puo’ essere ritenuta “artificioso schermo protettivo”, tanto piu’ che essa svolge effettiva attivita’ d’impresa in ambito alimentare che nulla ha a che vedere con il commercio di carburanti. Evidenzia che il traffico finanziario sul conto di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non puo’ essere considerato elemento dal quale trarre la fruizione pro quota da parte di costoro di vantaggi derivanti da operazioni illecite, posto che il provvedimento del GIP non ravvisa nei confronti dei predetti sufficienti indizi di reita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato, poiche’ il provvedimento non risulta rispondente ai criteri dettati dall’articolo 627 c.p.p..
2. La motivazione del provvedimento impugnato non svolge compiuta disamina del punto devoluto con il provvedimento di annullamento alla cognizione del giudice del rinvio, specificamente per quanto attiene al presupposto della mancanza di autonomia della struttura societaria rispetto ai soggetti indagati, richiesto ai fini dell’adozione della misura cautelare.
3. Ed invero la motivazione del provvedimento impugnato fonda la ritenuta mancanza assoluta di autonomia della societa’ (OMISSIS) s.r.l. rispetto alla persona fisica dell’indagato, con funzione di mero schermo, esclusivamente sulla composizione societaria, che vede peraltro coinvolti numerosi altri soggetti, ancorche’ familiari del predetto. Nel suo argomentare, inoltre, non fornisce spiegazione adeguata riguardo alla riconducibilita’ all’attivita’ illecita oggetto d’indagine dell’operato della suddetta societa’, ancorche’ essa svolga, come si evince dall’oggetto sociale e salva dimostrazione del contrario, attivita’ d’impresa in un settore, quello alimentare, che esula dal commercio dei carburanti suscettibile di sottrazione all’accisa e all’IVA.
4. Si deve richiamare l’orientamento di questa Corte di legittimita’ in punto di interpretazione della Legge n. 231 del 2011, articolo 24, che recentemente ha ricevuto il riconoscimento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 10561 del 30/01/2014 Rv. 258646), secondo cui non e’ possibile la confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare, come affermato in numerose pronunzie (nello stesso senso Sez. 3, n. 42476 del 20/09/2013, Salvatori, Rv. 257353; Sez. 3, n. 42638 del 26/09/2013, Preziosi; Sez. 3, n. 42350 del 10/07/2013, Stigelbauer, Rv. 257129; Sez. 3, n. 33182 del 14/05/2013, De Salvia, Rv. 255871, gia’ citata; Sez. 3, n. 15349 del 23/10/2012, dep. 2013, Gimeli, Rv. 254739; Sez. 3, n. 1256 del 19/09/2012, dep. 2013, Unicredit s.p.a., Rv. 254796; Sez. 3, n. 33371 del 04/07/2012, Failli; Sez. 3, n. 25774 del 14/06/2012, Amoddio, Rv. 253062; Sez. 6, n. 42703 del 12/10/2010, Giani). Soltanto in una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilita’ del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio.
5. In base alle svolte argomentazioni la sentenza va annullata, con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame, in conformita’ ai criteri enunciati.
P.Q.M.
La Corte, annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.
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