Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 23 gennaio 2018, n. 1616. In tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 1

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4.3. Su tali basi, la giurisprudenza si e’ confrontata poi in particolare con il portato della disposizione dell’articolo 9 Decreto Ministeriale cit. del 1968, che al comma 1 per le zone A prescrive che “per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale”. L’evoluzione giurisprudenziale ha conosciuto da un lato pronunce (v. ad es. Cass. 29/04/1995, n. 4754, e 20/05/2008, n. 12767) con cui questa corte ha continuato ad affermare che, vietandosi con detta norma qualsiasi attivita’ costruttiva, essa non potesse ritenersi assumere carattere integrativo delle disposizioni del codice civile sulle distanze. D’altro lato, questa corte – con la sentenza n. 1282 del 24/01/2006 che qui si condivide nell’esaminare il caso in cui la “corte territoriale… (aveva) rilevato che… il divieto assoluto di nuove edificazioni comporta(sse)… la sola applicabilita’ dell’articolo 873 c.c.” ha affermato l’erroneita’ di tale argomentazione, in quanto essa “trascura il rilievo fondamentale che… lo strumento urbanistico… ha recepito il D.M…. che all’articolo 9 prescrive, per la zona A, per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti. Tale disciplina, quindi, (e’) parte integrante della normativa codicistica in materia di distanze nelle costruzioni”, pienamente vigente anche a prescindere dalla mancata approvazione di strumenti particolareggiati esecutivi. Secondo detta pronuncia, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, cio’ comporta che, in caso di “adozione da parte degli enti locali di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata di cui all’articolo 9”, sussiste “l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare la disposizione illegittima, ma anche di applicare direttamente la disposizione dell’articolo 9 richiamato, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico”. Nello stesso solco si e’ nuovamente inserita questa corte con la sentenza n. 12424 del 20/05/2010, ove si e’ affermato, da angolo visuale complementare, che l’articolo 9, comma 1 Decreto Ministeriale citato “consente in quelle zone (A) il mantenimento in loco delle costruzioni preesistenti, oggetto di risanamento o ristrutturazione, sicche’ le esonera dall’osservanza di distanze diverse da quelle gia’ in essere”.

4.4. Successivamente la questione e’ stata esaminata dalle sezioni unite di questa corte, seppur adite per questione di giurisdizione, le quali hanno confermato pronuncia della corte territoriale che aveva statuito, in relazione alla violazione delle distanze intercorrenti tra edifici preesistenti in zona in cui tale limite si applicava, il principio per cui l’articolo 9 D.M., “in quanto emanato su delega dell’articolo 41-quinquies” cit., con “efficacia di legge”, in presenza di strumenti urbanistici successivi contrastanti, comporta “l’obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare la disposizione illegittima, ma anche di applicare tale disposizione, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico”; nel caso esaminato, in cui lo strumento prevedeva il divieto, “tale principio”, secondo le sezioni unite, “trova ancor maggiore fondamento”, stante la mancanza di contrasto rilevato dai giudici di merito (cosi’ Cass. sez. U n. 20354 del 05/09/2013).

4.5. Ai predetti precedenti cui il collegio intende uniformarsi si sono attenute, piu’ recentemente, a quanto consta, Cass. n. 14552 del 15/07/2016, ove si e’ chiarito specificamente che, “essendo imposto” dall’articolo 9 – qualificata “norma regolamentare (con) efficacia precettiva nei rapporti privatistici… integrativa delle disposizioni dettate dall’articolo 873 c.c.” – “un vincolo conformativo inerente alle caratteristiche intrinseche del territorio…, il mancato rispetto del divieto di nuove costruzioni nella zona A non e’ privo di conseguenze sul piano della violazione delle disposizioni concernenti le distanze legali tra costruzioni, che devono rimanere quelle preesistenti”; nonche’ Cass. n. 15458 del 26/07/2016, che ha ribadito che nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9 questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operativita’ nei rapporti tra privati, in virtu’ della natura integrativa del regolamento rispetto all’articolo 873 c.c..

4.6. Nel dare dunque continuita’ al predetto indirizzo interpretativo del combinato disposto dell’articolo 873 c.c. e del Decreto Ministeriale 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, puo’ qui rilevarsi, a parte ogni considerazione circa i paradossi insiti nel precedente indirizzo (in particolare: (a) di fronte a un divieto di edificare ritenuto operante sul solo piano pubblicistico, il giudice sarebbe stato sempre chiamato ad individuare aliunde una norma volta a dettare distanze per costruzioni per altro verso illegittime, o in alternativa lo strumento urbanistico, nel dettare il divieto assoluto, avrebbe comunque dovuto prescrivere una distanza, volta al solo fine di integrare l’articolo 873 c.c.; (b) proprio nelle zone A ove lo strumento urbanistico avesse dettato un divieto a maggior tutela del territorio il giudice civile avrebbe dovuto applicare una distanza di norma irrisoria, mentre nelle zone B meno tutelate la distanza minima tra pareti finestrate sarebbe stata di metri 10), che il diverso indirizzo appare in armonia con la ratio della disciplina urbanistica di assicurare l’ordinato sviluppo edilizio senza rinunciare a utilizzare all’uopo, talora, la nozione codicistica di “distanza” per le costruzioni (tanto che lo stesso legislatore dell’articolo 873 c.c. se ne mostra consapevole). In tal senso, deve ritenersi che anche le norme di divieto assoluto di edificare dettate da strumenti urbanistici – direttamente o per il tramite di disapplicazione giudiziale in relazione a discipline cogenti che il divieto impongano contengano comunque un implicito riferimento all’articolo 873 c.c. Di cio’ la disposizione dell’articolo 9, comma 1 Decreto Ministeriale e’ una esplicitazione, nella parte in cui per le zone A prescrive che le distanze tra edifici (per operazioni di risanamento conservativo e per eventuali ristrutturazioni) non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti: trattasi di una disposizione in tema di divieto di nuove edificazioni, significativamente pero’ formulata in termini di obbligo di rispetto, solo per determinate tipologie di fabbricazione, di “distanze”, individuate in quelle preesistenti. Tale dato rivela chiaramente la volonta’ del legislatore di considerare il divieto sub specie di cristallizzazione, sia in negativo sia in positivo (cfr. Cass. n. 12424 del 20/05/2010 cit.), del regime civilistico delle distanze preesistenti. Cio’ conduce dunque a confermare che i divieti assoluti di edificazione posti da una normativa urbanistica cogente riferita anche implicitamente alla nozione di distanza per le costruzioni (di cui le norme di cui all’articolo 1 Decreto Ministeriale sono esempio, ma potendo discipline della specie essere dettate anche in altro modo, ad es., per legge) costituiscono disposizioni integrative dell’articolo 873 c.c., con conseguente invocabilita’ ex articolo 872 c.c., comma 2, della riduzione in pristino, per relationem alle distanze de facto preesistenti tra edifici eventualmente anche non eccessivamente prossimi, le quali ovviamente potranno consistere in una distanza in senso stretto ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, mentre si tradurranno in un divieto assoluto di edificazione, qualora invece non sussistesse alcun preesistente volume.

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