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1.2. Il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 1373, 1334 e 1350 c.c., in relazione agli articoli 1351 e 1352 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto dovuta la forma scritta della disdetta perche’ pretesa dalle parti collettive nella riunione del 27.1.04: oppone la societa’ la non conferenza del richiamo, operato dalla Corte territoriale, alla ben diversa ipotesi del rapporto fra contratto preliminare e contratto definitivo e a precedenti giurisprudenziali concernenti contratti che la legge espressamente considera solenni.
1.3. Con il terzo motivo ci si duole di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, consistente nella avvenuta disdetta verbale manifestata nel corso della riunione del 27.1.04 e nella relativa istanza di prova testimoniale coltivata dalla societa’.
1.4. Analoga doglianza viene fatta valere anche con il quarto motivo, sotto forma di denuncia di violazione o falsa applicazione dell’articolo 111 Cost. in relazione all’articolo 24 Cost. e articolo 101 c.p.c..
1.5. Il quinto motivo denuncia omesso esame d’un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’asserito accordo fra loro intervenuto nel corso della riunione del 27.1.04 affinche’ la disdetta fosse manifestata per iscritto, accordo apoditticamente affermato dalla sentenza impugnata senza che su di esso sia stato svolto alcun accertamento istruttorio.
1.6. Il sesto motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’articolo 641 c.p.c. in relazione al motivo di gravame con cui la societa’ aveva sostenuto la nullita’ dei decreti ingiuntivi nn. 16871/08 e 16872/08 (l’opposizione ai quali, da parte della societa’, aveva originato il presente giudizio) in quanto privi dell’indicazione del termine entro il quale pagare la somma ingiunta: su tale motivo di gravame – lamentava la societa’ ricorrente – nulla aveva risposto la sentenza impugnata.
1.7. Il settimo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 139, 148 e 149 c.p.c., in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui la Corte territoriale non ha considerato che la decadenza dalla disdetta e’ impedita gia’ dalla mera consegna della relativa lettera all’agente postale, di guisa che il dichiarante non puo’ soffrire le conseguenze sfavorevoli di eventuali ritardi altrui.
2.1. I primi due motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perche’ connessi – sono fondati.
Per quanto concerne gli accordi o contratti collettivi di lavoro, una volta venuto meno l’ordinamento corporativo e, con esso, l’articolo 2072 cod. civ., inizialmente Cass. n. 5119/87, Cass. n. 5034/89 e Cass. n. 823/93 affermarono la necessita’ della forma scritta ad substantiam, desunta vuoi dal rispetto del principio dell’affidamento vuoi da norme come, ad esempio, gli articoli 2113 e 2077 c.c., la L. n. 741 del 1959, articolo 3 o l’articolo 425 c.p.c., che implicitamente presuppongono una forma scritta.
Difforme statuizione fu adottata da Cass. n. 8083/87 nel risolvere il diverso, ma connesso, problema della necessita’ della forma scritta per il mandato conferito dai lavoratori ai rappresentanti sindacali, relativo alla conclusione di un accordo aziendale avente ad oggetto la sospensione del rapporto: tale sentenza ritenne valido il mandato, conferito con comportamenti concludenti, in quanto non era prevista la forma scritta ad substantiam per la stipulazione dell’accordo aziendale (Cass. n. 8083/87).
Ancora per la non configurabilita’ d’una forma scritta ad substantiam si pronuncio’ Cass. n. 4030/93.
Si giunse, infine, alla sentenza n. 3318/95, con cui le S.U. di questa S.C. statuirono che, in mancanza di norme che prevedano, per i contratti collettivi, la forma scritta e in applicazione del principio generale della liberta’ della forma (in base al quale le norme che prescrivono forme peculiari per determinati contratti o atti unilaterali sono di stretta interpretazione, ossia insuscettibili di applicazione analogica), un accordo aziendale e’ valido anche se non stipulato per iscritto.
In senso conforme si pronuncio’ Cass. n. 11111/97.
Non si ravvisano ragioni idonee a mutare quest’ultimo indirizzo interpretativo, a tal fine non bastando le pur evidenti esigenze funzionalistiche che consigliano l’adozione d’un testo scritto, ma che di per se’ non possono imporlo in difetto d’una sanzione a pena di nullita’ prevista dalla legge o dall’autonomia privata.
Per questa ragione non vale invocare gli articoli 2077 o 2113 c.c., la L. n. 741 del 1959, articolo 3, l’articolo 425 c.p.c. od altre analoghe disposizioni in cui il testo scritto – non sancito a pena di nullita’ – e’ implicitamente presupposto a fini meramente ricognitivi.
In altre parole, va mantenuto saldo il consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale in virtu’ del quale le norme secondo cui determinati contratti o atti devono essere posti in essere con una forma particolare sono di stretta interpretazione.
Cio’ sia detto in ossequio al principio di liberta’ delle forme che deriva dall’articolo 1325 c.c., n. 4 (fermo restando che qualsiasi atto, per esistere nel mondo giuridico, deve pur sempre manifestarsi all’esterno ed assumere, quindi, una qualche forma, sia essa verbale, scritta, per fatti concludenti etc.).
Ne discende che e’ corretto parlare comunemente di forma libera, come regola, di forma vincolata, come eccezione.
E’ pur vero che in alcune ipotesi questa Corte ha statuito la necessita’ della forma scritta anche in assenza di espressa disposizione normativa, ma cio’ e’ avvenuto in base ad un’interpretazione estensiva e non analogica di norme che imponevano la redazione per iscritto di atti connessi, come avvenuto – ad esempio – per il contratto che risolva un preliminare comportante l’obbligo di trasferire la proprieta’ o diritti reali su immobili (v. Cass. n. 13290/15 fino a risalire, indietro nel tempo, a Cass. S.U. n. 8878/90).
Una volta stabilita la liberta’ della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima liberta’ deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso (articolo 1372 c.c., comma 1) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex articolo 1373 c.c., comma 2.
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