Nel caso di successione nella carica di amministratore di società (o legale rappresentante) in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento sussiste la responsabilità per chi succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 19 aprile 2017, n. 18834
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/12/2015 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Lori Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) in sost. avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 dicembre 2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, in data 8 gennaio 2015 appellata da (OMISSIS), concedeva al predetto il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermava nel resto la sentenza.
Il Tribunale di Milano aveva dichiarato responsabile (OMISSIS) del reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10- ter, perche’ quale legale rappresentante dal 06/10/2009 al 30/12/2009, della societa’ (OMISSIS) spa, non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta, in base alla dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2008, nel termine previsto per il pagamento dell’acconto Iva, per l’ammontare di Euro 1.486.076,00, fatto commesso in (OMISSIS), e lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione, pene accessorie.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione, (OMISSIS), a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all’inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 603 c.p.p., nonche’ mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento. Premette il corrente di aver chiesto, con i motivi aggiunti all’atto di appello, ex articolo 585 c.p.p., comma 4, l’acquisizione della “relazione della societa’ di revisione sul bilancio consolidato semestrale al 30 giugno 2009”, e che la Corte d’appello aveva negato l’acquisizione della predetta documentazione sulla scorta dell’erroneo convincimento che la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale fosse stata tardivamente proposta. La corte territoriale sarebbe incorsa in una erronea applicazione della legge processuale essendo stata la richiesta tempestivamente avanzata ai sensi e nei termini di cui all’articolo 603 c.p.p.. I giudici dell’appello avrebbero omesso di prendere in considerazione l’istanza difensiva ed avrebbero cosi’ omesso di assumere una prova decisiva sulla base di una motivazione erronea.
La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale del giudizio d’appello sarebbe stata preclusa sull’erroneo presupposto di una asserita tardivita’ dell’istanza difensiva, senza, peraltro, alcuna motivazione in ordine al tema della rilevanza dell’acquisizione documentale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10- ter, nonche’ il vizio di motivazione in relazione alla manifeste illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilita’ penale. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la violazione contestata non considerando che il (OMISSIS) aveva assunto la carica sociale in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione Iva, redatta da altro soggetto, e la dichiarazione non indicava il debito Iva, il cui omesso versamento sarebbe poi stato imputato al ricorrente. In altri termini, la corte avrebbe erroneamente imputato al ricorrente di aver omesso di versare un tributo di cui non vi era evidenza alcuna nella dichiarazione, sottoscritta da altro soggetto prima dell’assunzione della carica.
Sotto altro profilo, la corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di motivazione di travisamento della prova, nella parte in cui avrebbe ritenuto, e cio’ travisando la prova costituita dalla deposizione testimoniale del curatore del fallimento Dott. (OMISSIS), che il dissesto della societa’ fosse imputabile a scelte imprenditoriali che avevano condotto ad una lievitazione dei costi, situazione questa da riferire alla societa’ capogruppo (OMISSIS) e non alla societa’ (OMISSIS) spa. Dunque, la Corte d’appello avrebbe travisato la deposizione del curatore sul punto ed imputato la causa del dissesto della capogruppo alla societa’ (OMISSIS) spa, motivazione contraddittoria nella parte in cui imputata al ricorrente la causa del dissesto ritenuta frutto di una strategia noncurante degli obblighi tributari che incombono sull’imprenditore.
Ed ancora la Corte d’appello avrebbe omesso di prendere in considerazione la dedotta situazione di crisi economica finanziaria in cui versava la societa’, e piu’ in generale il gruppo (OMISSIS), ampiamente illustrata dalla difesa del ricorrente che aveva depositato perizia sulla scorta della quale aveva documentato di aver intrapreso precise attivita’ di rilancio e di ricapitalizzazione del gruppo, produzioni che avrebbero dovuto condurre i giudici dell’appello ad escludere il dolo in capo al ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’articolo 133 c.p., nonche’ il vizio di motivazione sotto il profilo della assenza di motivazione sulla determinazione della pena non contenuta nei minimi edittali. Argomenta il ricorrente che la Corte d’appello si sarebbe discostata dal minimo edittale senza una congrua e adeguata motivazione, ai sensi dell’articolo 133 c.p..
2.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche fondate sull’assenza di elementi di segno favorevole e sul riferimento ai precedenti penali.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ infondato.
5. Quanto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’acquisizione della documentazione allegata all’atto di appello, deve convenirsi con il ricorrente che la Corte ha erroneamente ritenuto la tardivita’ della produzione, e cio’ in quanto il chiaro disposto dell’articolo 603 c.p.p., comma 1 consente di chiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello con richiesta nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, sicche’ non vi paiono esservi dubbi sulla erroneita’ della pronuncia di rigetto.
Cio’ non di meno, deve ricordarsi che e’ affermazione consolidata quella secondo cui l’acquisizione di una prova documentale nel giudizio di appello, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti (ex multis Sez. 3, n. 37879 del 23/06/2015, Pisaniello, Rv. 265022).
L’integrazione istruttoria in grado di appello ha carattere eccezionale e puo’ essere disposta soltanto quando il giudice non possa decidere allo stato degli atti; il che si traduce nella necessita’ che la prova offerta sia decisiva, cioe’ idonea ad eliminare ogni incertezza o ad inficiare il valore probatorio di ogni altra risultanza di segno contrario (Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv 237410; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Modi, Rv 228920).
Nel caso di cui ci si occupa, il ricorrente, nel denunciare la mancata acquisizione della prova documentale non argomenta la decisivita’ sull’esito del processo nel senso che, se valutata con il restante compendio probatorio, avrebbe avuto la capacita’ dimostrativa dell’infondatezza della accusa. Il ricorrente avrebbe dovuto argomentare quali elementi/circostanze obiettive rilevate dalla societa’ di revisione nella relazione al bilancio consolidato, avrebbero dimostrato, e sotto quale profilo, l’infondatezza dell’accusa si da essere decisivi per sovvertire l’esito processuale. Erra il ricorrente nel sostenere in se’ “decisiva” l’acquisizione della relazione al bilancio consolidato della societa’ di revisione, dovendo essere dimostrata invece la decisivita’ con riferimento ad accertamenti ivi contenuti aventi capacita’ dimostrativa nel senso di sovvertire l’epilogo della condanna. Il ricorso sul punto finisce per essere, anche, di carattere generico, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso.
In ogni caso, nella stessa struttura argomentativa posta a base delle pronunce di merito, emerge la completezza probatoria per una valutazione in ordine alla responsabilita’, con la conseguente mancanza di necessita’ di rinnovare il dibattimento.
5. Il secondo motivo di ricorso con cui si censura l’affermazione della responsabilita’ penale e si deduce la violazione della legge penale in relazione al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 – ter e’, parimenti, infondato.
Deve premettersi che la materiale omissione del versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2008, sulla base dell’ultima dichiarazione, entro il termine per il versamento dell’acconto dell’anno successivo (27/12/2009) da parte del (OMISSIS), non e’ oggetto di contestazione, essendo le censure incentrate sull’attribuibilita’ dell’omissione al (OMISSIS), amministratore unico e legale rappresentate della (OMISSIS) spa, sul rilievo dell’assunzione della carica sociale in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione Iva, redatta da altro soggetto, e dell’assenza di “esposizione” del debito Iva nella medesima.
5.1. Contrariamente all’assunto difensivo (pag. 4), la sentenza impugnata ha dato atto che dalla dichiarazione annuale Iva (modello IVA 2009, quadro VL, righi VL7,VL29 e VL39) erano riportati il credito finale, l’ammontare dell’imposta dovuta (e non versata), l’ammontare dei versamenti periodici asseritamente compiuti. Dunque, risulta, per tabulas, dalla mera lettura del provvedimento impugnato, che il ricorrente, che al momento della scadenza del termine per compiere il versamento (27/12/2009) era il legale rappresentante, circostanza questa non contestata, ben poteva avere contezza, dalla semplice lettura della dichiarazione annuale IVA del 30 settembre 2009, del debito tributario della societa’, debito tributario che imponeva, come termine ultimo, il versamento della relativa somma al 27 dicembre 2009, data nella quale egli era il soggetto tenuto, in ragione della carica ricoperta, al versamento. A nulla rileva, infatti, che il soggetto che aveva materialmente redatto la dichiarazione Iva fosse diverso dal soggetto ((OMISSIS)) che era il legale rappresentante, al momento del termine ultimo per il versamento, soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria, in presenza di debito tributario ben esposto nella relativa dichiarazione.
Del resto, che il ricorrente non possa fondatamente sostenere di non essere stato a conoscenza del debito, posto in evidenza nella dichiarazione Iva, e’ ben argomentato nella sentenza impugnata che ha dato atto che il (OMISSIS), era stato amministratore, con diversi ruoli, nella societa’ (OMISSIS) spa, sin dal 2004, avendo ricoperto, per quanto qui di rilievo, la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione dal 17/04/2008 fino al marzo 2009, momento nel quale la societa’ era amministrata da un Amministratore Unico, fino al 26/09/2009 momento nel quale l’esercizio della gestione era nuovamente passato in capo ad un consiglio di amministrazione, presieduto dal (OMISSIS), fino al 30/12/2009, allorche’ la societa’ era stata posta in liquidazione e il medesimo (OMISSIS) era stato nominato liquidatore. Dunque e’ totalmente smentita l’affermazione difensiva secondo cui il ricorrente non poteva essere a conoscenza del debito tributario non evincibile dalla dichiarazione sottoscritta da altri non avendo alcuna carica sociale al momento della sua compilazione.
La Corte d’appello ha correttamente argomentato che il ricorrente, legale rappresentante al momento della scadenza del termine per il versamento, e dunque soggetto su cui grava l’obbligo tributario di versamento, aveva consapevolmente omesso il versamento dell’Iva, dovuta sulla base della dichiarazione che la esponeva.
5.2. La sentenza impugnata fa, peraltro, buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ per il caso in cui l’omesso versamento del debito Iva riguardi societa’ di capitali.
In tema la giurisprudenza della Corte di cassazione ha costantemente affermato che la responsabilita’ per i reati previsti dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e’ attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli articoli 2380 e ss., articoli 2455 e 2475 c.c. cioe’ a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente. Costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, lettera c) ed e), adempiendo agli obblighi conseguenti, e cio’ sulla base del principio secondo cui colui che assume la carica di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.
5.3. Per il rilievo concreto che assume nella decisione in scrutinio, questa Corte di legittimita’ ha gia’ affermato che, nel caso di successione nella carica di amministratore di societa’/legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilita’, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 39687 del 4.6.2014, Decataldo, Rv. 260390), e cio’ sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilita’ quantomeno a titolo di dolo eventuale. E cio’ tanto piu’ in quei casi, come quello in esame, in cui il debito fiscale non era remoto e/o occulto, perche’ esposto nella dichiarazione presentata al 30 settembre 2009, poiche’ si trattava dell’Iva dovuta sulla base dell’ultima dichiarazione e, quindi, era sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore (pochi giorni dopo), di chiedere in visione la dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario dell’iva a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell’obbligazione tributaria.
5.4. Va dunque, ribadito, il principio secondo cui l’assunzione della carica di amministratore, per comune esperienza, comporta una minima verifica della contabilita’, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove cio’ non avvenga, risponde dei reati tributari in materia di mancato versamento di imposte, colui che subentra nella carica sociale/legale rappresentanza in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta, in quanto con l’assunzione della carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.
5.5. Alcun profilo di vizio di motivazione per travisamento della prova e’ poi ravvisabile, posto che cio’ che e’ oggetto di contestazione e’ l’omissione di versamento dell’Iva dovuta sulla base della dichiarazione presentata al 30 settembre 2009, e relativa all’imposta Iva del 2008 dovuto all’erario. La societa’ amministrata dal (OMISSIS) aveva una sua autonomia giuridica rispetto al gruppo di appartenenza e il debito tributario era maturato in seno alla gestione della stessa, sicche’ alcun rilievo poteva assumere il travisamento delle dichiarazioni rese dal curatore del fallimento dott. (OMISSIS).
Il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimita’, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per avere concreto rilievo, quale violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), deve essere idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio rendendo, conseguentemente, illogica la motivazione.
E cio’ in quanto al giudice di legittimita’ e’ consentito non gia’ di accertare eventuali travisamenti del fatto – e dunque di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice merito -, bensi’ solo di verificare che quest’ultimo non abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta per l’appunto di reinterpretare gli elementi di prova valutati nel merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano e facessero dunque effettivamente parte dell’orizzonte cognitivo di quel giudice (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciche’, Rv. 262948; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 Maggio, Rv. 255087; Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belluccia, Rv 244623; Sez.5. n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola, Rv 238215; Sez. 1, n. 24667, del 15 giugno 2007, Musumeci, Rv 237207; Sez. 4, n. 21602 del 07 aprile 2007, Ventola, Rv 237588). Tale situazione non e’ predicabile per il caso in scrutinio nel quale, anche dato per ammesso il travisamento del contenuto delle dichiarazione rese dal curatore del fallimento, rimane il dato obiettivo e neppure contestato dell’omesso versamento del tributo.
5.6. Infine, alcun rilievo puo’ riconnettersi alla “crisi finanziaria” quale elemento per escludere il dolo del reato.
Rileva, in primo luogo, la Corte che in tema di reati di omesso versamento Iva, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, l’imputato ben puo’ invocare la situazione di crisi economica che determina l’impossibilita’ di adempimento dell’obbligazione, quale causa di esclusione della responsabilita’ penale, purche’ assolva agli oneri di allegazione riguardanti sia il profilo della non imputabilita’ a lui medesimo della crisi economica, sia l’aspetto della impossibilita’ di fronteggiare la crisi di liquidita’ tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190).
In altri termini l’indagato deve allegare la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e a lui non imputabili (Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
Orbene, il ricorrente nulla allega circa il fatto che la crisi finanziaria non sia al medesimo imputabile, rimanendo del tutto sprovvisto di allegazione il primo requisito, al contrario la sentenza impugnata da’ conto del fatto che neppure era stato prospettato il mancato pagamento delle fatture cfr. pag. 4. Del pari alcun rilievo puo’ riconnettersi sul piano dell’esclusione del dolo all’allegazione di aver posto in essere azioni volte “al rilancio e ricapitalizzazione che prevedevano la ristrutturazione della (OMISSIS) spa”, al pari della affermazione che l’indebitamento, e la conseguente crisi economica, fossero imputabili all’aumento dei costi del lavoro a seguito della modifica giuslavoristica, e cio’ in ragione dello stesso meccanismo di imposizione del tributo da versare (l’i.v.a.) che e’ costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale, sicche’ la prova deve essere rigorosa per l’escludere il dolo del reato.
6. Infondati sono, infine, le censure sul trattamento sanzionatorio.
La Corte d’appello, in continuita’ con la motivazione del Tribunale, richiamata sul punto, ha confermato la pena inflitta nella misura di anni uno di reclusione alla luce dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. e segnatamente in ragione dell’entita’ del tributo evaso (Euro 1.468.076,00).
Al riguardo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorche’ siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, Waychey e altri, Rv. 258410).
Il provvedimento e’, dunque, corretto sul piano del diritto e sorretto da congrua motivazione che non presenta profili di illogicita’ sindacabili in questa sede.
6.1. Quanto al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p., la Corte d’appello ha positivamente esposto gli elementi negativi della personalita’ desunti dai precedenti penali in materia di tutela della salute dei lavoratori e per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, sicche’ alcun vizio di violazione di legge e di motivazione e’ predicabile.
Inoltre, deve rammentarsi che ai fini della determinazione della pena, cosi’ come per la configurabilita’ o meno delle circostanze attenuanti generiche, il giudice puo’ valutare gli stessi elementi (la gravita’ del fatto e la personalita’ dell’imputato), in vista di diversi fini, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte sotto differenti profili per distinti fini senza che cio’ comporti lesione del principio del “ne bis in idem”. (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011).
Infine, di carattere generico e’ la censura di omessa valutazione degli articoli 132 e 133 c.p. nella determinazione della pena ritenuta non adeguata al caso concreto.
7. Conclusivamente il ricorso va rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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