Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 11 novembre 2014, n. 46404
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro – Presidente
Dott. TADDEI Margherita B. – Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere
Dott. RAGO Geppino – Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a Roma il (OMISSIS), rappresentato e assistito dall’avv. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, seconda sezione penale, n. 2839/2010 in data 28.02.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale Dott. Luigi Riello, il quale ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
sentite le discussioni della difesa della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso dell’imputato con conferma delle statuizioni civili dell’impugnata sentenza della Corte di Appello di Roma a favore della parte civile (OMISSIS), condannando altresi’ il ricorrente alla rifusione in favore del medesimo di spese ed onorari del grado da liquidare in euro 2.000,00 oltre accessori di legge;
della difesa della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo di voler rigettare o dichiarare inammissibile il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato (OMISSIS) e, conseguentemente confermare la condanna dello stesso al risarcimento dei danni come statuito nei precedenti gradi di giudizio, nonche’ condannare il (OMISSIS) al pagamento di spese, diritti ed onorari nella misura di euro 5.000,00 oltre accessori di legge; della difesa dell’imputato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro – Presidente
Dott. TADDEI Margherita B. – Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere
Dott. RAGO Geppino – Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a Roma il (OMISSIS), rappresentato e assistito dall’avv. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, seconda sezione penale, n. 2839/2010 in data 28.02.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale Dott. Luigi Riello, il quale ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
sentite le discussioni della difesa della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso dell’imputato con conferma delle statuizioni civili dell’impugnata sentenza della Corte di Appello di Roma a favore della parte civile (OMISSIS), condannando altresi’ il ricorrente alla rifusione in favore del medesimo di spese ed onorari del grado da liquidare in euro 2.000,00 oltre accessori di legge;
della difesa della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo di voler rigettare o dichiarare inammissibile il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato (OMISSIS) e, conseguentemente confermare la condanna dello stesso al risarcimento dei danni come statuito nei precedenti gradi di giudizio, nonche’ condannare il (OMISSIS) al pagamento di spese, diritti ed onorari nella misura di euro 5.000,00 oltre accessori di legge; della difesa dell’imputato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 01.10.2009, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, condannava (OMISSIS) alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa per il reato di truffa commesso in (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS). Secondo l’accusa, il (OMISSIS), nella sua qualita’ di legale incaricato di curare una controversia insorta tra (OMISSIS) ed il suo commercialista (OMISSIS), con artifizi e raggiri consistiti in particolare nel riferire che era necessario versare alcune somme di denaro da depositare poi alla cassa dell’Ordine dei Commercialisti a titolo di deposito cauzionale, induceva in errore (OMISSIS) che, come richiesto, effettuava una serie di vaglia postali intestati a (OMISSIS), cosi’ procurandosi un ingiusto profitto consistito nell’incassare la complessiva somma di euro 14.500,00. Il Tribunale condannava altresi’ il (OMISSIS) al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Avverso detta sentenza il (OMISSIS), tramite difensore, proponeva appello.
3. Con sentenza in data 28.02.2013, la Corte d’appello di Roma, rigettando il gravame, confermava la sentenza impugnata.
4. Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto nell’interesse del (OMISSIS), ricorso per cassazione, per lamentare:
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione all’articolo 124 c.p. (primo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge in relazione all’articolo 161 c.p.p., comma 4, (secondo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione agli articoli 180 e 182 c.p.p. (terzo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione all’articolo 640 c.p. (quarto motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge per mancata declaratoria di prescrizione del reato (quinto motivo).
In relazione al primo motivo, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la tempestivita’ della querela, omettendo di considerare come la persona offesa avesse cognizione di tutti gli elementi integrativi del presunto delitto di truffa, compresa l’identita’ dell’imputato, in epoca precedente al 16.01.06 e, quindi, la querela proposta era da considerarsi tardiva. Erronea e’ inoltre la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 9, mai contestata.
In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la ritualita’ della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4, dopo che la notifica presso il domicilio eletto dell’imputato aveva avuto esito negativo e senza che l’ufficiale giudiziario avesse provveduto ad effettuare analogo tentativo di notifica presso la residenza dell’imputato.
In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto, con motivazione inadeguata, illogica e contraddittoria, la natura intermedia all’eccepita nullita’ dell’avviso di conclusione delle indagini all’imputato.
In relazione al quarto motivo, si censura l’erronea qualificazione giuridica del fatto come delitto di truffa e non come mero inadempimento rilevante sotto il profilo civilistico.
In relazione al quinto motivo, si censura l’omessa declaratoria di prescrizione del reato atteso lo spirare del termine di anni sette e mesi sei in epoca precedente alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
2. Avverso detta sentenza il (OMISSIS), tramite difensore, proponeva appello.
3. Con sentenza in data 28.02.2013, la Corte d’appello di Roma, rigettando il gravame, confermava la sentenza impugnata.
4. Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto nell’interesse del (OMISSIS), ricorso per cassazione, per lamentare:
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione all’articolo 124 c.p. (primo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge in relazione all’articolo 161 c.p.p., comma 4, (secondo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione agli articoli 180 e 182 c.p.p. (terzo motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge nonche’ vizio di motivazione in relazione all’articolo 640 c.p. (quarto motivo);
– violazione ed erronea applicazione di legge per mancata declaratoria di prescrizione del reato (quinto motivo).
In relazione al primo motivo, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la tempestivita’ della querela, omettendo di considerare come la persona offesa avesse cognizione di tutti gli elementi integrativi del presunto delitto di truffa, compresa l’identita’ dell’imputato, in epoca precedente al 16.01.06 e, quindi, la querela proposta era da considerarsi tardiva. Erronea e’ inoltre la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 9, mai contestata.
In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la ritualita’ della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4, dopo che la notifica presso il domicilio eletto dell’imputato aveva avuto esito negativo e senza che l’ufficiale giudiziario avesse provveduto ad effettuare analogo tentativo di notifica presso la residenza dell’imputato.
In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto, con motivazione inadeguata, illogica e contraddittoria, la natura intermedia all’eccepita nullita’ dell’avviso di conclusione delle indagini all’imputato.
In relazione al quarto motivo, si censura l’erronea qualificazione giuridica del fatto come delitto di truffa e non come mero inadempimento rilevante sotto il profilo civilistico.
In relazione al quinto motivo, si censura l’omessa declaratoria di prescrizione del reato atteso lo spirare del termine di anni sette e mesi sei in epoca precedente alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso e’ manifestamente infondato in relazione a tutte le doglianze proposte e, come tale, risulta inammissibile.
6. Il primo motivo, cosi’ come il secondo, il terzo e il quarto motivo, reitera doglianze gia’ proposte nei motivi di appello e disattesi dalla sentenza della Corte territoriale.
6.1. Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le tante, Cass., Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012, Pierantoni; Cass., Sez. 6 n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181; Cass., Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, e’ del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di appello – da leggersi in integrazione con quella di primo grado in presenza di una situazione di c.d. doppia conforme – che ha fornito una puntuale risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di questi ultimi come motivi di ricorso per cassazione non puo’ essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi (primo, secondo, terzo e quarto) sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass., Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
6.2. In relazione alla prima censura, la Corte territoriale, con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, ha riconosciuto – indipendentemente da ogni altra valutazione di merito – la sussistenza delle condizioni di procedibilita’ circa la tempestivita’ della querela nei termini indicati a pag. 4 della sentenza di primo grado, avendo avuto la persona offesa contezza della truffa subita in data 16.01.2006 con l’accredito della somma di euro 32.000,00 e presentato la querela nella successiva data del 12.04.2006.
6.3. Anche con riferimento al secondo profilo della prima doglianza, la sentenza impugnata appare insuscettibile di censura.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimita’ (cfr., Cass., Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, dep. 28/03/2013, P.G. in proc. Chatbi, Rv. 255793; Cass., Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, dep. 12/10/2012, P.G. in proc. Diaji, Rv. 253776), ai fini della contestazione di una circostanza aggravante, non e’ necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede, essendo sufficiente la precisa enunciazione in fatto della stessa, cosi’ che l’imputato possa avere cognizione degli elementi di fatto che la integrano: situazione che risulta essersi verificata nella fattispecie con riferimento all’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera, da ritenersi contestata in fatto attesa la sua agevole ricavabilita’ dalla descrizione del fatto contenuta in imputazione.
7. Medesime conclusioni di manifesta infondatezza vanno tratte in relazione al secondo motivo di doglianza.
Anche con riferimento a questa censura, la sentenza impugnata fornisce motivazione congrua e giustificata sul fatto che la notificazione effettuata con le modalita’ previste dall’articolo 161 c.p.p., comma 4 cod. proc. pen. presso il difensore d’ufficio (avv. (OMISSIS)) trovi legittimazione dall’avvenuta modificazione del domicilio dichiarato (di (OMISSIS)) corrispondente allo studio ove esercitava l’attivita’ professionale il (OMISSIS), trasferitosi altrove. Al riguardo, la Corte territoriale riconosce come la prospettazione indicata dalla difesa non puo’ trovare accoglimento dal momento che l’indicazione del secondo domicilio ((OMISSIS)) risulta essere avvenuta solo successivamente con atto depositato il 02.01.2007 presso l’ufficio del pubblico ministero . Fermo quanto precede – prosegue la Corte – deve ritenersi indubitabile che la sede indicata nei motivi di appello riguarda un nuovo domicilio indicato dal (OMISSIS) che pero’ non era esistente nell’elezione o dichiarazione di domicilio che qui interessa (presso lo studio di via (OMISSIS)) contenuta nel verbale datato 10.08.2006. Sulla scorta di tali emergenze non era necessario procedere alle ulteriori ricerche – come sostenuto dalla difesa – previste dall’articolo 157 c.p.p., comma 7 .
E’ pacifico – per espresso dettato normativo – che, una volta intervenuta la dichiarazione o l’elezione di domicilio, se non risulta possibile la notificazione al domicilio dichiarato o eletto, questa e’ validamente eseguita mediante consegna al difensore di ufficio o di fiducia (Cass., Sez. 4, 18/09/2006, Rv. 236114; Cass., Sez. 4, 16/01/2006). E’ ugualmente incontrovertibile che, nell’ipotesi di impossibilita’ di eseguire la notificazione nel domicilio dichiarato o eletto, l’ufficiale giudiziario non ha alcun potere o dovere di procedere ad accertamenti volti ad rintracciare il nuovo domicilio del destinatario, potendo, per contro, effettuare direttamente la notifica a mani del difensore (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, n. 49488 del 10/10/2013, dep. 09/12/2013, Nicoletti e altro, Rv. 257840; Cass., Sez. 4, 10/11/2000, Rv. 218476; Cass., Sez. 3, 28/01/1998, Rv. 210295; Cass., Sez. 5, 28/10/1996, Rv. 207063).
8. Medesime conclusioni vanno tratte con riferimento al terzo motivo di doglianza.
Anche in relazione a detta censura la motivazione della Corte territoriale e’ perspicua nel riconoscere l’esistenza di una nullita’ relativa a regime intermedio che – nei procedimenti, quali il presente, privo di udienza preliminare – andava eccepita entro il termine di cui all’articolo 491 c.p.p., comma 1, giusta la previsione dell’articolo 181 c.p.p., comma 2: eccezione che, invece, era stata proposta tardivamente solo all’udienza di discussione dell’1.10.2009.
9. Anche la quarta censura e’ manifestamente infondata.
La sentenza impugnata, anche sul punto, offre motivazione incensurabile in sede di legittimita’ riconoscendo la ricorrenza di una tipica ipotesi di truffa contrattuale. Affermano al riguardo i giudici di secondo grado: … va ricordato che l’oggetto della tutela prevista dall’articolo 640 c.p., in materia di truffa contrattuale e’ costituito dall’interesse generale di tutela della buona fede nei rapporti commerciali affinche’ non si verifichi alcun danno patrimoniale nei confronti del contraente che sia indotto in errore da una condotta artificiosa risultata causativa di un ingiusto profitto altrui. In altri termini, la persona offesa nella vicenda di interesse, non avrebbe certamente prestato il proprio consenso ad effettuare il pagamento come concretamente si e’ verificato, mediante consegna di assegni postali se solo fosse stata a conoscenza della creazione di una apparenza di legittimita’ delle operazioni – affidate al prevenuto quale legale – risultate non conformi al vero. Tanto premesso, la Corte non puo’ che riportarsi e condividere quanto indicato a pag. 6 della sentenza qui richiamata per evitare superflue ripetizioni .
10. Pari manifesta infondatezza involge l’ultimo motivo di doglianza.
Osserva il deducente l’avvenuta maturazione del termine massimo prescrizionale (pari ad anni sette e mesi sei) in data anteriore alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
In realta’, il ricorrente non tiene conto dei periodi di sospensione del dibattimento (rispettivamente dal 12.05.2008 al 02.07.2008 e dal 30.01.2009 al 13.05.2009) per impedimento dell’imputato. Il periodo da computare e’ pari a cinquantuno giorni per la prima sospensione e a giorni sessanta (atteso il limite fissato dall’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3) per la seconda sospensione, per complessivi giorni centoundici. Non puo’ invece essere considerato – ai fini che qui interessano – l’ulteriore periodo di sospensione del dibattimento (dal 13.05.2009 al 19.06.2009) disposto su concorde istanza delle parti, ossia accusa e difesa, non essendo la fattispecie prevista dal citato articolo 159 c.p.. Aggiungendo il suindicato termine di centoundici giorni a quello di anni sei e mesi sette, e considerando, in applicazione del principio del favor rei, la data del commesso reato (di natura istantanea) quella del 21.06.2005, si fissa in via definitiva il termine di prescrizione alla data dell’11.04.2013, successiva alla pronuncia della sentenza di secondo grado (intervenuta in data 28.02.2013). Prescrizione non dichiarabile nella presente sede di legittimita’ in presenza, come nella fattispecie, di ricorso palesemente infondato e – come tale – inammissibile.
11. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Il ricorrente deve essere altresi’ condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che si liquidano per ciascuna di esse in euro 2.000,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA.
6. Il primo motivo, cosi’ come il secondo, il terzo e il quarto motivo, reitera doglianze gia’ proposte nei motivi di appello e disattesi dalla sentenza della Corte territoriale.
6.1. Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le tante, Cass., Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012, Pierantoni; Cass., Sez. 6 n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181; Cass., Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, e’ del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di appello – da leggersi in integrazione con quella di primo grado in presenza di una situazione di c.d. doppia conforme – che ha fornito una puntuale risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di questi ultimi come motivi di ricorso per cassazione non puo’ essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi (primo, secondo, terzo e quarto) sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass., Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
6.2. In relazione alla prima censura, la Corte territoriale, con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, ha riconosciuto – indipendentemente da ogni altra valutazione di merito – la sussistenza delle condizioni di procedibilita’ circa la tempestivita’ della querela nei termini indicati a pag. 4 della sentenza di primo grado, avendo avuto la persona offesa contezza della truffa subita in data 16.01.2006 con l’accredito della somma di euro 32.000,00 e presentato la querela nella successiva data del 12.04.2006.
6.3. Anche con riferimento al secondo profilo della prima doglianza, la sentenza impugnata appare insuscettibile di censura.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimita’ (cfr., Cass., Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, dep. 28/03/2013, P.G. in proc. Chatbi, Rv. 255793; Cass., Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, dep. 12/10/2012, P.G. in proc. Diaji, Rv. 253776), ai fini della contestazione di una circostanza aggravante, non e’ necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede, essendo sufficiente la precisa enunciazione in fatto della stessa, cosi’ che l’imputato possa avere cognizione degli elementi di fatto che la integrano: situazione che risulta essersi verificata nella fattispecie con riferimento all’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera, da ritenersi contestata in fatto attesa la sua agevole ricavabilita’ dalla descrizione del fatto contenuta in imputazione.
7. Medesime conclusioni di manifesta infondatezza vanno tratte in relazione al secondo motivo di doglianza.
Anche con riferimento a questa censura, la sentenza impugnata fornisce motivazione congrua e giustificata sul fatto che la notificazione effettuata con le modalita’ previste dall’articolo 161 c.p.p., comma 4 cod. proc. pen. presso il difensore d’ufficio (avv. (OMISSIS)) trovi legittimazione dall’avvenuta modificazione del domicilio dichiarato (di (OMISSIS)) corrispondente allo studio ove esercitava l’attivita’ professionale il (OMISSIS), trasferitosi altrove. Al riguardo, la Corte territoriale riconosce come la prospettazione indicata dalla difesa non puo’ trovare accoglimento dal momento che l’indicazione del secondo domicilio ((OMISSIS)) risulta essere avvenuta solo successivamente con atto depositato il 02.01.2007 presso l’ufficio del pubblico ministero . Fermo quanto precede – prosegue la Corte – deve ritenersi indubitabile che la sede indicata nei motivi di appello riguarda un nuovo domicilio indicato dal (OMISSIS) che pero’ non era esistente nell’elezione o dichiarazione di domicilio che qui interessa (presso lo studio di via (OMISSIS)) contenuta nel verbale datato 10.08.2006. Sulla scorta di tali emergenze non era necessario procedere alle ulteriori ricerche – come sostenuto dalla difesa – previste dall’articolo 157 c.p.p., comma 7 .
E’ pacifico – per espresso dettato normativo – che, una volta intervenuta la dichiarazione o l’elezione di domicilio, se non risulta possibile la notificazione al domicilio dichiarato o eletto, questa e’ validamente eseguita mediante consegna al difensore di ufficio o di fiducia (Cass., Sez. 4, 18/09/2006, Rv. 236114; Cass., Sez. 4, 16/01/2006). E’ ugualmente incontrovertibile che, nell’ipotesi di impossibilita’ di eseguire la notificazione nel domicilio dichiarato o eletto, l’ufficiale giudiziario non ha alcun potere o dovere di procedere ad accertamenti volti ad rintracciare il nuovo domicilio del destinatario, potendo, per contro, effettuare direttamente la notifica a mani del difensore (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, n. 49488 del 10/10/2013, dep. 09/12/2013, Nicoletti e altro, Rv. 257840; Cass., Sez. 4, 10/11/2000, Rv. 218476; Cass., Sez. 3, 28/01/1998, Rv. 210295; Cass., Sez. 5, 28/10/1996, Rv. 207063).
8. Medesime conclusioni vanno tratte con riferimento al terzo motivo di doglianza.
Anche in relazione a detta censura la motivazione della Corte territoriale e’ perspicua nel riconoscere l’esistenza di una nullita’ relativa a regime intermedio che – nei procedimenti, quali il presente, privo di udienza preliminare – andava eccepita entro il termine di cui all’articolo 491 c.p.p., comma 1, giusta la previsione dell’articolo 181 c.p.p., comma 2: eccezione che, invece, era stata proposta tardivamente solo all’udienza di discussione dell’1.10.2009.
9. Anche la quarta censura e’ manifestamente infondata.
La sentenza impugnata, anche sul punto, offre motivazione incensurabile in sede di legittimita’ riconoscendo la ricorrenza di una tipica ipotesi di truffa contrattuale. Affermano al riguardo i giudici di secondo grado: … va ricordato che l’oggetto della tutela prevista dall’articolo 640 c.p., in materia di truffa contrattuale e’ costituito dall’interesse generale di tutela della buona fede nei rapporti commerciali affinche’ non si verifichi alcun danno patrimoniale nei confronti del contraente che sia indotto in errore da una condotta artificiosa risultata causativa di un ingiusto profitto altrui. In altri termini, la persona offesa nella vicenda di interesse, non avrebbe certamente prestato il proprio consenso ad effettuare il pagamento come concretamente si e’ verificato, mediante consegna di assegni postali se solo fosse stata a conoscenza della creazione di una apparenza di legittimita’ delle operazioni – affidate al prevenuto quale legale – risultate non conformi al vero. Tanto premesso, la Corte non puo’ che riportarsi e condividere quanto indicato a pag. 6 della sentenza qui richiamata per evitare superflue ripetizioni .
10. Pari manifesta infondatezza involge l’ultimo motivo di doglianza.
Osserva il deducente l’avvenuta maturazione del termine massimo prescrizionale (pari ad anni sette e mesi sei) in data anteriore alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
In realta’, il ricorrente non tiene conto dei periodi di sospensione del dibattimento (rispettivamente dal 12.05.2008 al 02.07.2008 e dal 30.01.2009 al 13.05.2009) per impedimento dell’imputato. Il periodo da computare e’ pari a cinquantuno giorni per la prima sospensione e a giorni sessanta (atteso il limite fissato dall’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3) per la seconda sospensione, per complessivi giorni centoundici. Non puo’ invece essere considerato – ai fini che qui interessano – l’ulteriore periodo di sospensione del dibattimento (dal 13.05.2009 al 19.06.2009) disposto su concorde istanza delle parti, ossia accusa e difesa, non essendo la fattispecie prevista dal citato articolo 159 c.p.. Aggiungendo il suindicato termine di centoundici giorni a quello di anni sei e mesi sette, e considerando, in applicazione del principio del favor rei, la data del commesso reato (di natura istantanea) quella del 21.06.2005, si fissa in via definitiva il termine di prescrizione alla data dell’11.04.2013, successiva alla pronuncia della sentenza di secondo grado (intervenuta in data 28.02.2013). Prescrizione non dichiarabile nella presente sede di legittimita’ in presenza, come nella fattispecie, di ricorso palesemente infondato e – come tale – inammissibile.
11. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Il ricorrente deve essere altresi’ condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che si liquidano per ciascuna di esse in euro 2.000,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende nonche’ alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) liquidate per ciascuna in euro 2.000,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA.
Leave a Reply