Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 1 agosto 2017, n. 38217

Il meccanismo dell’interruzione della prescrizione, fondato sulla regola dell’elisione del tempo trascorso, consente, ai fini del calcolo “mitigato” dell’ulteriore termine di prescrizione, di tenere conto del fattore recidiva.

 

 

Sentenza 1 agosto 2017, n. 38217
Data udienza 18 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mari – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale presso la corte di appello di Brescia;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 20 4-10-2016 del tribunale di Bergamo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;

udito il Procuratore Generale in persona del dott. Sante Spinaci che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Il procuratore Generale presso la corte di appello di Brescia ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Brescia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per intervenuta prescrizione del reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 5, perche’ nella sua qualita’ di amministratore unico dal 17 dicembre 2007 della (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.r.l., gia’ con sede in (OMISSIS), a fine di evasione fiscale, ometteva di presentare la dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) per l’anno 2007, sottrazione d’imposta I.R.E.S. per Euro 310.460,00 e I.V.A. per Euro 518.522,00, superiori al limite di penale rilevanza.

Con la recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata ex articolo 99 c.p., commi 1, 2 e 4. Fatto commesso il (OMISSIS), ed accertato in data (OMISSIS) dall’Agenzia delle Dogane di Bergamo mediante processo verbale di constatazione.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva un unico motivo, con il quale lamenta l’inosservanza della legge penale per l’erronea applicazione degli articoli 157 e 161 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)).

Assume che il tribunale ha erroneamente dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato a lui ascritto estinto per intervenuta prescrizione, mentre il periodo prescrizionale non era decorso.

All’imputato risulta infatti contestata la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, circostanza aggravante che il tribunale non ha escluso, con la conseguenza che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, citata nel ricorso, la recidiva reiterata, quale circostanza ad effetto speciale, incide sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, e, in presenza di atti interruttivi, anche su quello del termine massimo, in ragione della entita’ della proroga, ex articolo 161 c.p., comma 2.

Il ricorrente richiama quindi l’insegnamento giurisprudenziale piu’ recente, secondo il quale, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo alla pena massima edittale stabilita per il reato consumato o tentato, su cui va operato l’aumento massimo di pena previsto per le circostanze aggravanti ad effetto speciale.

Facendo applicazione di tali insegnamenti, osserva che il termine ordinario per il reato contestato va individuato nel minimo previsto per i delitti dall’articolo 157 c.p., e cioe’ in anni sei, aumentato a seguito di interruzione ai sensi dell’articolo 161 c.p., nella misura di due terzi.

Cio’ comporta che il termine massimo di prescrizione e’ pari a dieci anni, con la conseguenza che la prescrizione non e’ maturata sicche’ la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge denunciato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.

2. Occorre premettere che, in tema di prescrizione, il tempo necessario a prescrivere va determinato con riferimento alla pena massima edittale stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato su cui va operato l’aumento massimo di pena previsto per le circostanze aggravanti ad effetto speciale (Sez. 3, n. 3391 del 12/11/2014, dep. 2015, Pollicoro, Rv. 262015), pur dovendosi avere riguardo alla disposizione di sbarramento di cui all’articolo 99 c.p., comma 6, secondo la quale, in nessun caso e quindi anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per effetto della recidiva puo’ superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo, fermo restando che, se anche a seguito dell’aumento derivante dalla recidiva il limite di pena risultante sia inferiore a sei anni, a tale ultimo termine occorre fare riferimento per determinare il tempo necessario a prescrivere.

Tanto premesso, correttamente il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della ritenuta recidiva, in quanto circostanza ad effetto speciale, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere.

La giurisprudenza di legittimita’, con orientamento prevalente, e’ orientata nel ritenere che la recidiva reiterata, quale circostanza ad effetto speciale, incide sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, e, in presenza di atti interruttivi, anche su quello del termine massimo, in ragione della entita’ della proroga, ex articolo 161 c.p., comma 2, (Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, Lofiego Raco, Rv. 268214; Sez. 2, n. 13463 del 18/02/2016 Giofre’ Rv. 266532), dovendosi escludere che cio’ comporti una violazione del principio del “ne bis in idem sostanziale” o dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine /c Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, Lamirowski, Rv. 268224).

Non puo’ pertanto essere seguito il diverso indirizzo secondo il quale, in tema di prescrizione, e’ possibile tener conto della recidiva reiterata al fine dell’individuazione del termine prescrizionale-base, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, o del termine massimo, ai sensi dell’articolo 161 c.p., comma 2, ma non contemporaneamente per tali fini, altrimenti ponendosi a carico del reo lo stesso elemento, in violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale (Sez. 6, n. 47269 del 09/09/2015, Fallani, Rv. 265518).

Sul punto, appaiono convincenti le argomentazioni svolte nella sentenza Lamirowski, laddove la Corte ha precisato che “la soluzione che ritiene possibile applicare una sola volta l’aumento del termine prescrizionale a causa di talune forme di recidiva rimette in definitiva all’interprete e in modo arbitrario – in difetto di espliciti riferimenti normativi – la determinazione della rilevanza da attribuire ad esse caso per caso; mentre, nei casi esemplificativamente menzionati dalla citata sentenza, quali applicazioni del principio del ne bis in idem sostanziale (articoli 15, 61, 62, 68 e 301 c.p., articolo 581 c.p., comma 2), e’ pur sempre il legislatore ad indicare i criteri per applicare l’elemento in astratto suscettibile di assumere doppia valenza.

Nel caso del combinato disposto degli articoli 157 e 161 c.p., emerge al contrario la chiara volonta’ del legislatore di conferire alla recidiva qualificata una duplice valenza.

A cio’ deve aggiungersi che la dedotta violazione del ne bis in idem sostanziale appare non cogliere le peculiarita’ della disciplina dell’interruzione della prescrizione. Quest’ultima, come e’ noto, determina l’effetto di rendere privo di conseguenze giuridiche il tempo precedentemente trascorso e far decorrere ex novo i termini della prescrizione, con il temperamento previsto dal terzo comma dell’articolo 160 c.p., (fatta eccezione per i reati di cui agli articoli 51 bis e quater c.p.p.), che richiama appunto i termini indicati nel citato articolo 161 c.p., comma 2.

E’ evidente che il limite posto dall’articolo 160 c.p., comma 3, e’ previsto nell’interesse dell’indagato/imputato, che non puo’ vedere rimandato, quasi all’infinito, il momento iniziale del decorso della prescrizione e, quindi, il momento del suo maturare. Infatti l’istituto della interruzione della prescrizione contempera due esigenze: quella dello Stato, che, attraverso l’atto interruttivo, manifesta il permanere del suo interesse al perseguimento del reato, e quello dell’indagato o imputato, al quale deve essere riconosciuto il diritto di vedere estinto, entro un ragionevole lasso temporale, il reato, con conseguente cessazione della possibilita’ che egli sia giudizialmente perseguito (Sez. 5, n. 1018 del 03/12/1999, dep. 2000, Mazzara Bologna G, Rv. 215571).

E proprio nel dettare le regole volte a mitigare l’automatico effetto “riespansivo” degli atti interruttivi, il legislatore del 2005 ha ritenuto, coerentemente con le modalita’ di calcolo del termine “base” della prescrizione, di considerare talune situazioni che giustificassero un diverso trattamento.

Quindi in definitiva e’ proprio il meccanismo dell’interruzione della prescrizione, fondato sulla regola della tendenziale elisione del tempo precedentemente trascorso, a consentire, ai fini del calcolo “mitigato” dell’ulteriore termine di prescrizione, di tener conto nuovamente del fattore “recidiva”.

Ne’ puo’ ritenersi che tale scelta di politica criminale sia in contrasto con i principi sanciti a livello internazionale in tema di ne bis in idem, in quanto indipendentemente dalla natura sostanziale attribuita all’istituto della prescrizione (cfr. Corte cost. sent. n. 393 del 2006, secondo cui la prescrizione elimina la punibilita’ in se’ e per se’ del reato, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta’ punitiva), quest’ultimo non forma oggetto della tutela apprestata dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 CEDU, che vieta soltanto “di perseguire o giudicare una persona per un secondo illecito nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi” (tra tante, Grande Camera, Corte EDU, 10/02/2009, Zolotoukhine c. Russia, § 82)”.

3. Ne discende che la sentenza impugnata va annullata con rinvio, per nuovo giudizio, al tribunale di Bergamo, che si atterra’ ai principi di diritto in precedenza enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla tribunale di Bergamo.

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