Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 2 febbraio 2018, n. 2600. Il principio di liberta’ della forma si applica anche all’accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune

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Tanto deriva dal consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale per cui il recesso e’ un negozio recettizio che, pur non richiedendo formule sacramentali, nondimeno resta assoggettato agli stessi vincoli formali eventualmente prescritti per il contratto costitutivo del rapporto al cui scioglimento sia finalizzato (cfr. Cass. n. 14730/2000, Cass. n. 5454/90 e Cass. n. 5059/86).

Ove tali vincoli non siano previsti – come nel caso degli accordi o dei contratti collettivi di lavoro – si riespande il principio della liberta’ della forma della manifestazione di volonta’, tanto per il contratto quanto per i negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex articolo 1373 c.c., comma 2).

E’, poi, opportuno precisare che anche per la forma ad probationem tantum e’ necessaria un’apposita previsione (che nel caso di specie non sussiste) e che esula dalla presente sede il discorso attinente alla forma definita “integrativa” da quella parte della dottrina che la ricava dalle norme che prevedono una determinata forma al solo fine di far si’ che il contratto produca tra le parti effetti ulteriori rispetto a quelli tipici e immediati (v., ad es., articoli 1524, 1605, 2787 e 2800 c.c.).

2.2. La qui ribadita liberta’ della forma del contratto collettivo di lavoro e dei negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex articolo 1373 c.c., comma 2) reca con se’ la fondatezza – nei sensi qui di seguito meglio chiariti – degli ulteriori motivi di censura riferiti alla mancata ammissione delle prove testimoniali a tal fine chieste e coltivate dalla societa’ ricorrente.

Essa e’ onerata ex articolo 2697 c.c., comma 2, della dimostrazione (in quanto ricopre il ruolo sostanziale di convenuto eccipiente) sia dell’esistenza d’una effettiva disdetta verbale espressa nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04 sia del carattere meramente confermativo della successiva lettera del 29 gennaio 2004, per superare la contraria affermazione degli odierni controricorrenti, secondo i quali, invece, in quella riunione le parti avrebbero pattuito la comunicazione scritta del recesso.

A sua volta l’onere di comunicare per iscritto la disdetta, ove pattuito nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04, risulterebbe rilevante non ai fini degli articoli 1351 o 1352 c.c., ma perche’ una pattuizione del genere equivarrebbe ad una concorde richiesta di ripensamento tale da inficiare un’ipotetica iniziale volonta’ di recesso da parte aziendale, cosi’ implicandone l’assenza o (il che e’ lo stesso ai presenti fini) la non attualita’ alla data del 27.1.04.

Nel caso di specie comunque non soccorrerebbe l’articolo 1351 cod. civ. (applicabile solo quando una determinata forma sia stabilita dalla legge e non pure quando essa sia stata prevista dalle parti per un contratto per il quale la legge non dispone alcunche’: cfr. Cass. n. 3980/81) ne’ l’articolo 1352 cod. civ. (perche’ il vincolo d’una futura forma puo’, a sua volta, essere posto soltanto per iscritto).

Di tali principi non ha fatto applicazione la sentenza impugnata, che – in violazione degli articoli 24 e 111 Cost. – e’ pervenuta al diniego della prova (ritualmente chiesta dalla societa’ ricorrente) in base all’erroneo presupposto che nella vicenda in esame la disdetta non potesse darsi che in forma scritta.

Vanno disattese le obiezioni mosse dai controricorrenti alla possibilita’ d’una prova testimoniale della disdetta, vuoi perche’ ex articolo 421 c.p.c., comma 2, nel processo del lavoro non si applicano i limiti alla prova testimoniale previsti dagli articoli 2721, 2722 e 2723 c.c. (cfr., per tutte, Cass. n. 9228/09), vuoi perche’ tali limiti sono riferibili ai soli contratti e non anche agli atti unilaterali (cfr., per tutte, Cass. n. 5417/14).

2.3. E’ fondato il quinto motivo di censura (scrutinabile come vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, applicabile ratione temporis, previgente rispetto alla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134): la sentenza impugnata ha affermato del tutto apoditticamente che nel corso della riunione del 27.1.04 le parti avrebbero pattuito la necessita’ d’una comunicazione scritta del recesso senza che, pero’, sia stato svolto alcun accertamento istruttorio a riguardo.

Per altro, tale affermazione dei giudici di merito, ancor prima che apodittica, e’ comunque superata dalla sopra chiarita inapplicabilita’ degli articoli 1351 e 1352 cod. civ..

2.4. E’, invece, infondato il sesto motivo di ricorso.

Nel vigente ordinamento processuale, ispirato ad un assetto teleologico delle forme, la loro inosservanza importa nullita’ solo se espressamente comminata dalla legge (v. articolo 156 c.p.c., comma 1) o se tale da rendere l’atto inidoneo a raggiungere il suo scopo (v. articolo 156 c.p.c., comma 2).

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