Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 27 gennaio 2015, n. 1494
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Lecce ha respinto la domanda di riconoscimento dell’efficacia della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto da D.P. ed M.E. , per immaturità psicologica ed impotentia coeundi del marito.
Alla domanda formulata dal D. si opponeva la M. .
A sostegno della decisione la Corte territoriale, premesso in fatto che la convivenza tra i coniugi era durata 12 anni durante i quali la M. aveva assistito quotidianamente il marito alleviando la sua situazione fisica e psicologica, ha affermato che l’ordinamento interno evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio limitando temporalmente in modo molto rigoroso la proponibilità delle azioni di nullità. La preminenza, anche alla luce dei principi costituzionali e del diritto di famiglia, del rapporto matrimoniale determina, di conseguenza, il contrasto con i principi di ordine pubblico regolanti l’istituto matrimoniale della sentenza ecclesiastica di nullità che consegua ad una protratta durata della convivenza matrimoniale, peraltro caratterizzata nella specie dall’adempimento continuativo dei doveri di assistenza morale e materiale del coniuge.
Infine, rileva la Corte d’Appello la convivenza protratta è stata ritenuta ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1343 del 2011.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione D.P. affidandosi ai seguenti motivi:
Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 cod. civ. per non avere la Corte d’Appello considerato che le cause di nullità accertate dal tribunale ecclesiastico hanno avuto ad oggetto la radicale incapacità ad esprimere un valido consenso matrimoniale. Il ricorrente è affetto da disturbo distimico di grado grave di carattere irreversibile e certamente sussistente per tutta la durata del matrimonio. Da tale situazione di fatto consegue l’irrilevanza della coabitazione. Alla luce del citato art. 120 cod. civ. tale condizione fattuale rileva solo se sussistente dopo la cessazione della causa d’invalidità peraltro mai venuta meno nella specie, dal momento che il ricorrente non ha mai riacquistato la pienezza delle sue facoltà mentali. I principi sopraesposti trovano, infine, conforto nella giurisprudenza di legittimità.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 8 dell’accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, di modifica del Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, ratificato con l. n. 121 del 1985, nonché l’art. 4 lettera b) n. 3 del protocollo addizionale nonché infine degli artt. 7 e 29 Cost. per non avere la Corte d’Appello applicato il principio secondo il quale la convivenza tra i coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio non è espressiva delle norme fondamentali che disciplinano l’istituto e, di conseguenza, non è ostativa sotto il profilo dell’ordine pubblico interno alla delibazione della sentenza ecclesiastica, così come stabilito dalla sentenza di questa Corte n. 8926 del 2012.
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 120 e 143 cod. civ. per avere la Corte d’Appello applicato l’orientamento espresso dalla pronuncia di questa Corte n. 1343 del 2011 senza considerare se dopo il matrimonio, in concreto si sia realizzato un vero consorzio familiare, essendo insufficiente secondo il successivo orientamento espresso in Cass. n. 1789 del 2012 la mera coabitazione materiale.
Nel quarto motivo viene dedotto il vizio ex art, 360 n. 5 cod. proc. civ. per avere la Corte d’Appello in modo apodittico affermato, senza riscontri probatori che la M. avesse accudito il marito durante la convivenza durata 12 anni, risultando, al contrario, dalla sentenza ecclesiastica che la vicinanza e l’assistenza prestata fossero solo formali.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Le condizioni di riconoscimento dell’efficacia delle pronunce dei tribunali ecclesiastici di nullità del matrimonio canonico nel nostro ordinamento ed in particolarita l’applicazione del canone dell’ordine pubblico interno (art. 797 comma 1 n. 7 cod. proc. civ., cui si rinvia in virtù dell’art. 8 paragrafo 2 dell’Accordo e del punto 4 del Protocollo addizionale, firmati a Roma il 18 febbraio 1984, resi esecutivi dalla l. n. 121 del 1985) sono state significativamente incise dalla pronuncia delle S.U. di questa Corte n. 16379 del 2014.
In questa sentenza, a composizione di un contrasto preesistente creatosi nella prima sezione della Corte di Cassazione, le S.U. hanno affermato “la convivenza come coniugi deve intendersi – secondo la Costituzione (artt. 2,3, 29, 30 e 31), le Carte Europee dei diritti (art. 8, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ed il Codice civile — quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune/stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari. In tal modo intesa, la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, connotando nell’essenziale l’istituto del matrimonio nell’ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali,convenzionali ed ordinarie, di ordine pubblico italiano e, pertanto, anche in applicazione dell’art. 7, primo comma, e del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa – ai sensi dell’Accordo, con Protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984 che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’1 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, reso esecutivo dalla legge 25 marzo 1985, n. 121 (in particolare, dell’art, 8, numero 2, lettera c, dell’Accordo e del punto 4, lettera b, del Protocollo addizionale), e dell’art. 797, primo comma, n. 7, cod proc. civ. – alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’ordine canonico nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale”.
Alla luce dei principi affermati nella pronuncia possono essere affrontate le censure alla sentenza impugnata contenute nei motivi formulati dalla parte ricorrente.
I primi due motivi possono essere affrontati congiuntamente in quanto fondati sul medesimo assunto logico giuridico avente ad oggetto la non appartenenza della convivenza coniugale all’ordine pubblico interno ovvero la non incompatibilità dell’accertata convivenza coniugale con il riconoscimento della nullità del matrimonio accertata da Tribunale ecclesiastico.
Le censure sono infondate. Come già evidenziato le Sezioni Unite hanno dato continuità, ancorché con rilevanti puntualizzazioni, all’orientamento sul quale si è fondata la pronuncia di rigetto impugnata con il presente ricorso.
In particolare, la convivenza coniugale avente carattere effettivo, costituendo elemento costitutivo del rapporto matrimoniale così come delineato dalla Costituzione (art. 2, 3, 29, 30), dalla CEDU (artt. 8 e 14) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9) costituisce una condizione giuridica ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità pronunciate dai tribunali ecclesiastici in ordine a qualsiasi vizio genetico del matrimonio. La dedotta esistenza di un’incapacità psichica preesistente al matrimonio e continuativamente protrattasi per tutta la durata del rapporto non riveste alcuna incidenza rispetto all’ostacolo costituito dalla convivenza effettiva. Al riguardo le S.U. hanno posto in evidenza che i principi di ordine pubblico interno possono riguardare sia il matrimonio atto che il matrimonio rapporto. “Questi due aspetti o dimensioni dell’istituto giuridico matrimonio affermano le Sezioni Unite, hanno ragioni, disciplina e tutela distinte – come del resto emerge dalla stessa sistematica del codice civile (rispettivamente Capi III e IV del titolo VI del Libro I) – e devono, quindi essere distintamente considerati, anche, ed è ciò che specificamente rileva in questa sede, per l’individuazione dei principi e delle regole fondamentali che, connotando nell’essenziale ciascuno di essi, sono astrattamente idonei ad integrare norme di ordine pubblico interno che, come tali, possono essere ostative anche alla dichiarazione di efficacia nella repubblica italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario”. La convivenza costituisce “un elemento essenziale del matrimonio rapporto” che connota la relazione matrimoniale in modo determinante. Nel giudizio di riconoscimento dell’efficacia della sentenza di nullità matrimoniale pronunciata dal Tribunale ecclesiastico, di conseguenza, la dedotta esistenza di un’incapacità psichica originaria, astrattamente idonea a viziare il matrimonio atto non può escludere lo scrutinio rispetto ai parametri di ordine pubblico che governano il matrimonio rapporto, ed in particolare non può trascurare il rilievo del carattere costitutivo della convivenza così come declinata dalle norme costituzionali interne, Europee e convenzionali.
Anche il terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente. Le censure si fondano sulla non configurabilità di una convivenza effettiva nella fattispecie attese le condizioni psicofisiche del D. . Nella memoria viene ulteriormente precisato che nella specie il ricorrente non ha mai cessato la sua condizione d’incapacità psichica di assumere gli obblighi essenziali al matrimonio con conseguente inapplicabilità del principio stabilito nell’art. 120 cod. civ., ai sensi del quale la convivenza ha rilievo solo dopo che è cessata la causa d’incapacità.
Al riguardo occorre preliminarmente precisare che la Corte d’Appello, con accertamento incensurabile in questa sede, ha posto in rilievo che la M. ha svolto il suo ruolo di moglie ed ha assistito quotidianamente il marito senza soluzione di continuità. Tali elementi di fatto consentono di affermare che la coabitazione ha dato luogo ad una convivenza effettiva in quanto sostenuta dai doveri di assistenza e solidarietà che ne costituiscono il fondamento costituzionale. Le condizioni di menomazione psico fisica del D. non hanno avuto alcuna incidenza in ordine alla qualità ed alla sostanza della convivenza coniugale, da ritenersi del tutto corrispondente ai parametri indicati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite. Infine il richiamo contenuto in memoria all’art. 120 cod. civ. ed alla sentenza n. 19691 del 2014 di questa Corte non consente di discostarsi dai principi delle Sezioni Unite.
In primo luogo occorre rilevare che il canone di ordine pubblico fondato sulla convivenza effettiva non deriva dal puntuale regime giuridico della validità ed invalidità del matrimonio civile così come contenuta nell’art. 120 del codice civile ma dal sistema di regole costituzionali, convenzionali ed Europee sopra illustrate, non potendo i principi di ordine pubblico essere la conseguenza diretta dell’articolazione di una singola norma interna. Comunque, dalle norme relative alla nullità del matrimonio civile si desume complessivamente un netto favor per la conservazione del rapporto matrimoniale quando sia accertato il protrarsi della convivenza nel termine in esse stabilite, come può desumersi dal regime giuridico della simulazione ed in particolare dall’ultimo comma dell’art. 123 cod. civ. In secondo luogo la sentenza da ultimo citata riguarda esclusivamente la compatibilità ai fini del riconoscimento, tra la nullità accertata dal giudice ecclesiastico per “incapacitas (psichica) assumendi onera coniugalia” e le disposizioni del codice civile in tema di invalidità del matrimonio per errore (essenziale) su una qualità personale del consorte e, precisamente, sulla ritenuta inesistenza in quest’ultimo di malattie (fisiche o psichiche) impeditive della vita coniugale (art. 122, terzo comma, n. 1, cod. civ.), poiché detta diversità non investe un principio essenziale dell’ordinamento italiano, qualificabile come limite di ordine pubblico. La valutazione della compatibilità della decisione assunta dal tribunale ecclesiastico con i principi interni di ordine pubblico è stata svolta senza considerare in alcun modo il profilo della convivenza del tutto omessa nell’esame dei fatti contenuti nella decisione.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità.
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