In caso di azione di surrogazione da parte dell’ente assicuratore nei confronti del responsabile, il differenziale, cioè quanto ancora dovuto al danneggiato va calcolato tenendo presente che: quanto pagato a titolo di danno patrimoniale non può decurtare quanto ancora dovuto a titolo di biologico; il danno patrimoniale va risarcito – e dunque è consentita la surroga da parte dell’ente – solo se effettivamente patito; in tal caso il danneggiato dovrà essere risarcito integralmente del biologico e l’ente dovrà essere rimborsato del patrimoniale effettivamente causato, per il quale vi sarà surrogazione e dunque trasferimento del diritto di credito

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 30 agosto 2016, n. 17407

RITENUTO IN FATTO

Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:
“1. P.G., rimasto vittima di un sinistro stradale, ha altresì percepito dall’Inail l’indennizzo dovutogli per legge.
Nel giudizio proposto da P.G. contro i responsabili del sinistro, è intervenuto l’assicuratore sociale formulando azione di surrogazione ex art. 1916 c.c., nei confronti dei convenuti.
2. La Code d’appello di Milano, decidendo tanto sulla domanda principale di risarcimento, quanto su quella di surrogazione, ha – per quanto qui rileva – calcolato il risarcimento dovuto alla vittima come segue:
– ha liquidato il danno aquiliano coi criteri equitativi ritenuti applicabili;
– l’ha dimezzato ex art. 1227 c.c., comma 1, per tenere conto del concorso colposo della vittima;
– ha sottratto dall’importo così ottenuto il valore capitale della rendita e le altre somme pagate dall’Inail, eccezion fatta per gli importi sostenuti dall’assicuratore sociale a titolo di spese mediche.
3. La sentenza è impugnata con un solo motivo da P.G..
Il ricorrente non richiama formalmente alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c.; tuttavia dall’illustrazione del motivo emerge con chiarezza che egli formula con l’unico motivo due censure:
(a) prospetta una violazione di legge, consistita nell’avere la Corte d’appello falsamente applicato l’art. 1916 c.c., ed i criteri che presiedono al calcolo del c.d. danno differenziale; ovvero al risarcimento spettante a persona che, in conseguenza dell’illecito, abbia percepito prima del risarcimento un indennizzo dall’assicuratore sociale contro gli infortuni sul lavoro (p. 18, 2 capoverso, e 22, 2 alinea);
(b) prospetta una nullità della sentenza per mancanza di una motivazione intelligibili (p. 22, 2 e 3 alinea).
4. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per novità della questione prospettata, sollevata dall’Inail nel propizi controricorso.
Essa è infondata.
P.G. aveva adatti impugnato la sentenza di primo grado dolendosi giustappunto dei criteri coi quali il primo giudice aveva calcolato il danno differenziale (cfr. conclusioni dell’atto d’appello, lettera (c)): e dunque la questione oggi prospettata non è affatto nuova.
Quanto al rilievo secondo cui P.G. avrebbe nell’atto d’appello, sollecitato la determinazione del danno differenziale con criteri diversi rispetto a quelli invocati nel ricorso per cassazione, ed a prescindere da qualsiasi valutazione circa l’esattezza del rilievo, v’è da osservare che anche ove sussistesse tale differenza, si tratterebbe della prospettazione di questioni giuridiche, sempre ammesse in questa sede.
5. Nel merito, il ricorso è parzialmente fondato, con riferimento ad ambedue i vizi prospettati dal ricorrente.
La surrogazione dell’assicuratore di cui all’art. 1916 c.c. è una successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento spettante all’assicurato. Essa ha la funzione di evitare l’arricchimento del responsabile, evitare un interesse dell’assicurato all’avverarsi del sinistro, e mantenere bassi i costi del servizio assicurativo e, di rimbalzo, i premi.
Ne consegue che:
(a) in tanto l’assicuratore sociale può surrogarsi alla vittima, in quanto questa vanti un diritto di credito verso il responsabile;
(b) una volta esercitata la surrogazione, il danneggiato perde il relativo diritto di eredito verso il responsabile, diritto che si trasferisce all’assicuratore sociale;
(c) se l’assicuratore sociale, in forza della speciale legislazione che ne disciplina i doveri, è tenuto ad indennizzare obbligatoriamente un pregiudizio che, dal punto di vista civilistico, la vittima non risulta avere subito, per il relativo intorto non può esservi surrogazione;
(d) il credito risarcitorio della vittima si riduce solo e nella misura in cui abbia ricevuto dall’assicuratore sociale indennizzi destinati a ristorare danni che dal punto di vista civilistico possano dirsi effettivamente patiti.
5.1. Applicando dunque i suddetti criteri per il calcolo del c.d. danno differenziale, ne discende che, per quanto riguarda il danno biologico permanente, non v’è dubbio che la nozione civilistica di tale pregiudizio (desumibile dall’art. 138 cod. ass., che secondo questa Corte è espressione d’un principio generale) coincida con la nozione assicurativa (D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13).
Il calcolo differenziale andrà dunque effettuato sottraendo dal credito risanrtorio civilistico l’importo pagato dall’Inail per la stessa voce.
A tal fine deve tuttavia ricordarsi che, per le invalidità permanenti superiori al 16%, l’Inali paga all’assicurato una rendita. L’importo di questa rendita è stabilito dalla Tabella che costituisce l’Allegato 5 al dm. 12.7.2000.
Il valore risultante dalla suddetta tabella è poi maggiorato di un quid variabile in finzione del reddito della vittima.
Ciò è stabilito dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, lett. (b), secondo cui: le, menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita (..) commisurata (..) alla retribuzione dell’assicurato (A per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali.
L’ulteriore quota di rendita è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un cosciente stabilito dall’Allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000.
Cosi, ad esempio, per le menomazioni dal 26% al 35% la rendita è aumentata moltiplicando la retribuzione della vittima per il coefficiente 0,6; mentre per le menomazioni dal 36% al 50% la rendita è aumentata moltiplicando la retribuzione della vittima per il cosciente 0,7.
L’incremento della rendita per danno biologico, di cui all’art. 134, comma 2, lettera (b), del d.lgs 23.2.2000 n. 38 costituisce un indennizzo lode/tali del danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro.
Tanto si desume:
(a) in primo luogo dalla lettera della legge, la quale espressamente afferma che l’ulteriore quota di rendita di ari si discorre è erogata per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali della lesione della salute;
(b) dal principio c.d. di aredittualità del danno biologico. Quest’ultimo, infatti, consiste nella lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”, e deve essere indennizzato “in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato” (così il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 1, cit.). Da tali principi deve desumersi che qualsiasi incremento del risarcimento dovuto dall’INAIL per il danno biologico patito dal lavoratore, che sia agganciato al reddito della vittima, abbia lo scopo di ristorare il pregiudizio patrimoniale da compromissione della capacità di lavoro e di guadagno, perchè sarebbe altrimenti incompatibile con la natura areddituale del risarcimento del danno biologico.
Pertanto, quando ricorrano i presupposti di fatto di cui al D.Lgs. 38 del 2000, art. 13, comma 2, lett. (b), l’INAIL liquida all’avente diritto un indennizzo in forma di rendita che ha veste unitaria, ma duplice contenuto: con quell’indennizzo, infatti, l’INAIL compensa sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno.
Da quanto esposto consegue che quando la vittima di un illecito aquiliano abbia percepito anche l’indennizzo da parte dell’INAIL, per calcolare il danno biologico permanente differenziale è necessario:
(a) determinare il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa la personalizzazione o danno morale che dir si voglia, attesa la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale;
(b) sottrarre dall’importo sub (a) non il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico (come già ritenuto da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015).
5.2. Per quanto riguarda il risarcimento del danno biologico temporaneo, esso in nessun caso potrà essere ridotto per Otto dell’intervento dell’assicuratore sociale, dal momento che l’Inail non indennizza questo tipo di pregiudizio, e se non v’è pagamento non può esservi – per quanto detto – surrogazione.
5.3. Per quanto riguarda il risarcimento del danno patrimoniale da riduzione permanente della capacità di guadagno, che l’Inail – per quanto detto – indennizza a prescindere da qualsiasi prova della sua sussistenza, sol che l’invalidità causata dall’infortunio superi il 16%, il relativo indennizzo assicurativo potrà essere detratto dal risarcimento aquiliano solo se la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio di questo tipo. Negli altri casi, l’indennizzo resta acquisito alla vittima, ma nè potrà essere defalcato dal credito risarcitorio di quest’ultima per altre voci di danno, nè potrà dar luogo a surrogazione: se infatti la vittima non ha patito alcuna riduzione della capacità di guadagno, non vanta il relativo credito verso il responsabile, e se quel diritto non esiste, non può nemmeno trasferirsi all’Inali.
5.4. Per quanto riguarda il danno patrimoniale da inabilità temporanea al lavoro e quello rappresentato dalle spese mediche, solitamente non si pongono problemi di calcolo del danno differenziale, essendo i suddetti pregiudizi di norma integralmente ristorati dall’Inali. E’ tuttavia ovvio, alla luce di quanto esposto, che l’indennizzo pagato dall’Inali a titolo di inabilità temporanea o spese mediche non può essere defalcato dal credito risarcitorio aquiliano spettante alla vittima per voci di danno diverse.
5.5. Infine, per quanto riguardai ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima del risarcimento, essi seguiranno sorte diversa a seconda del titolo per il quale sono stati pagati, e quindi:
– i ratei (o la quota pane di essi)già riscossi a titolo di danno biologico permanente, andranno a defalco del credito risarcitorio spettante alla vittima per questa voce di danno;
– i ratei (o la quota parte di essi) già riscossi a titolo di danno patrimoniale da incapacità lavorativa, andranno a defalco del credito risarcitorio spettante alla vittima per questa voce di danno, se esistente ed accertato.
6. Alla luce di questi criteri emergono evidenti i plurimi errori commessi dalla Corte d’appello di Brescia, la quale ha sottratto dal credito risarcitorio della vittima per danno non patrimoniale l’importo ad essa pagato dall’Errai sia a titolo di indennizzo del danno patrimoniale d’incapacità lavorativa, sia a titolo di indennizzo del danno patrimoniale da inabilità temporanea, soggiungendo per giunta che l’Inali ha diritto a vedersi restituire dal P. il relativo importo, senza avvedersi che in tal modo ha di fatto ridotto l’assicurazione sociale ad una partita di giro.
7. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.
8. Si propone pertanto l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata”.
2. L’Inail ha depositato memoria ex art. 380 bit c.p.c., comma 2, con la quale ha chiesto preliminarmente che il ricorso, per la rilevanza delle questioni da esso proposte, sia discusso e deciso con le forme ordinarie in pubblica udienza; nel merito ha insistito per il rigetto del ricorso

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ritiene, preliminarmente, non necessario disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, per consentire la discussione in pubblica udienza ex art. 379 c.p.c..

Le questioni poste dal ricorso possono infatti agevolmente essere decise alla luce di due gruppi di principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte: quelli concernenti la natura, il fondamento e gli effetti dell’istituto di cui all’art. 1916 c.c. (ex multis, Sez. U, Sentenza n. 8620 del 29/04/2015, Rv. 635402; Sez. 3, Sentenza n. 5594 del 20/03/2015, Rv. 634691; Sez. 3, Sentenza n. 4347 del 23/02/2009, Rv. 607061; Sez. 3, Sentenza n. 1336 del 20/01/2009, Rv. 606337; Sez. 3, Sentenza n. 1336 del 20/01/2009, Rv. 606338; Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007, Rv. 596712); e quelli concernenti i criteri di determinazione del cd. ‘danno differenziale’ e dunque, specularmente, quelli di calcolo dei limiti entro i quali l’assicuratore sociale può surrogarsi nei diritti dell’assistito verso il responsabile del danno (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015).

Infatti quel che consente la decisione in camera di consiglio del ricorso, con le forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., non è la complessità della questione, ma la sua manifesta fondatezza od infondatezza, giusta la chiara previsione di cui all’art. 375 c.p.c., n. 5. E va da sè che il giudizio di manifesta fondatezza od infondatezza non necessariamente sottende quello di ‘complessità’ della questione. Così, ad esempio, l’invocazione della responsabilità dello Stato per l’omessa attuazione di direttive comunitarie è domanda che pone certamente questioni complesse, ma essendo stata già tante volte esaminata, ed essendosi formato su essa un jus receptum, un ricorso che avesse ad oggetto una domanda di quel tipo ben potrebbe essere dichiarato manifestamente fondato od infondato ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Pertanto, anche a prescindere da qualsiasi giudizio circa la effettiva sussistenza nel caso di specie di una questione ‘complessa’, quel che rileva è stabilire se le questioni in diritto poste dal ricorrente siano o meno fondate in modo evidente: questione, per quanto si dirà, cui va data risposta affermativa.

3.1. Nella propria memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (pp. 1-2) l’Inail adombra un’ulteriore ragione di ostacolo alla discussione e decisione del ricorso in camera di consiglio: ovvero che sulla questione di diritto posta dal ricorso non esisterebbe un numero adeguato di precedenti.

Tale allegazione tuttavia non è decisiva, per varie ragioni.

La prima ragione è che la manifesta fondatezza od infondatezza di cui all’art. 375 c.p.c., possono in teoria anche prescindere dall’esistenza di precedenti. Un ricorso in cui si sostenesse che il testamento è un contratto sinallagmatico sarebbe manifestamente infondato, sebbene vanamente si cercherebbe un precedente specifico sul punto.

La seconda ragione è che questa Corte ha la funzione di nomofilachia assegnatale dall’art. 65 ord. giud., e la funzione di nomofilachia è assolta quando sulla questione oggetto del contendere esista anche solo un precedente. La giurisprudenza di legittimità non si misura ‘a peso’, e non è consentito distinguere tra questioni su cui esistono precedenti numerosi, e questioni decise una volta soltanto. Le une come le altre sono questioni ‘decise dalla Corte’, e sulle quali dunque non è consentito ridiscutere in iure, salva ovviamente l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite nel caso di contrasti, da proporre nei dieci giorni di cui all’art. 376 c.p.c., comma 2.

Se così non fosse, si perverrebbe ad un duplice paradosso:

– da un lato, decisioni di legittimità fondamentali ma isolate a causa della rarità della fattispecie concreta (si pensi alla nota vicenda della scelta di rifiutare l’accanimento terapeutico, manifestata dal tutore dell’incapace) finirebbero per perdere l’importanza di ‘precedente’, con sostanziale svilimento del ruolo di questa Corte;

– dall’altro lato, diverrebbe impossibile stabilire oltre quale soglia numerica un orientamento di legittimità potrebbe dirsi ‘consolidato’, sì da far scattare la procedura di cui all’art. 375 c.p.c. (due precedenti? dieci? venti? ad libitum?).

Nel merito, il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.

Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nel controricorso e nella memoria.

Con un primo, articolato gruppo di rilievi (svolto nel controricorso, pp. 7-11) l’Inail deduce che i provvedimenti amministrativi dell’Istituto sono assistiti da una presunzione di legittimità, sicchè non è consentito al responsabile (ma è evidente che l’Inail, nel nostro caso, intende invocare il suddetto principio nei confronti del danneggiato) contestarne la correttezza e l’attendibilità, a meno che non si accolli il relativo onere della prova.

Queste argomentazioni, e l’invocazione dei precedenti giurisprudenziali che le sorreggono, non vengono in rilievo nel presente giudizio.

Qui non si discute se l’Inail abbia computato bene o male le indennità dovute per legge all’assicurato. Il problema posto dal ricorrente è ben diverso, e riguarda la possibilità in jure che il diritto della vittima d’un fatto illecito al risarcimento del danno biologico possa essere decurtato in misura pari alla somma pagatale dall’Inail a titolo di indennizzo del pregiudizio (presunto) alla capacità di lavoro, quando un simile danno dal punto di vista civilistico non sussista.

Una questione, dunque, ben diversa da quella concernente la correttezza dei conteggi effettuati dall’assicuratore sociale e della relativa prova.

Con un secondo gruppo di rilievi l’Inail deduce che il principio di diritto proposto nella relazione del consigliere relatore ‘impo(rrebbe) vincoli eccessivamente severi al recupero di quanto erogato dall’assicuratore sociale per le conseguenze di natura patrimoniale, laddove afferma che l’indennità per inabilità temporanea assoluta e le pese mediche non si possano recuperare perchè in ambito civilistico il lavoratore infortunato non avrebbe subito un danno’ (così la memoria, p. 3).

Tale rilievo appare per un verso non decisivo, per altro verso erroneo.

6.1. Il punto di diritto sottoposto dal ricorrente a questa Corte è stabilire se il giudice di merito, decidendo nel rapporto tra vittima e responsabile d’un fatto illecito, possa liquidare il danno biologico tenendo conto di quanto già pagato alla vittima dall’Inail, ma a titolo di retribuzioni non percepite o spese mediche anticipate.

La risposta è ovviamente ‘no’, per due ragioni:

-) la prima è il divieto posto dall’art. 142 cod. ass., u.c., che sancisce il principio di intangibilità del diritto al risarcimento del danno biologico da parte dell’assicuratore sociale, salvo che quest’ultimo abbia indennizzato lo stesso tipo di pregiudizio;

-) la seconda è l’interpretazione dell’art. 1916 c.c., recepita dalla Corte costituzionale, con una sentenza additiva e dunque vincolante, secondo cui ‘è illegittimo l’art. 1916 c.c., nella parte in cui consente all’assicuratore di avvalersi, nell’esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del tento responsabile, anche delle somme da questo dovute all’assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico’.

La questione sollevata dall’Inail è dunque non pertinente nel presente giudizio, nel quale non si discute se l’Inail possa o non possa recuperare dal responsabile quanto pagato alla vittima; ma piuttosto se quest’ultima debba o non debba vedersi decurtare il diritto al risarcimento del danno biologico.

6.2. Oltre che non pertinente, il rilievo dell’Inail secondo cui la tesi proposta dalla relazione comprimerebbe il suo diritto di surrogazione per quanto attiene le somme versate a titolo di spese mediche e di retribuzione non goduta è altresì erronea, e parrebbe fondarsi su un qui pro quo.

Dire che le suddette somme non debbano essere defalcata dal credito della vittima per il risarcimento del danno biologico, non vuol affatto dire che l’Inail non abbia il diritto di pretenderne la rifusione da parte del terzo responsabile.

La necessità di spendere del denaro per curarsi, e l’impossibilità di lavorare durante la malattia e la convalescenza, costituiscono per la vittima pregiudizi effettivamente patiti, dai quali essa viene tenuta indenne dall’intervento dell’assicuratore sociale.

Trattandosi di pregiudizi effettivamente patiti, essi fanno (teoricamente) sorgere in capo alla vittima un credito risarcitorio, che per effetto della surrogazione si trasferisce all’Inali e che quest’ultimo potrà azionare nei confronti del responsabile, a nulla rilevando ovviamente che quest’ultimo debba già risarcire la vittima per intero del danno biologico.

Così, dato un danno biologico di 100 e spese mediche per 30 anticipate dall’Inail, il responsabile avrà causato un danno complessivo di 130: delle quali 100 andranno pagate alla vittima, e 30 all’Inail. Resta però fermamente escluso, per quanto detto, che a causa della surrogazione dell’Inali il danno biologico della vittima (100) possa essere ridotto a 70 per tenere conto della surrogazione.

Con un secondo gruppo di rilievi (pp. 4-9 della memoria), l’Inail invoca – allegando numerosi precedenti di questa Corte – il principio secondo cui quanto pagato dall’Inail alla vittima, a titolo di indennizzo di danni patrimoniali, va rifuso all’Inail dal responsabile, ‘entro i limiti della somma liquidata in sede civile a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali’.

Il principio non è pertinente nel nostro caso.

L’Inail persiste nell’errore, già rilevato al 5 6.2 della presente ordinanza, di confondere il problema di quanto spetti alla vittima a titolo di risarcimento nei confronti del responsabile, con quello di stabilire quanto spetti all’Inali a titolo di surrogazione nei confronti del responsabile.

Al primo problema dà soluzione la legge, stabilendo che il credito risarcitorio della vittima per danno biologico non può ridursi per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale, salvo che quest’ultimo abbia indennizzato proprio il danno biologico, e nella misura in cui l’abbia indennizzato.

Al secondo problema ha dato soluzione questa Corte, stabilendo che l’Inail per le somme pagate a titolo di danno patrimoniale alla vittima può surrogarsi nei confronti del responsabile nella misura in cui quest’ultimo abbia effettivamente causato un danno patrimoniale, e fino al limite di quest’ultimo.

A seguire, per contro, la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e sostenuta dall’Inail alle pp. 10-11 della propria memoria, si perverrebbe ad un evidente paradosso.

Si immagini, infatti, che l’Inail indennizzi la vittima sia per il danno biologico, sia per il danno (presunto ex lege) da incapacità lavorativa, nel caso di invalidità eccedenti il 16%, e che agisca poi in surrogazione nei confronti del responsabile. Se fosse corretta la tesi prospettata dall’Inail:

(a) la vittima percepirebbe un risarcimento del danno biologico inferiore al dovuto, perchè defalcato dell’indennizzo pagato dall’Inail per l’incapacità lavorativa;

(b) l’Inail toglierebbe all’assicurato in sede di surrogazione quel che gli ha pagato in sede di indennizzo, riducendo l’assicurazione sociale ad una partita di giro;

(c) il responsabile pagherebbe un solo danno anzichè due.

La corretta interpretazione da dare al combinato disposto dell’art. 1916 c.c., e art. 142 cod. ass., per contro, è la seguente:

(a) il risarcimento del danno biologico non può essere decurtato di quanto pagato alla vittima dannai, a titolo di danno patrimoniale;

(b) se l’Inail ha pagato alla vittima un indennizzo a titolo di ristoro di danni patrimoniali, l’Istituto avrà diritto di surrogarsi nei confronti del responsabile se e nei limiti in cui un danno patrimoniale sia stato da questi effettivamente causato;

(c) nell’ipotesi sub (b), il responsabile sarà tenuto sia a risarcire per intero il danno biologico alla vittima, sia a rivalere l’Inail nei limiti del danno patrimoniale effettivamente causato; in questa seconda ipotesi la vittima perderà ovviamente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, trasferito all’Inali per effetto di surrogazione.

Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente grado di giudizio.

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