Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 10 gennaio 2018, n. 633. In tema di bancarotta fraudolenta

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2.4. L’assunto della ricorrente secondo cui la societa’ (OMISSIS) s.r.l. sarebbe stata in situazione di dissesto gia’ nel 1998 e’ inoltre priva di adeguato supporto probatorio, neppure indicato, ed e’ palesemente smentita dalle sentenze di merito.
Dalle due sentenze del G.i.p. di Milano e della Corte di appello di Milano risulta infatti che la societa’, inizialmente denominata (OMISSIS) s.r.l. era una societa’ molto piccola, priva di debiti, in liquidazione volontaria dal 1997, che era stata acquisita nel 1998 dai (OMISSIS) e utilizzata per la prosecuzione della loro attivita’ sotto nuovo nome, (OMISSIS) s.r.l., proprio perche’ la societa’ di famiglia, la (OMISSIS) s.r.l., era in stato di dissesto e sarebbe poi fallita.
La nuova societa’ ha perseguito sin dall’origine e con premeditazione la strategia di autofinanziamento mediante sistematica omissione di pagamento di tributi e oneri previdenziali: non e’ dato quindi discorrere di aggravamento di un dissesto e di prosecuzione di attivita’ in situazione di insolvenza, ma di una deliberata strategia di operare sottraendosi agli obblighi di legge e utilizzando un veicolo societario inizialmente sano e acquisito a quello scopo.
Il ragionamento della ricorrente confonde infatti la nuova societa’ (OMISSIS) s.r.l., nata dalla trasformazione di (OMISSIS) s.r.l. e la preesistente (OMISSIS) s.r.l..
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce vizio della motivazione in ordine al diniego del contenimento della pena edittale, motivato sulla base dell’oggettiva gravita’ del fatto e dell’entita’ del debito maturato dalla fallita, ignorando che le condotte contestate avevano solo aggravato l’entita’ del dissesto e che il dolo si atteggiava in termini di mera accettazione del rischio del fallimento.
Tale motivo e’ inammissibile, in quanto mira ad ottenere dalla Corte di Cassazione una nuova valutazione sulla congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. La gradazione della pena, infatti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, ai sensi degli articoli 132 e 133 c.p. (ex multis Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142).
Inoltre, sempre secondo giurisprudenza consolidata in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, come nel caso di specie anche a non tener conto della diminuente per il rito, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
Infine la Corte territoriale ha motivato in ordine alla gravita’ oggettiva del fatto, anche in relazione all’entita’ assai consistente del debito, oltre 3 milioni di Euro, mentre la tesi del dolo eventuale e’ assolutamente incompatibile con la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di merito, che parla addirittura di premeditazione e che comunque accerta il ricorso sistematico, sin dall’inizio della nuova attivita’, al finanziamento mediante omissione dei pagamenti di imposte e oneri previdenziali.
4. I ricorsi devono quindi essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati, ciascuno, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle Ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00= a favore della Cassa delle ammende.

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