Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 23 gennaio 2018, n. 1616. In tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 1

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1.2. Con il quarto motivo del ricorso principale, in effetti contenente una duplice censura, poi, si lamenta – in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – da un canto violazione degli articoli 873, 880 e 885 c.c. e, dall’altro, omessa nonche’ insufficiente motivazione sul fatto decisivo costituito dalla delimitazione delle proprieta’ gia’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) da muro comune costituente linea di confine, lungo il quale le costruzioni sarebbero realizzate in aderenza. In particolare, i ricorrenti denunciano che, omettendo l’esame di specifico motivo di appello in argomento, la corte territoriale abbia trascurato di valutare – sia dal punto di vista dell’individuazione della regula iuris applicabile sia dell’adeguatezza della motivazione – che, costituendo il muro di fabbrica comune la linea di confine in tutta la sua estensione, dovesse ritenersi legittima la costruzione in aderenza, una volta appurata in relazione ai motivi precedentemente esposti l’applicabilita’ dell’articolo 873 c.c., che tale aderenza consente.

2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale (p. 4 ss. dell’atto), in effetti comprensivo di piu’ censure (lettera a), b) e c)), (OMISSIS) denuncia, quanto alle statuizioni nei confronti del proprio dante causa:

a) una violazione di legge, nella parte in cui la corte territoriale avrebbe ritenuto l’intervenuta modificazione in sede di approvazione del piano regolatore della disciplina della zona, che secondo la sig.a (OMISSIS) permarrebbe quella individuata dal tribunale a causa del non essere stata espunta la tabella delle distanze per la zona Al; essa sig.a (OMISSIS) integra tali deduzioni (anche affrontando gli aspetti relativi entro la trattazione sub b))con riferimento alla certificazione comunale avente ad oggetto la medesima situazione;

b) altro errore di diritto in riferimento alla disciplina delle distanze, nella parte in cui la corte territoriale non avrebbe ritenuto, ove vigente la modificazione del piano regolatore, che l’assoluto divieto di edificazione integrasse il regime edificatorio che il vicino puo’ far valere ai sensi dell’articolo 873 c.c., in luogo della distanza di tre metri prevista in quest’ultima norma;

c) un terzo errore di diritto riferito agli articoli 1065 e 1362 c.c., con connessa inadeguatezza della motivazione, nella parte in cui la corte d’appello non avrebbe considerato che la servitu’ istituita da (OMISSIS) sarebbe circoscritta a un ampliamento non superante determinate dimensioni e rispettoso di specifiche modalita’ costruttive indicate nel titolo; poiche’ (OMISSIS) aveva in tesi contravvenuto a dette prescrizioni costruttive, la costruzione non avrebbe potuto ritenersi legittimata dal titolo stesso.

3. Tanto premesso, rileva anzitutto la corte che sia il primo motivo del ricorso principale (concernente il governo delle spese processuali effettuato con la sentenza impugnata) sia il terzo e il quarto motivo nella parte di quest’ultimo riferita all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (in quanto coinvolgenti entrambi profili di adeguatezza motivazionale) sono assorbiti dall’accoglimento a pronunciarsi dell’unico motivo dell’incidentale di cui in prosieguo (che per altra via assorbe, come si dira’, anche gli altri motivi del ricorso principale), stante la circostanza che, in sede di rinvio, competera’ alla corte territoriale, procedendo a rinnovata valutazione dei profili concernenti la disciplina delle distanze applicabile a tutte le edificazioni per cui e’ causa (interessate dai ricorsi sia principale che incidentale), altresi’ delibare se e in quali limiti l’eventuale situazione di costruzione in aderenza renda legittima l’edificazione, nonche’ governare ex novo le spese processuali.

3.1. Il secondo e – nella parte con cui si deduce violazione di legge – il quarto motivo del ricorso principale, strettamente collegati, sono a loro volta strettamente connessi ai temi sollevati nel ricorso incidentale nel suo unico motivo; la trattazione dei primi e’ assorbita da quella dell’ultimo. Invero, in ordine al secondo motivo del ricorso principale, se effettivamente da un lato la corte d’appello, nell’affermare ai fini dell’individuazione del regime delle distanze per le costruzioni nell’area in discussione l’applicabilita’ dell’articolo 873 c.c., ritenendo la norma codicistica, che prescrive la distanza di tre metri tra costruzioni frontistanti, non integrata dalle disposizioni del piano regolatore, prevedenti divieto assoluto di nuove edificazioni, ha tuttavia – senza adeguatamente esaminare le deduzioni in appello dell’odierna parte ricorrente – contraddittoriamente dato poi applicazione, mediante conferma della sentenza di prime cure, a quelle norme integratrici dell’articolo 873 c.c. prevedenti distanze dal confine di metri cinque e dalle costruzioni di metri dieci al fine di determinare l’arretramento da effettuarsi rispetto alle fabbriche del (OMISSIS), d’altro lato la pronuncia in ordine alla dedotta nullita’ della sentenza per contrasto irriducibile tra motivazione e dispositivo, pur sussistente, non puo’ logicamente separarsi dall’individuazione del regime delle distanze effettivamente da attuare, di cui al quarto motivo. Quanto poi al quarto motivo medesimo, affrontandosi con esso la questione giuridica relativa al se nelle zone in cui lo strumento urbanistico vieti del tutto l’edificazione si applichi la disciplina residuale dell’articolo 873 c.c. (come ritenuto dalla corte d’appello) o il medesimo regime di inedificabilita’ previsto dallo strumento, deve rilevarsi l’identita’ della questione stessa rispetto a quella centrale attinta dai profili sub a) e sub b) del motivo di ricorso incidentale, cio’ che quindi da’ ragione dell’assorbimento.

3.2. Stante l’assorbimento, l’esame del ricorso incidentale condurra’ a formulazione di principio di diritto idoneo a governare anche i temi di cui al secondo e – nella parte con cui si deduce violazione di legge – al quarto motivo del ricorso principale, in particolare valendo a guidare il giudice del rinvio sui temi investiti dal secondo motivo del ricorso principale circa il denunciato contrasto tra motivazione e dispositivo (§ 3.1. innanzi), nonche’ dal quarto motivo del ricorso principale, nella parte relativa a violazione di legge (correlata al profilo sub b) del ricorso incidentale), ferma restando l’esigenza di accertamenti – anche d’ufficio – circa la disposizione sulle distanze concretamente applicabile (tema correlato a quanto subito in appresso § 4.1) e di revisione, a seconda delle risultanze dell’indagine, delle conclusioni (in tema di derogabilita’ delle distanze da parte dell’autonomia privata) fatte discendere dalla premessa dell’applicabilita’ dell’articolo 873 c.c., alla luce del venir meno della premessa, in esito alla cassazione della sentenza qui a pronunciarsi (cfr. infra § 5).

4. Su tali basi deve dunque procedersi all’esame del ricorso incidentale nel suo unico motivo, nei profili sub a) e b).

4.1. In primo luogo (v. ricorso incidentale, profilo sub a)) la corte territoriale, in relazione al principio iura novit curia applicabile in materia di distanze e alla controversia sulla vigenza delle disposizioni di cui alla tabella delle distanze per la sottozona A1, effettivamente non risulta aver dato trattazione ai profili, anche documentali, sollevati dalla parte appellante incidentale. Essendo la censura fondata, a seguito della cassazione con rinvio i relativi accertamenti documentali andranno svolti.

4.2. Cio’ posto, va affrontato, tra i diversi profili gia’ sopra menzionati, specificamente quello concernente il frequente caso quale quello in esame – in cui lo strumento urbanistico, emanato in base al D.I. 2 aprile 1968, n. 1444 (recante “Limiti inderogabili di densita’ edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita’ collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi della L. n. 765 del 1967, articolo 17”) vieti del tutto l’edificazione in una determinata zona (si tratta, di regola, della zona “A” di cui all’articolo 2 stesso D.M.), e quindi non preveda la distanza da osservarsi per l’edificazione di costruzioni rispetto a fabbricati preesistenti (fermo restando che il divieto assoluto di costruire puo’ derivare anche da altre fonti parimenti incidenti sul regime delle distanze; ad es., oltre che dalla legge, per l’ipotesi che derivi da piano particolareggiato, cfr. Cass. 16/02/2007, n. 3638). Sui presupposti impliciti che (a) il divieto di costruire dettato dallo strumento avesse valenza solo amministrativa (rivolgendosi all’autorita’ comunale al fine del rilascio della concessione o permesso di costruire) e penale, non potendo il privato lamentarne la violazione innanzi al giudice ordinario in sede civile ai fini della rimessione in pristino, ma solo per il risarcimento dei danni, e (b) dovesse sussistere comunque un regime delle distanze legali per le costruzioni, stante la valenza generale dell’articolo 873 c.c., la giurisprudenza di merito si e’ impegnata a individuare la relativa disciplina talora applicando in via analogica le norme dettate per le altre zone ove piu’ severi sono gli standard edilizi, talora applicando la distanza di tre metri di cui all’articolo 873 c.c.. Tale secondo orientamento e’ stato in piu’ occasioni fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimita’ (tra le pronunce non recenti v. ad es. Cass. n. 7804 del 13/07/1991 e n. 12376 del 19/11/1992), introducendosi peraltro una variante di esso (cfr. ad es. Cass. n. 4812 del 22/04/1992 e n. 1577 del 01/03/1990, avallate da sez. U n. 9871 del 22/11/1994, chiamate peraltro a comporre contrasto su altro tema) secondo cui, stante l’asserita natura suppletiva della distanza introdotta nell’articolo 41-quinquies L. Urb. dalla L. n. 765 del 1967, articolo 17 (al comma 1 oggi abrogato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 136 eventualmente ex nunc secondo Cass. n. 12741 del 29/05/2006 e alcune altre pronunce), sarebbe stata quest’ultima, almeno all’epoca, la disciplina da applicare nel caso descritto (v. piu’ recentemente Cass. n. 26123 del 30/12/2015).

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